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21 Agosto 2014 | Racconti d'autore

Mal di capo-lavoro

Testo tratto dal libro di Lia Celi e Andrea Santangelo “Mai stati meglio. Guarire da ogni malanno con la storia” (Novara, UTET – De Agostini, 2014)

A cura di Vittorio Ferorelli. Lettura di Fulvio Redeghieri

Curarsi con la storia: perché no? È la proposta di Lia Celi e Andrea Santangelo, una scrittrice e uno storico uniti dal senso dello humour, e dal desiderio di sperimentare una nuova branca della medicina: la storioterapia.

Chissà se i grandi personaggi del passato che hanno sofferto di mal di testa avrebbero realizzato imprese ancor più grandi grazie a un Aulin. Oppure se proprio la cefalea era uno dei pungoli che li spingeva a dare di più, una delle chiavi, seppur dolorosa, del loro successo. Statisticamente almeno un quarto dei re, regine, principi, papi, condottieri, generali, ammiragli, spie, ambasciatori, artisti, scrittori, politici, sportivi, esploratori e uomini di scienza che ci hanno preceduto deve aver sofferto di questa diffusissima malattia. Sono pochi però quelli di cui, per loro stessa ammissione, abbiamo notizie certe sulla forzata convivenza con la malattia.
La più antica testimonianza in merito è quella che ci arriva da un papiro e documenta le cefalee dolorose del faraone egizio Amenofi IV, lo sposo della splendida principessa Nefertiti, e il fatto che con sua moglie abbia avuto ben sei figlie fa pensare che non si trattasse di pseudocefalea coniugale. Ma forse verrebbe mal di testa anche a voi se dopo 3350 anni ancora non ci fosse piena certezza sul vostro vero nome (Amenofi o Amenhotep? Ekhnaton o Akhenaton?) e le vostre figlie avessero tutte nomi tipo Anthkheperura.

Anche Caio Giulio Cesare soffriva di mal di testa, come evinciamo dalle pagine dei resoconti dei suoi contemporanei. La cosa non sorprende in un uomo superimpegnato come lui, politico spregiudicato, capo militare, oratore, poeta e riformatore di calendari, oltre che “marito di tutte le mogli e moglie di tutti i mariti”, come malignava Cicerone. Ma in questo caso potremmo pure azzardare altre ipotesi: la corona d’alloro che dopo una certa età portava sempre in testa per coprire la calvizie era troppo stretta, oppure si sentiva un peso alla testa a causa dell’affaire clandestino fra sua moglie Pompea e il suo amico Clodio Pulcro, emerso in occasione della profanazione dei riti della Bona Dea. In quel caso la cura fu il divorzio immediato da Pompea, perché la moglie di Cesare eccetera eccetera. Non solo avrebbe compromesso la sua carriera politica, ma gli avrebbe pure aggravato le emicranie.

Per il Medioevo possiamo citare il frate domenicano Girolamo Savonarola, e nel secolo subito successivo, il XVI, Jean Cauvin, meglio noto in Italia come Giovanni Calvino. È plausibile che in quel periodo, con l’Inquisizione che impazzava, fare il riformatore religioso dovesse essere alquanto stressante, a meno che non fosse proprio il mal di testa non curato a innescare nei due sant’uomini la fiera spinta moralizzatrice nei confronti della società che li circondava. In realtà Savonarola imputava la causa delle sue cefalee a una deformità nasale (in effetti sorreggere la proboscide che si vede nei ritratti doveva comportare un certo sforzo), mentre il fondatore del calvinismo, sempre in fuga per l’Europa per evitare il rogo, pensava fosse attribuibile alla dura vita da latitante. Più probabile si fossero scambiati le cause, perché a finire sul rogo fu Savonarola, mentre Calvino morì nel suo letto a Ginevra.

