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14 Maggio 2009 | Racconti d'autore

Ultimi contemplatori (parte seconda)

di Gianni Celati. Da “Ma questa è un’altra storia. Voci, vicende e territori della cultura in Emilia-Romagna (1978-2008)”, Bononia University Press, IBC 2008.

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redeghieri.

14 maggio 2009

La rivista dell’Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna (IBC) racconta, da trent’anni, un’esperienza unica in Italia. Oggi un volume raccoglie, a cura di Valeria Cicala e Vittorio Ferorelli, una selezione di testi tratti dall’archivio di IBC, offrendo l’occasione di ricomporre, attraverso i frammenti delle singole voci recuperate, la storia culturale di una regione, dagli anni Settanta a oggi.
Aprendo il baule del passato ci si ritrova di fronte a parole non ancora ingiallite, a istantanee che ripropongono, in modo nitido, i fotogrammi di un’altra storia. Più sommessa, meno eclatante, in molti casi diversa da quella attuale. In certe costanti, invece, paradossalmente analoga.
Questo testo di Gianni Celati, scrittore e traduttore, è stato pubblicato per la prima volta nel n. 3/1997 della rivista “IBC”.

 

Ultimi contemplatori

di Gianni Celati
(seconda parte)
 

Le nostre pianure dovevano essere quasi già completamente disboscate all’epoca degli stanziamenti romani, dunque non è mai stata la vegetazione a suggerire il culto della natura, e l’assenza completa del pittoresco naturale dipende da quello. Nelle nostre pianure l’immagine della natura è sempre stata legata alle tremende piene del Po, all’esuberanza distruttiva delle acque, all’enorme quantità di falde freatiche dove le acque penetrano facilmente attraverso i terreni argillosi, sbucando all’impensata in polle, stagni, paludi, o risorgive. Fino al secolo scorso c’erano paludi un po’ dovunque, il Po continuava ad aprirsi nuovi bracci attraverso le campagne, e la conca delle nostre pianure mostrava più chiaramente il suo volto: come un’isola sospesa su terreni incerti, con fiumi che girano quasi a livello del suolo in percorsi sinuosi e stravaganti, e sempre minacciata nel suo assetto superficiale dalle acque.

Per questo non esiste dalle nostre parti un’idea della natura riposante e idillica come in altri Paesi. Qui le acque mostrano la natura come qualcosa che non è assoggettabile al controllo dell’uomo, come una esuberanza imprevedibile, come una pazzia a cui gli uomini debbono adattarsi. Tutti i vecchi del Po che ho incontrato si vantavano soltanto di questo: di conoscere bene la “pazzia” delle acque, di sapere che il fiume è una “bestia matta” con cui bisogna adattarsi a convivere, concedendogli gli sfoghi necessari altrimenti si altera tutto l’equilibrio ambientale. Ma nel parlare di queste cose mostravano sempre la loro tendenza all’invenzione fantastica, con modi di dire dialettali e bizzarri, con una svagatezza visionaria che lascia stupiti. Come quella del vecchio signore incontrato sull’isola Serafini, il quale, dicendomi che lui si considerava un tarabusino, non faceva che indicarmi l’ispirazione della sua stravaganza di solitario contemplatore delle acque.

Ma adesso poniamo che abbiate percorso tutta la nostra regione, entrando dalla sua porta a nord-ovest, che è Piacenza, poi seguendo il tracciato rettilineo della via Emilia, visitando le antiche città che questa strada attraversa, con una deviazione verso Ferrara, che è la porta a nord-est verso altri territori. Avrete notato che anche nelle città sopravvive un ordine lineare come quello delle campagne, benché spesso turbato da percorsi curvilinei, che di solito indicano dove passa un corso d’acqua ora interrato. Le nostre città erano un tempo ricche di canali e di fiumane, ed erano ancora le acque a perturbare le simmetrie della scacchiera urbana, interrompendo o deviando la fuga di linee prospettiche. Ma bisogna anche dire che a Bologna, Modena, Reggio, Parma, le zone attraversate dalle acque erano per lo più quartieri popolari, artigiani, mercantili; mentre i luoghi nobili erano le strade del centro, con i palazzi patrizi che creano impeccabili linee di fuga, scandite dal ritmo regolare delle finestre all’italiana.

