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1 Agosto 2016 | Racconti d'autore

Il nostro undici settembre (nero)

Racconto di Luca Martini tratto dall’ebook “Il nostro due agosto (nero)” (Loreto, Antonio Tombolini Editore, 2014)

A cura di Vittorio Ferorelli. Lettura di Fulvio Redeghieri

85 morti, più di 200 feriti, una stazione distrutta: dal 2 agosto 1980 Bologna aspetta di sapere chi ha ordinato la strage più grave della storia civile italiana. Lo scrittore bolognese Luca Martini ha raccolto in un ebook gratuito 44 racconti di chi ha un ricordo, un’immagine, un’emozione di quel giorno.

Il nostro undici settembre (nero)

È diventato quasi un modo di dire, questo, quando si parla di una tragedia che individua e caratterizza un gruppo, una comunità, uno stato.
Per tutti è così.
Per me, che sono bolognese, no.
Noi, a Bologna, abbiamo il nostro agosto nero, abbiamo il nostro 2 agosto.
Perché per noi il due agosto rappresenta la tragedia emotivamente più grande che possiamo ricordare.
Non è una gara, sia chiaro, qui ci sono solo perdenti, è soltanto una scala emotiva, che ci distrugge e ci fa ancora commuovere, nonostante siano trascorsi 34 anni.
Ognuno di noi si ricorda dov’era e cosa faceva.
Io avevo 8 anni, ero in vacanza ormai da un po’ con mio fratello, la mamma e la nonna nella casetta sull’Appennino costruita dal mio papà con tanta fatica, vicino a Monghidoro.
Alle 10 e trequarti squilla il telefono.
È papà, c’è stato un attentato dice.
Io sono vicino alla mamma, lei è in piedi, pallida, la cornetta stritolata nella mano, la voce che diventa tagliente come ghiaccio, bollente come lava. Io sento la voce di papà anche se sono distante, forse grida, forse non si capacita. Mamma è preoccupata, si capisce poco di quel che dice e di quel che papà le sta raccontando. Lui lavorava in quel momento, in un ambulatorio di via Amendola, a pochi passi dalla stazione.
«Sono scoppiati i vetri?» dice mamma.
Tutti i vetri, tutti.
«Ci sono feriti? Quanti?»
C’è un silenzio innaturale, che scoppia nella sala da pranzo come la bomba che anche io, bambino, capisco essere esplosa.
«Ma cosa dici? Così tanti morti?»
Io la sento quella parola.
Morti.
E mi vengono i brividi, mi viene in mente il nonno che non sta bene e penso che allora è vero che poi, a un certo punto, finisce tutto.
Allora mamma si fa zitta e ascolta, si asciuga le lacrime che tentano di uscire.
«Cosa potevi fare?»
E si raccomanda, come fa sempre, come ha sempre fatto, come fa ancora.
«Va bene, ci vediamo stasera? Cerca di venir su presto».
Quando riattacca si accartoccia sulla sedia di paglia e si sgonfia, mettendosi le mani in faccia.
«Che succede mamma?»
Lei si volta verso di me ma non mi fissa. Porta lo sguardo sul muro bianco fratazzato, sotto la lavagna con i detti che riguardano la cucina. Guardo anche io in quella direzione ma non ci trovo niente di rassicurante.
«Hanno messo una bomba in stazione, hanno distrutto tutto, sono morti tutti»:
Chi non becca ha già beccato

«Ma chi mamma? Chi può averlo fatto?».
Lei non risponde e mi prende a sé, stringendomi forte, come se quello fosse l’ultimo gesto da fare in vita.
La fatica mette appetito

«E papà?»
«Dice che è sceso in strada, che è andato tra le macerie, ma quando ha visto tutto quel sangue, quei corpi martoriati e quella polvere non se l’è sentita, ha vomitato in un angolo ed è tornato indietro».
Cena corta vita lunga

Mi divincolo dalla presa e corro in sala, ad accendere il televisore.
Sono agitato, la pancia è stretta e mi sento il cuore correre all’impazzata.
Cerco un telegiornale, un’edizione straordinaria, mentre penso ancora a quelle parole: sono morti tutti. Ma come si fa?
Una bomba nella sala d’aspetto.
Della seconda classe.
Che eroi, in seconda classe, dei terroristi antiproletari.
Che coraggiosi.
Mi viene in mente la canzone di de Gregori, “Titanic”.
La prima classe costa mille lire, la seconda cento, la terza dolore e spavento.
Qui è bastata la seconda per avere dolore e spavento.
E morte.
Mamma mi raggiunge, mentre aspetto che qualcuno mi dica qualcosa.
Mi faccia vedere qualcosa.
Internet e le breaking news sono lontane, ma non troppo.
Mamma mi raggiunge, mi bacia sul collo scompigliandomi i capelli.
«Vai a svegliare tuo fratello» mentre nonna è comparsa sulla porta.
O forse c’è sempre stata senza dire nulla.
Io le stringo la mano e faccio di sì con la testa.
«Torna papà, vero?»
Mia mamma mi sorride, con una dolcezza che non dimenticherò mai.
«Certo tesoro, papà torna. Torna sempre papà».
«Perché ha vomitato? Perché non è andato a salvare quella gente?»
Mamma mi lascia la mano, schiude le labbra come per dire qualcosa. Resta così qualche istante, a mezz’aria, si ferma, scuote la testa e mi fa una carezza sul viso.
«Vai a svegliare tuo fratello».
Poi va verso la cucina a finir di lavare le zucchine che aveva lasciato nel secchiaio, pochi minuti prima del suo due agosto.

[Per acquisire gratuitamente l’ebook: mybook.is/it/luca-martini/il-nostro-due-agosto-nero]

 

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