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28 Gennaio 2016 | Racconti d'autore

“Oh, ma belle” (Giuni)

Racconto di Grazia Verasani tratto dal volume “Accordi minori” (Roma, Gallucci editore, 2013)

A cura di Vittorio Ferorelli. Lettura di Alessia Del Bianco

La scrittrice bolognese Grazia Verasani ha dato voce alle storie di uomini e donne che hanno scelto di abbracciare la musica, e le canzoni, come si abbraccia un destino. Tra queste voci abbiamo scelto quella indimenticabile della cantautrice Giuni Russo, spentasi nel 2004, a soli 53 anni.

Una donna, su una sdraio a righe, regge un ombrellino parasole.

Cantare, cantare… Poi chiederò alla musica il ritmo dei risciò… Le metro giapponesi… Echi delle danze sufi… Il vento tra le palme… Amica mia, ho cantato. Ho cantato… Carole, where you going, my sweet lady?
È semplice. Ho cantato. Sono una donna fragile, un uomo stanco, e una bambina che non ha pace in quest’esilio…
Amore mio, ho cantato. Cos’altro dovrei aggiungere?
Una rosa è una rosa, è una rosa, è una rosa, è una rosa, è una rosa, è una rosa…
Cos’è una bella voce?
Malinconia, ninfa gentile. La vita mia consacro a te…
Amo le cose in minore, lo sai.
Palline di gelato misto in una coppa, ricami bianchi sull’orlo di una manica, il rosso tenue di una fragola acerba, le gambe dritte delle note sui pentagrammi, i moscerini che danzano intorno a una bottiglia di Marsala, il sapore amarognolo dei ricci, i tronchi nodosi di magnolie che fanno da panchine, la gatta Camilla di Pizzuto, l’abisso musicale di Lighea, l’acuto che non schianta vetrine ma addolcisce il tempo che passa o che è mancato.

Sono rimasta l’ultima della fila, nell’ora di ginnastica. Le altre, agili, flessuose, aspettavano il loro turno per il salto con l’asta. Le lasciavo precedermi, andare avanti. Ansia di sbagliare, di essere osservata. Non sopportavo il tonfo del mio corpo sul materassino, l’asta che cadeva.
Credevo già nell’abbandono, e l’abbandono si ferma alla partenza. C’erano ragazzine dal corpo forte e felice, desiderose di primeggiare, ma io pensavo a donne di brughiera, a Emily Dickinson e alle sue poesie, e anche all’altra Emily, un uragano in gonna, seduta su Cime tempestose. Pensavo all’abbandono di questi bei cervelli femminili, vissuti sempre nello stesso posto, inchiodate alle riserve indiane della fantasia. La donna. Le donne. Accordi minori sociali. Confinate al dio dell’intimità, delle sale da tè confidenziali e a vecchi romanzi firmati con nom de plume maschile… Io volevo l’ombra, lo sai, l’esilio tra i tendaggi nelle stanze, il vento tra i capelli. Essere leggera, spiando da lontano le passeggiate gattopardesche delle vedove, nei giorni della merla o del caldo torrido. Duminica jurnata di sciroccu
Una preghiera, amica mia.
Una preghiera. Il canto non è altro. Preghiera senza dio, senza rosario, senza inginocchiatoio. Preghiera. Alla Vergine dei sette dolori o delle sette note. Preghiera delle estati al mare, are, are… e gli ombrelloni, oni, oni…

Love is a woman.
Te lo ripeterò fino a che non ti sarà entrato in testa. Anche se sai bene che ho visto tante volte Eva contro Eva alla televisione, tifando per Bette Davis. Sì, le fanciulline dei Cantagiri mi facevano tenerezza. Non avevano una madre musicista come la mia e nemmeno la tecnica necessaria, ma non mi è mai piaciuto come le trattavano: dentro una, fuori l’altra. Bella merce per rappresentanti, che vendono artiste come fossero pentole o stoffe. Erano belle, sì. Io no. Bella bella non lo sono mai stata. Mia nonna diceva: «Gli uomini fanno la guerra, le donne il sentimento». Anche a questo avrei voluto ribellarmi. Non mi andava giù che una donna fosse tutta lì, nel sentimento, che non ci fosse altro, che non si potesse essere altro. Che trappola, che galera, il sentimento!
No, io non piango, sai, è soltanto che fumi, e il fumo va dentro agli occhi miei fino in fondo al cuore…

Le kermesse non facevano per me. Dicevano «Sorridi», e mi usciva sempre un sorriso strano, sbilenco. Non ero mai a mio agio, mai, mai, mai. Poi ho incontrato te, e ho avuto finalmente qualcuno dalla mia parte.
Sì, finalmente.
Lungo strade di campagna, stavamo bene…
Siamo state bene. Dicevi che la mia voce era bellissima perché non si compiaceva della sua tristezza, e te la risparmiava. Ora lo so.
Lo so.
Minore è tutto ciò che non cogli al primo sguardo, è il vice colpo di fulmine, il terzo o quarto squillo, l’attacco di stanchezza sull’ultimo gradino. Minore è sapere che una rosa è una rosa, è una rosa, è una rosa, è una rosa, è una rosa, è una rosa…

Poi la malattia.
Una sedia a dondolo in veranda, nell’ora del crepuscolo.
Tu che raccoglievi cavallucci marini e li mettevi in un secchiello, io che ridevo. Il plaid, la tazza di tè verde, il kimono steso ad asciugare, il silenzio.
Per un attimo si stava ancora bene, io e te.
Accennando cantilene sullo stesso accordo, sempre uguale. Per allungare all’infinito il piacere dei preliminari. Accese e spente, io e te, come la luce a tempo di certi pianerottoli, come la mia carriera discontinua di stimata madonna della nicchia. Abbandonata.

Silenzio.
Accosta la tua nuca alla mia, diamo di noi solo il profilo. Intreccia le mie dita alle tue come rametti per lo stesso cesto, e riempilo di frutta. Se vuoi, regalalo al governatore della Libia. Ringrazialo per tutti quei duetti e… Ma no, mettilo al centro della tavola, sulla tovaglia bianca, e smettila di dire che ero brava, non importa a nessuno, o a pochi, a me importava, sì, importava…
Essere diversa.

Amica mia, amore mio, la diversità è una bella parola. Sono scesa in cortile sperando di trovare almeno una bambina che avesse voglia di giocare con me, e alla fine l’ho trovata. Ho sempre cercato sguardi liberi, indipendenti, senza pregiudizi, innamorati del talento maschile e femminile. Oh ma belle, pourquoi sommeiller?
Sono solo un po’ stanca. Per me e per te l’arte è stata la vita intera, e anche nell’amore le abbiamo dato spazio. Abbiamo fatto musica e vita, insieme. Anche nelle malattie, nei fuori gioco. Ridendo piano del rancore che non serve a niente, invitando tutti a tendere l’orecchio, a togliersi i tappi del cerume commerciale, per sentire, sentire, minori meraviglie. Una rosa è una rosa, è una rosa, è una rosa, è una rosa, è una rosa, è una rosa… Buonanotte, amica mia, amore mio… Adesso mi vaju a ripusari.

[Per conoscere meglio l’opera musicale di Giuni Russo si può consultare il sito dell’associazione “GiuniRussoArte”: www.giunirusso.it]

 

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