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3 Aprile 2014 | Racconti d'autore

Le poetesse del Duca

Poesie tratte dal volume I poeti del Duca. Excursus sulla poesia contemporanea a Ferrara, a cura di Matteo Bianchi (Ferrara, Edizioni Kolibris, 2013) – seconda puntata.

A cura di Vittorio Ferorelli. Lettura di Alessia Del Bianco

Poeta, blogger e animatore culturale, Matteo Bianchi ha raccolto in volume venticinque voci della poesia che si coltiva a Ferrara. Poeti e poetesse di un “Duca” che altro non è se non il simbolo della tradizione umanistica ancora viva nella città estense.

Carla Baroni

I tramonti di Ferrara

E madre fu chi ebbe occhi di pianto
per brunite bandiere sul castello.
I figli no, non piansero: levarono
con le mani guantate in alto coppe
traboccanti di vino come sangue
chi per vendetta, chi per allegria.
Solo i cani latrarono distante
tra il cupo scalpitare dei cavalli:
s’udiva il muggir quieto nelle stalle.
Ma lontani falò lungo le mura
bruciarono improvvisi nella notte
e la città fu rossa, quasi accesa
da quel sangue, quel vino, l’aspro fuoco.
Ora al tramonto rapidi fantasmi
corrono lievi in ogni strada e piazza
a incendiare le pietre delle case.

La terra trema

        Anche stasera dormirò vestita
        la luce accesa, la borsetta pronta…

Saranno ancora giorni di dolore
nati dalle bestemmie del destino.
S’affronta il dio terrore, l’ansia appesa
alla lampada che a tratti vacilla,
allo schermo che all’alba già diffonde
il tam tam di notizie disastrose.
Trema la terra, si alza e poi si abbassa
creando dune, avvallamenti, fossi.
Eppure la natura è tutta un fiore
un rigoglio improvviso, uno splendore
di linfe che si intrecciano nell’erbe
salgono sopra i rami, ridiscendono
con cascate dai muri dei recinti.
Chiusi i cinema, i bar, le biblioteche
non più riunioni pubbliche con gente
che s’ammucchi a ridosso ai monumenti.
Chiari mattini s’arrendono su strade
filettate dal rosso di transenne,
ogni rombo è un sussulto, una preghiera
recitata nel grembo di un sorriso
perché nulla traspaia, perché sembri
che la vita continui nel suo orgasmo
ma alla notte baldracca il tempo stride
con lugubre lamento di civetta.

        Anche stasera dormirò vestita
        la luce accesa, la borsetta pronta…

——————————

Chiara De Luca

L’attesa in stazione serve a studiarsi
con cura ottusa le mani scordate
per mesi dentro ai polsini
a scoprirle graffiate e smarrite da tutto
il pianto irredento dal tempo
che ha ingiunto di essere fermo
Anche ieri ho messo al muro un orologio
caricato quelli sparsi da polso
spolverato il calendario perpetuo
ornato di fiori che avevo incartato –
L’attesa in stazione serve a sentire
che si può essere ancora più soli

A lungo si promette il mattino
di domenica nel guscio delle mura medievali
prima che si schiuda il silenzio sottile
e riaprano le ali delle strade
al volo dei passi e delle ruote delle bici
sull’acciottolato che la pioggia ha lapidato
È la nostalgia di quando da ragazzi
occorreva incontrarsi per parlare
essere puntuali, non mancare,
oppure scendere la notte alla cabina
sibilare come spie per non farsi sentire
da chi sbronzo o incurante passava nel buio
il cancello semichiuso dello studentato
oggi che si sbraita ovunque al cellulare
si mixano emozioni, bilanciano ragioni,
si equalizzano menzogne e costruzioni,
oppure si arresta il sistema per sparire
come gli spettri al risveglio del quartiere.

Il cielo cala nero in anticipo stasera
un velo sulla tentazione di volare
via da tutto quello che muore
le piante in giardino la memoria
i libri sfaldati a forza di sfogliare
amicizie promesse fuochi di parole
tutto inverna nella notte a breve
Ho un cane per cuscino l’altro a lavare
le mani da invisibili avanzi di pane
tra onde d’erba e un’alba di temporale

——————————

Patrizia Garofalo

Non ho infilato
neanche un braccialetto di perle con le mie lacrime.
Ne rubo una, caduta dal cielo livido di Febbraio
all’angolo del vicolo, verso casa.
Mi girotondo tra i portici,
un carrettino trascina legna sudata di pino.
Le mani bagnate di resina
brillano come pianto.
Ed io rimbocco le lenzuola all’anima.

