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5 Agosto 2010 | Racconti d'autore

L’amore non si dice

di Massimo Vitali, Fernandel, 2010 (seconda puntata)

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redeghieri.

5 agosto 2010

Lui l’ama, lei no. Lui la pensa di continuo, lei no. Lui la desidera, lei no. Lui le scrive lettere, lei no… Stanca di ricevere continuamente lettere d’amore, Teresa impone a Edoardo il divieto assoluto di scriverle. O almeno niente più lettere d’amore. Per di più raccomandate… Così, per non aggiungere mattoni a quel muro che già lo separa da lei, Edoardo accetta le imposizioni di Teresa e comincia a spedire lettere via posta ordinaria parlandole di tangenziali e lavandini, di sua
sorella e di Napoleone, del vento e del pistacchio, di muscoli e di poesia, di Dio e delle cicale, di Elvis e supermercati. Edoardo finisce col parlarle di tutto, fuorché di ciò che proprio non può dire: l’amore.
Massimo Vitali è un giovane autore bolognese (è nato nel 1978) che fa il suo ingresso sulla scena letteraria con questo romanzo epistolare dove l’amore è affrontato in modo ironico e svagato, pur conoscendo bene la tragedia dell’amore non corrisposto.

Lettera di come gestirei io l’ufficio

Cara Teresa,
ci siamo visti così poco quel giorno sott’acqua che non ho neanche avuto il tempo di dirti che lavoro faccio. Di natura nasco poeta, ma per campare convivo con una scrivania e tre cassetti in un customer care center, sebbene io preferisca chiamarlo col suo vero nome: ufficio reclami.
Il mio lavoro consiste nello scrivere lettere a gente che non vuole riceverle, perlomeno coi contenuti in cui gliele scrivo io, e questo mi riporta a qualcosa di personale, benché ora preferisca concentrarmi solo sul contesto lavorativo.
Non ti nascondo che quando sono al lavoro pur di evitare di scrivere mi ritrovo spesso a sognare di non avere le mani. Dato che questo alla lunga mi produce complicazioni di vario tipo, ho cambiato il mio sogno con un altro in cui io non devo lavorare, gli altri sì, e se proprio devo farlo anch’io sogno di gestire l’ufficio come pare a me, attraverso alcune norme generali che adesso ti vado ad elencare.
Punto primo: ognuno entra quando gli pare. Non ci sono orari, cartellini, permessi eccetera, e mentre si scrive una lettera a un cliente si può anche decidere di smettere e andarsene in montagna con la funivia.
Punto secondo: l’ufficio deve essere pieno di piante per respirare ossigeno, e di vasche idromassaggio per buttarsi in ammollo in qualunque momento della giornata lo si desideri, anche di notte, perché uno in ufficio si deve sentire libero di andarci quando gli pare, soprattutto se a casa non ha la vasca idromassaggio.
Punto terzo: nessuno può decidere al posto tuo che colleghi incontrare nei corridoi. Puoi scegliere anche di non vederne nessuno, specialmente se non ci sono corridoi ma lunghe distese di campi di girasoli.
Punto quarto: se qualche cliente reclama qualcosa, qualsiasi cosa, negare tutto.
Punto quinto: se poi insiste minacciando denunce alle riviste di settore, alle associazioni dei consumatori, o esposti in tribunale, ricordarsi sempre che è la sua parola contro la tua. Anzi, tu non c’entri niente, e se proprio sei costretto ad andare in tribunale sei libero di presentargli tua sorella, perché il passato burrascoso che c’è stato tra di voi dopotutto non l’hai dimenticato così facilmente.
Punto sesto: dopo il licenziamento in tronco ottenuto dalla ferrea osservanza dei punti uno, due, tre, quattro e cinque, assicurarsi di avere già trovato un altro lavoro, perché vivere “on the road”, malgrado qualche scrittore lo faccia passare per avvincente, è abbastanza scomodo.
Pensa solo allo sconforto se ti si buca una gomma.

Edoardo

Lettera sulle poesie di tutti i giorni

Cara Teresa,

di un popolo di santi navigatori e poeti
viaggiando io poco in barca
ed essendo a malapena battezzato
mi scelsi poeta

Ma non di quei poeti delle albe lucide
con le foglie brulle
di un autunno perduto
sull’orizzonte lascivo

E neanche di quei poeti francesi, inglesi, russi, americani
e sudamericani
che ci vuole sempre la traduzione a fianco
che poi loro ne soffrono
Bensì di quei poeti italiani
che puoi incontrare anche dal barbiere
o sulla tangenziale
con i versi scarabocchiati sul retrovisore
dove i lettori si rispecchiano
e di loro leggerebbero tutto
anche la lista della spesa
se solo l’avessero tra le mani

Come me che guarda caso sto andando al supermercato
e ho un foglietto che mi spunta dal taschino
Spinaci
Zucchine
Tè verde
Piselli
Gel per i piatti
Lato ruvido della spugna
Tutto verde è il mio carrello

Chiaro che ne esistono anche di più belle di poesie
ma mica utili come questa lista della spesa
che profuma di caffè e mandarini
che mi ero scordato di aggiungere prima
assieme a un po’ di macinato

Ho altri ventisette quaderni pieni di versi come questi
che ti darò in un mattino galeotto
quando per caso ci incontreremo
al quarto piano di un palazzo
proprio uguale al tuo

Come quei poeti che hanno sceso
dandoti il braccio
almeno un milione di scale
e ora che non ci sei hanno il vuoto ad ogni gradino,

noi prenderemo l’ascensore
con le mie poesie spiegate a basse vele
prudentemente
senza mai parlarti d’amore
ed è subito sera.

Edoardo

Brano corrente

Brano corrente

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