All’opposto dell’Inghilterra, dove le residenze nobiliari sono sempre in campagna e nascoste nel pittoresco naturale, l’insediamento nobiliare nel cuore delle nostre città crea uno scenario accentrato e dispotico, in cui le divagazioni dello sguardo sono sempre bloccate da prospettive fisse. E anche se questo paesaggio urbano è stato alterato da slarghi, chiese, piazze con un ordine spaziale barocco, più bizzarro e imprevedibile, rimane nelle nostre città il senso d’un accentramento dispotico, in cui il potere si associa a un’ostentazione vistosa che preclude ogni altra possibilità contemplativa.

Ancora adesso potete riconoscere l’antica magnificenza lineare delle strade nobili, percorrendo quei tratti della via Emilia che attraversano Reggio, Modena, o il centro di Bologna. Ciò che ha cambiato questo scenario in modo decisivo è il fatto che le strade nobili hanno seguito fino in fondo il loro destino di centri d’ostentazione, e si sono trasformate in aggregati di banche, di vetrine di lusso, di sfarzo pubblicitario, di esibizioni di ricchezza, dove tutto quello che non allude al profitto ha perso qualsiasi significato.

I centri cittadini sono ora soltanto una sfilata di esposizioni di merci, e chi non ha la frenesia della ricchezza si trova qui come un pesce fuor d’acqua. Divenute aggregati puramente commerciali, senza più canali e corsi d’acqua, assediate da un traffico ossessionante, le nostre città permettono ormai una divagazione dello sguardo soltanto di notte. Soltanto visitandole di notte si ritrova il senso della loro geometria lineare, ma anche le tracce d’una svagatezza fantastica che per secoli è stata un’antitesi e uno sfogo, rispetto all’ordine esterno troppo geometrico, dispotico e artificiale.

Direi che questa via di sfogo ormai appartiene al passato, che la svagatezza fantastica ormai è passata di moda, e che anche dalle nostre parti le nuove generazioni si sono assoggettate a un’idea pubblicitaria di normalità della vita. L’umorismo fantastico dei vecchi è preso dalle nuove generazioni come una stranezza di “gente che non è andata a scuola”, perché non somiglia a niente che potete vedere alla televisione. Ed è diventato una specie di irregolarità incomprensibile anche nelle campagne, sempre più invase da industrie che si spandono disordinatamente, imponendo dovunque un regime di vita urbano e pubblicitario.

Se entrate nei bar di campagna, troverete spesso dei vecchi che giocano a carte o leggono il giornale, mentre i giovani stanno a discutere di vacanze, macchine, soldi. I vecchi pensionati vanno in bicicletta e i giovani leoni vanno in macchina. Gli uni pedalano lenti osservando le cose, mentre gli altri filano sull’asfalto degli argini come su una autostrada. Sempre più isolati dal clamore pubblicitario che inneggia soltanto alla gioventù, i vecchi individui più indipendenti e fantasiosi tendono a ritirarsi in luoghi poco frequentati, come una specie animale minacciata dagli uomini e in via di sparizione.

Li potete vedere spesso al tramonto su un argine, a cavallo della loro vecchia bicicletta, straordinariamente assorti in riva al Po, immobili contemplatori delle acque. Sono loro che osservano di giorno in giorno gli sviluppi di una modernizzazione disastrosa, con la cementificazione degli argini che blocca i movimenti del fiume, con l’asfalto che blocca le falde freatiche, con le acque sempre più torbide per i rifiuti scaricati dalle industrie, con il trionfo delle piante infestanti che prosperano nei terreni acidi, con l’arrivo in massa di gabbiani che si nutrono di residui tossici sulle montagne di spazzatura.

Ne ho visti tanti contemplatori del genere, pensionati solitari in bicicletta, vecchi che difendono il loro isolamento con comiche battute dialettali, oppure chiusi nei loro pensieri e senza voglia di rispondere, assorti davanti a uno slargo del fiume. Ma non è soltanto in riva al Po che potete trovare questi contemplatori solitari. Ne troverete anche sulle strade dell’Appennino, sui crinali boscosi della provincia di Piacenza, sui pianori della provincia di Parma, sui passi che portano in Toscana, e nei paesini delle montagne romagnole fino al mare. Ne troverete moltissimi sul delta del Po, nell’intrico di canali della bassa ferrarese, nelle valli d’acqua di Comacchio, sui litorali quasi spopolati al confine veneto, e un po’ dovunque fuori dai grandi centri di ostentazione. Sono loro i veri esperti dei luoghi, gli osservatori più attendibili, gli ultimi spiriti fantastici della nostra regione.

Brano corrente

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