L’elenco degli emicranici di successo si allunga man mano che ci avviciniamo alla nostra epoca. Ci limitiamo quindi a segnalarne alcuni tra i più importanti: Blaise Pascal, Johann Sebastian Bach, Linneo, Lewis Carroll, Friedrich Nietzsche, Immanuel Kant, Edgar Allan Poe, Thomas Jefferson, Fryderyk Chopin, Charles Darwin, Alfred Nobel, Giacomo Leopardi, Giorgio De Chirico, Lev Tolstoj, Sigmund Freud, Virginia Woolf, Thomas Bernhard e Giulio Andreotti.
Già questo piccolo elenco prova che la cefalea non ha mai inibito la produzione intellettuale. Forse l’ha addirittura stimolata: siamo infatti in presenza di alcuni dei padri del pensiero occidentale; o forse bisognerebbe chiamarli madri, perché hanno dato alla luce il loro pensiero fra doglie atroci, mentre i padri svengono solo a mettere piede in sala parto. Sta di fatto che riuscire a comunicare e a pensare quando la sede stessa del pensiero è ridotta a un fascio di dolori lancinanti richiede capacità non comuni. E poi vuoi mettere cosa diventa lamentarsi del mal di testa quando a soffrirne è un genio? Dove noi non riusciamo a snocciolare altro che: «Oggi ho la testa che mi scoppia», uno come Thomas Bernhard ti tira fuori roba come questa: «Oggi ho dei dolori tali che ogni passo è un tormento. Immagina di avere del liquido dentro la tua testa, per esempio dell’acqua che bolle e che tutt’a un tratto si solidifica e diventa piombo che ti batte con violenza contro la scatola cranica. I dolori nella mia testa han raggiunto un grado di intollerabilità ignoto alla scienza».
Finezze riservate solo ad amici e congiunti visto che, come osserva la Woolf, «se un malato cerca di descrivere a un medico il proprio mal di testa, il linguaggio avvizzisce immediatamente». Forse è meglio provare con la musica, come fece Bach che, in epoca pre-antinfiammatori, identifica nei suoi i dolori del Cristo della Passione secondo Matteo: «O capo coperto di sangue e di ferite, pieno di dolore e disprezzo! O capo cinto di una corona di spine!».

Di alcuni di questi grandi conosciamo anche lo specifico mal di testa: Leopardi aveva (anche) grossi problemi di sinusite, così come Freud; Virginia Woolf, dai trent’anni in poi, soffrì della tremenda cefalea a grappolo, che pare l’avesse spinta quasi fin sull’orlo del suicidio con i farmaci. Non si sa se Chopin fosse depresso perché emicranico, o emicranico perché depresso, ma fra i due litiganti il terzo gode, e a ucciderlo fu la tisi. De Chirico e Carroll avevano l’emicrania con aura, nome suggestivo se quest’aura non consistesse in nausea, malessere e alterazione della coscienza o in vere e proprie allucinazioni. Insomma, si può dire che per saper usare bene la testa occorre aver superato la difficile sfida del farlo con la cefalea. Un po’ come il vero coraggio deriva dal superamento delle proprie paure: solo andando oltre il dolore si può produrre qualcosa di intellettualmente utile.

Come abbiamo visto, l’emicrania si è conservata inalterata per tutta l’evoluzione umana, marcandoci stretti.  Molte delle rappresentazioni rupestri del Paleolitico potrebbero essere dipese proprio dalla comparsa delle prime cefalee, così come dalle ultime sembrerebbero derivare molte opere d’arte contemporanea… Ma il fatto che non siamo riusciti fino a oggi a debellare il mal di testa, in teoria, potrebbe anche non essere una sciagura. Secondo le ipotesi della ricercatrice americana Elisabeth Loder, infatti, bisogna ritenersi fortunati di soffrire di emicrania, perché sarebbe una specie di campanello d’allarme per le nostre condizioni psicofisiche. Ognuno di noi è dotato di questo strano sistema di allarme (qualcosa di simile al senso di ragno di Spiderman per intenderci), ma negli emicranici suona più spesso: è come l’allarme di un’auto che ulula al passaggio di un camion, anziché suonare solo in caso di tentativo di furto, cioè di reale disagio.

No, non è una presa in giro: gli emicranici devono considerarsi più fortunati degli altri. La loro sensibilità consente una maggiore soglia di attenzione ai problemi, che attiva precocemente le difese. Anche sul piano fisico: l’emicrania provoca una dilatazione delle arterie del cervello che consente l’arrivo di maggiore nutrimento, ossigeno, cellule di difesa e imprecazioni. Quindi, se non vi sentite particolarmente brillanti, procuratevi al più presto un bel mal di testa, che costa meno di un corso di brain training e ha sicuramente più effetto.

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