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16 Settembre 2014 | Archivio / Lo sguardo altrove, storie di emigrazione

L’emigrazione modenese negli Stati Uniti

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redeghieri.

Modenesi nel Wisconsin? Viene in mente un vecchio spettacolo della Socìetas Raffaello di Cesena, uno dei più acclamati gruppi teatrali del mondo, in cui si parlava di cagliaritani nel Tirolo. E invece è vero: l’ultima missione della Consulta degli emiliano-romagnoli nel mondo negli Stati Uniti ha scovato – si fa per dire – le sette famiglie modenesi che costituiscono il nucleo forte dell’emigrazione emiliana a Schulz Spur, località nel territorio di Merrill, nello Stato del Wisconsin. Qui, esattamente cent’anni fa, nel 1914, vennero a stabilirsi i nuclei familiari provenienti dall’Appennino modenese, in particolare Pavullo, Montese e comuni limitrofi. Ogni anno questi modenesi d’America celebrano una festa di due giorni in cui ricordano le lontane vicende di emigrazione, esponendo alla Merrill Historical Society oggetti appartenuti ai pionieri e ricostruendo gli alberi genealogici, affinché nulla si perda della loro storia.

C’è poi il filone “minerario” dell’emigrazione modenese, che ha prodotto la presenza storica di famiglie dell’Appennino nello Stato dell’Illinois. Ad Highwood, in particolare, è attiva un’associazione, molto ben organizzata, la Società Modenese di Mutuo soccorso, che grazie al presidente Carani e al segretario Lamberti, mantiene vivo il ricordo delle origini e dell’emigrazione  da Pievepelago, Sant’Anna Pelago e zone limitrofe, verso le miniere dell’Illinois. A Ladd e Cherry ci sono i cimiteri in cui riposano le vittime della tragedia del 13 novembre 1909, nella quale perirono 259 minatori, di cui 65 italiani, quasi tutti emiliano-romagnoli. I 44 sepolti vivi nella miniera provenivano in 12 da Fanano e in 10 da Pavullo, mentre sette erano di Palagano e Montefiorino, sei di Lizzano in Belvedere, tre di Montese, tre di Sestola e due di Porretta e Castel di Casio.

Le mete preferite dei modenesi che decidevano di emigrare negli Stati Uniti erano le zone dei Grandi Laghi, in particolare l’Illinois o le regioni più interne della Pennsylvania. Arrivavano lì seguendo catena migratoria che li spingeva lungo i sentieri già tracciati dai propri compaesani. Erano le numerose miniere di carbone ad attirare i nostri lavoratori e quindi fu inevitabile la preferenza per i piccoli centri dell’interno rispetto alle grandi città della costa, che già pullulavano di manodopera del sud Italia. La scelta degli Stati Uniti sottintendeva un addio, se non definitivo, almeno per parecchi anni, al luogo nativo. Ciò rappresentava per il montanaro una dolorosissima lacerazione, la perdita della continuità con il proprio mondo.

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