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21 Maggio 2015 | Racconti d'autore

La meravigliosa vita delle farfalle

Testo tratto dal libro omonimo di Gianumberto Accinelli (Bologna, Pendragon, 2014)

A cura di Vittorio Ferorelli. Lettura di Fulvio Redeghieri

Entomologo e narratore, Gianumberto Accinelli conosce bene il mondo delle farfalle e sa raccontarlo con la stessa leggerezza e lo stesso gusto per i colori che rendono così unici questi insetti volanti.

La capacità di scorgere una compagna, la necessità di difendere un territorio, sono problemi strettamente legati alla vita delle creature del sole, cioè le farfalle diurne. Le falene, creature della notte, hanno altri problemi legati all’olfatto. Si è già detto dei feromoni sessuali femminili e delle loro capacità di attirare i maschi anche da distanze notevoli. Queste sostanze sono state scoperte dal famoso entomologo francese Jean-Henri Fabre, che verso la fine dell’Ottocento le studiò da vicino.
Ecco come andò.

Un bel giorno d’estate, il noto entomologo francese stava passeggiando per un pendio riarso dal sole, quando il suo occhio attento si imbatté in uno spettacolare esemplare di Saturnia pyri, la falena più grande d’Europa. Prontamente Jean-Henri raccolse l’enorme lepidottero (che ha una apertura alare che raggiunge i 16 centimetri) e la portò a casa. Giunto nella sua dimora, sistemò la saturnia in una gabbietta per uccellini che pose in bella vista in salotto.
Dopo aver consumato la sua frugale cena, aver passato qualche ora nella veranda ascoltando il canto dei grilli che preannuncia l’arrivo della sera e aver assaporato la dolce aria di Provenza, Jean-Henri decise di concedersi il meritato riposo. Per godere ulteriormente della dolce notte del Sud, tenne le finestre aperte in tutta la casa. I profumi e i suoni della macchia mediterranea pervasero la casa e il professore cadde nel sonno dei giusti appena ebbe appoggiato il capo sul cuscino.

Era tra le braccia di Morfeo già da qualche ora, quando improvvisamente un rumore sospetto proveniente dal salotto lo strappò dal mondo dei sogni. Intimorito, credendo che qualche ladro si fosse intrufolato in casa, Jean-Henri si armò del suo archibugio e si diresse circospetto verso il salotto. Giunto nella grande sala, spianò l’arma e urlò un tremolante “nessuno si muova!” – che non avrebbe fatto paura neanche a una mosca – cominciando a scrutare intorno. Con sua grande sorpresa trovò la stanza completamente vuota nonostante il rumore continuasse. Guardando meglio, si accorse di un certo tramestio attorno alla gabbietta della saturnia. Attorno a essa svolazzavano impazziti altri individui della falena gigante Saturnia pyri.
Una persona normale avrebbe tirato un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo e sarebbe tornato a letto contento, ma Jean-Henri Fabre era uno scienziato di razza, per il quale ogni occasione è buona per farsi delle domande. E come sua consuetudine iniziò il ritornello: come hanno fatto tutte queste falene a sentire la presenza di un loro compagno in una stanza chiusa? E perché mai il “prigioniero” ha attirato così tanti compagni (Jean ne contò una quarantina)?

Nonostante l’ora tarda, lo scienziato inforcò i suoi occhiali da studioso e si mise al lavoro per risolvere questi misteri. La prima scoperta fu sorprendente: quello che considerava il “prigioniero” era in effetti una “prigioniera”, mentre gli individui che sfarfallavano attorno alla gabbietta erano nientemeno che dei maschi impazziti di amore. Ma quale era la strategia di seduzione messa in atto dalla “signora” saturnia per farsi riconoscere dai compagni nonostante fosse nascosta in una stanza?
La domanda, seppur difficilissima, non fece perdere l’entusiasmo a Jean-Henri, che raccolse i focosi maschi, colorò il loro torace di una vernice atossica, li mise in un’altra gabbietta e uscì portandola con sé nella splendida notte stellata provenzale.