Ferrara

Una città.
Intrico di confini sovrapposti.
Di più limiti
che si offre e si nega.
Un’altra parete promette un giardino segreto.
Forse un profumo, e i segni-sacri-del varco
che dicono la figura in ogni dove
e moltiplicano il desiderio.
Ferrara. Città di interni.
Arabesco di percorsi
che penetrano il cuore dei luoghi,
nel rito dell’ammissione e della violazione.
Uno sguardo assorto, continuamente pensa la città
in un’ombra che s’incurva alla campagna.
Quanta Ferrara c’è in questa scrittura che mi fa percorrere
le camere della tua anima,
l’enigma di un sorriso
dove intravedo un’altra nostra stanza?
La nebbia
ineffabile impedimento
fa aprire altre porte
e costringe ad osservare ostinatamente
il proprio sogno.

——————————

Monica Pavani

Amleto innamorato

quando un fantasma
ti cerca e ti parla
non sai più chi dei due
è senza vita

e lassù,
fingendomi appostato per la guardia,
non è la verità che bevo
ma l’amore
per quella morte senza pace

l’oltretomba è soltanto
una rugiada fredda sui capelli
prima del giorno fatto
quando un corpo non corpo
ti appare nella nebbia

mio padre più vivo dei vivi
così senza sangue
non riesce a dormire
ma lo spaventa
quell’incubo da sveglio
in cui l’ambizione degli altri
gli entra dall’orecchio
avvelenandolo nel sonno

povera Ofelia,
lenzuolo bianco che galleggia,
le sue suppliche
non sono più rivolte a me –
increspature d’acqua

mai sentito così gagliardo
come in queste notti
piene di mortaretti –
ti accorgi che il male
è quel nuvolone pesante lassù
finché un giorno,
stanco di aspettare l’infinito,
impari a traversarlo in volo

Angelica rinuncia al raziocinio

fatela voi
quella polvere lieve
a svanire
che chiamate pensieri

ogni volta era scendere
per concordare
una luce giusta su ogni cosa,
ma l’àncora è sempre del buio
e piomba giù di schianto,
trasversale

questo è il nostro ultimo
vaneggiamento dall’alto

presto diventeremo
tuonare greve e basso
straniato d’amore
in forma musicale

——————————

Eleonora Rossi

La mia ombra e io

Allineati all’ora del tramonto
corriamo il sole, la mia ombra e io.
M’insegue l’ombra o forse inseguo lei
e vedo ciò che diverrò domani
ché incenerito il corpo
nella luce del sole sarò
esile profilo muto – ombra –
lieve sinuosa perfetta.
Non più passo greve
madido ansimare, carne
né rughe di pensieri.

Lieve sinuosa perfetta
(insipida) senza occhi
né volto, senza respiro.
La seminerò allora
ginocchia alte sudore
sguardo muscoli tesi.
Assaporando una lacrima
corro puntando al sole
l’ombra dietro a me,
miserabile, incollata al suolo.
Capelli sciolti al vento
e piedi come ali, in fuga.

Non temperare

Non temperare i giorni
con cupi pensieri
neri corvi in agguato

di aculei già è fitto
il cammino
e nelle mani stringi
bocconi di terra e di assenza.

Ma assetato è il cuore
di iridescenze e attese

di ricordi e ritorni
su cui dondolare.

Respira
anima amica
lacera la veste
del pianto
sbrana le nuvole
viola

hai pugni tesi
e gambe forti
per correre
controvento

L’alfiere

di notte spesso guido
per strade verticali

tentennante io salgo
vertiginosi gradini
sospesi sul vuoto

in diagonale scivolo
come alfiere agile
sulla nera scacchiera

Destino, mi chiamano

beffardo io m’insinuo
nei sogni in brandelli
e scippo i tuoi giorni

ma in stracci di veglia
magnanimo affondo
la lima nel tozzo di pane

e ti ridòno bianchi
versi, parole salate
di lacrime e di carne

[fine]

Brano corrente

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