Il poeta parmense Mauro De Maria si misura con la tradizione medievale dell’amor cortese e del “dolce stil novo”, rivolgendosi alla donna amata come ci si può rivolgere alla poesia o all’arte, in cerca di un valore che duri oltre gli attimi.
Gentile e in partitura disonesta
hai deciso il tuo ruolo sempiterno
in un battito incauto delle ciglia,
nella scelta casuale d’una carta
girata nel mazzo che da quel giorno
abiura tutto e vive sulla carta
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I
Tradurti è sempre un esercizio ameno
e transitivo: portarti al cospetto
di Dio, onnipresente quasi quanto te,
o rispettare gerarchie celesti
facendosi condurre a Lui da te
o anche da Lui a te perché la dannazione
non è soltanto il desiderio
insoddisfatto di vederlo,
è un inferno più certo
non essere guardati dai tuoi occhi
che lessero nei miei
ma con troppi linguaggi diversi
interposti; o forse la tua scelta,
costi quel che costi, fu da sempre
confondere l’eterno, unire il luogo
e l’essere ed il tempo
facendoti tradurre in versi
II
Versi senza confine
ho creato per te, plasmati
da una costa che ho estirpato dal petto,
emulo peccatore d’un disegno divino
e imperfetto che ha retto poche ore
il corso d’una strada da seguire
(il tempo di cercare e trovare
una spada) ma s’allunga nei secoli
miniato in oro ed estro, oltrepassa
la vita polita e incastonata
in ferme cattedrali di carta
(fuggita anche la mia
quando non superò la prova dei tuoi occhi
e non so se per folle ordalia
imprudenza stoltezza o devozione
aprii un varco senza quella costa
per farti giungere al mio cuore inerme)
[…]
XX
Sabbia che prende e dona forma alla clessidra
come avrei fatto anch’io con te
colmando la tua trasparenza
gli anfratti più remoti
e le minute insenature
i recessi segreti e la profonda
intimità del tuo pensiero, oltre
la compenetrazione di due corpi
o l’anatomica ricostruzione
del costato recante i due sessi
al tempo della creazione,
fondendo due esistenze
senza poterne più isolare foci
e fonti e nemmeno poterne assegnare
l’esito musivo a uno stato sancito
dalla fisica che ratifica
solido liquido e gassoso
ma non prevede l’emotivo
sempre uguale a sé stesso
spinto da un moto in equilibrio
con la stasi e in equilibrio
fra genesi ed usura
senza che esista una misura consona
a sondarlo così come la sabbia
l’acqua e il quarzo o anche la luce
sono solo una stima relativa
perché è assodato che lo spazio e il tempo
(e anch’io dentro di te)
impercettibilmente vanno alla deriva
XXI
Deriva di sogni sottovetro
spiaggiati ai lati dei tuoi occhi
nella loro eleganza di cetacei
innocui ed imponenti
che non possono vivere senz’acqua
senza legarsi alle correnti
dei tuoi fluidi corporei
nati in cattività e mansueti
come leoni nella fossa del profeta
e votati a nuotare senza sosta
nella segreta gabbia del tuo costato
sempre in cerca d’un punto di passaggio
non dal lato d’uscita delle ossa
ma dalla parte opposta
nei tessuti molli
forse l’ostio velato di sabbia
che riluce al tuo ritmo vitale
traendo e rilasciandone il candore
come fosse un sommesso segnale
della porta d’ingresso al tuo cuore
[…]
XXIV
Retro del foglio su cui scrivo di te
ecco dove io vivo
mai veramente unito
mai separato dal tuo fiato
che come e più della veronica
s’imprime a un lato della carta
ed all’altro trasuda
e se per vanità o rivelazione
o semplice casualità
leggerai questa pagina
per quanto folle ti potrà sembrare
so che la girerai per controllare
come fosse una penitenza
da scontare per me
che è dall’adolescenza che ti aspetto:
dire fare baciare
XXV
Baciare la tua pelle
sarebbe stato vivere fra gli angeli
ma con la quotidianità del rischio
di ricadere a terra
(e per di più la tua complicità
non venne mai provata)
e così ti ho seguita a distanza
coltivata fra i rovi
come un morbido giglio fra le spine
e isolata da un mondo caduco
ogni giorno ponendo
sentinelle verbali lungo il solco
profondo che separa la tua
da esistenze mortali
[…]
XXXVI
Voglio vederti allontanare piano
fino ad incastonarti
lentamente nel fondale
fra gli inserti di minio e di biacca
che ho impastato all’azzurro del cielo
e divenire icona di te stessa
sempre lambita da parole
stampate a foglia d’oro
sospinte fra le labbra e subito
mutate in risacca di fiato
come fossi scacciato dal tempio
uguagliato a un qualunque
mercante d’amore
capace solo di rapina e fuga
anche se posso dire
se hai pervaso l’aria e quando e quanto
da come il vento asciuga l’arenaria
XXXVII
Arenaria battuta dal tuo piede
e ogni passo rinnova la magia:
non solo acqua che all’esodo
placò la sete
ma dal ritmo percosso
nascono fiori ed oasi intere
perché più che da nessi corporali
la vita è retta dall’estetica
e dal flusso d’amore
che migra verso te ogni giorno
varcando le colline
e di notte riporta tue notizie,
avanti e indietro senza posa
cucendo la perenne imbastitura
della tua veste da sposa
[…]
XLIX
Piede con piede premuti l’un l’altro
non siamo mai stati,
i tuoi sempre calzati nelle staffe
con gli speroni pronti
a spingere il cavallo
fino all’equa distanza
che al tuo fido scudiero
garantisse la vista
e precludesse il tatto,
ma per quanto vessato dalla sorte
come fossi l’emblema reincarnato
della pazienza biblica
mi sono incamminato al tuo sentiero
col passo fesso dall’ulcera dolente
che mi saliva lungo il corpo
e che di quella che incideva il cuore
era soltanto un debole riflesso
L
Riflesso di Madonna nel mio cuore
e non importa se lo specchio è concavo
o convesso, anche se dilatata
o più minuta, distorta o frammentata
la tua immagine è sempre ricomposta
nel fondo dei miei occhi
e il tempo in cui ti penso è sempre adesso
perché pervadi i gesti quotidiani
e come fosse l’ultimo saluto
qualsiasi gesto può condurti a me
che posso essere l’eletto
ed anche il reprobo che l’ha venduto
mentre tu sempre il vino consacrato
e il pane della vita in cui tradurti
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Guardare la tua vita a me negata
ha mutato i miei tremuli silenzi
in parole posate sulla carta
nella fragile attesa che i tuoi occhi
guidassero nei solchi della stampa
anche il tuo cuore che il mio sempre scarta