Jean-Henri Fabre, oltre a essere uno scienziato era, come spesso accadeva nelle persone colte dell’Ottocento, un poeta, per cui non rimase insensibile di fronte alla volta stellata, ai profumi della notte e alla magia dei paesaggi notturni. Pervaso da questo senso poetico, lo scienziato percorse – senza accorgersene – molta strada. Quando si riebbe, si rese conto di aver camminato per ben sei chilometri. Allora aprì la gabbietta e i maschi colorati di saturnia si mischiarono al buio della notte.
Si incamminò quindi sulla strada del ritorno rimmergendosi nella poesia della notte estiva provenzale.
Tornato a casa, varcò la soglia di ingresso e un brivido gelido gli percorse la schiena: in casa c’era qualcuno e poteva sentire i suoi traffici in salotto. Di nuovo, timidamente, si affacciò nella grande sala e… indovinate un po’? Attorno alla gabbietta della “signora” saturnia sfarfallavano imperterriti i maschi colorati che Fabre aveva liberato a sei chilometri di distanza.

Come molti sanno, la maggior parte dei lepidotteri notturni adulti ha una vita brevissima (al contrario delle farfalle diurne che possono vivere molto di più di un giorno). La Saturnia pyri, in particolare, non si nutre nemmeno, ha l’apparato boccale atrofizzato e quindi la sua vita da adulto dura solo qualche giorno.
La saturnia catturata da Jean-Henri probabilmente aveva già passato qualche giorno di vita da adulta prima di essere catturata, perché, la mattina successiva alle avventure raccontate, la poveretta passò a miglior vita. Immaginate lo sconforto dello scienziato che aveva fatto delle osservazioni importanti, si era posto domande cruciali e adesso doveva rinunciare alla sua riflessione.

Jean-Henri passò la giornata sfiduciato, ma la sorte stava riservando una sorpresa. Dopo aver consumato la frugale cena, mentre come al solito prendeva il fresco in veranda, la figlia piccola dello scienziato arrivò urlando verso il padre. La bambina aveva fatto una scoperta incredibile: attorno alla gabbietta lasciata vuota, continuavano a svolazzare dei maschi di saturnia. Immaginate la sorpresa e l’entusiasmo di Jean-Henri, che festeggiò l’evento con una bella domanda: quale era l’eredità lasciata dalla saturnia, tale per cui i maschi continuavano a sentire la sua presenza?
Per prima cosa ipotizzò un odore con cui la femmina aveva “marchiato” la gabbietta. Ovviamente aveva colpito nel segno, ma come provarlo? Prese una campana di vetro con cui coprì la gabbietta. Il vetro non è un materiale poroso e non permette il passaggio delle sostanze volatili. Quindi, se effettivamente la femmina aveva lasciato un odore, questo – non potendo passare attraverso il vetro – non avrebbe potuto richiamare i maschi. E in effetti, appena la campana di vetro sigillò la gabbietta, i maschi si dileguarono nella notte e nel salotto ritornò il silenzio, confermando la correttezza dell’ipotesi.

Facciamo ora un salto di quasi un secolo. È questo il tempo occorso perché un gruppo di chimici tedeschi riuscisse a identificare la sostanza rilasciata dalle femmine di lepidotteri. Questo “profumo” venne estratto da 10.000 femmine del baco da seta e prese il nome di feromone (dal greco phérein “trasportare” e hormào “eccitare”).
Le sperimentazioni su questi odori sono continuate portando a incredibili scoperte: per esempio i maschi dei lepidotteri riescono a percepire singole molecole di feromone a chilometri di distanza: è come se noi fossimo in grado di sentire il profumo di una torta appena sfornata in una cucina posta in un’altra città!
Da queste sperimentazioni alla tecnica della confusione sessuale il passo è breve e quindi, ogni volta che assaggiamo una mela zuccherina dovremmo ringraziare Jean-Henri Fabre, che in una splendida notte estiva di oltre 100 anni fa si fece una domanda.

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