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10 Aprile 2014 | Racconti d'autore

Valvonauta

Un racconto di Jerry Kramsky tratto dal volume “Valvoline Story” (Bologna, Coconino Press, 2014).

A cura di Vittorio Ferorelli. Lettura di Fulvio Redeghieri

Bologna, gennaio 1983: dalle matite e dalle chine di Daniele Brolli, Giorgio Carpinteri, Igort, Marcello Jori, Jerry Kramsky e Lorenzo Mattotti nasce la rivista “Valvoline Motorcomics”, destinata a diventare un mito per i futuri fumettari. Il 21 aprile 2014, sotto le Due Torri, chiude la mostra che rievoca quella stagione. Il racconto di Jerry Kramsky (nome d’arte di Fabrizio Ostani) è tratto dal catalogo.

«Nell’affrontare la curva, proprio sotto la mia fabbrica preferita, l’ombra di un treno merci che transitava lì accanto con pochi vagoni ma a fari completamente spenti, mi intimorì»
mio nonno, navigatore europeo

Da ragazzo passavo sempre la fine dell’estate nella casa del nonno, in campagna. La finestra della mia stanza, sotto la grondaia, dava direttamente sulle risaie. Era un periodo particolarmente ventoso ed una mattina mi svegliai con la precisa fissazione di viaggiare.
Questo è il clima che prediligo! Aveva annunciato il nonno il giorno prima. Il vento agisce sul panorama, pulisce l’aria muovendo e spostando un po’ tutto e scombussola i nostri paesaggi interiori. Se lo lasci entrare, suppongo dalle orecchie, rinfresca i tuoi pensieri. Per questo molta gente si innervosisce quando c’è il vento e lo odia, hanno paura che li riassetti alla sua maniera…
A me il vento piaceva.
Passeggiavo spesso con mio nonno ed ero attratto dai suoi discorsi, lo ascoltavo anche se non capivo tutto quello che diceva, ma mi affascinava, era un vero adulto senza fartelo sopportare, forse l’unico che conoscessi. Anche lui mi piaceva.

Fu in quella settimana che passando su un dosso vicino alla strada ferrata mi rivelò di essere un Valvonauta. Era specializzato in viaggi acquatici e, se lo desideravo, mi avrebbe potuto raccontare tante cose. Di portarmi con sè non se ne parlava, non sarebbe stato possibile, c’erano delle severe regole.
Ai nostri lati una strada dritta e piatta si inoltrava fra le risaie. L’aria soffiava molto forte e increspava l’acqua color del fango che conservava una dignità marina pur essendo profonda pochi centimetri. Un mare speciale diviso da tanti arginelli, come i meridiani e i paralleli delle carte geografiche, ma più irregolari e disordinati.
Tra i profili di un gruppo di pioppi che si curvavano lontano, il nonno giurò di aver avuto la sensazione di un veliero e me ne indicò la scia. Quella sera si scusò se nei giorni seguenti, e forse anche per la prossima estate, non avrebbe più avuto tanto tempo da dedicarmi, poiché sarebbe stato impegnato nel ritrovare le tracce di un inglese. Il Valvonauta non dà molto peso alla diversa collocazione di stati e territori, mi spiegò pazientemente, ombre ed emozioni si possono spostare anche in luoghi ritenuti improbabili, chi può dire dove finiscono?

Mi parlò nuovamente di quell’inglese accompagnandomi al treno che mi avrebbe ricondotto in famiglia, mentre la stagione stava già mutando. Era un esploratore: l’ammiraglio Sir John Franklin.
Nato alla fine del Settecento, a diciannove anni aveva partecipato alla battaglia navale di Trafalgar. Poi, nei primi anni del 1800, aveva iniziato a girare per le regioni artiche, ottenendo importanti scoperte geografiche ma principalmente metafisiche. Così si era fermato per meditare. Nel frattempo era diventato governatore della Tasmania, un’isola montuosa e con molti laghi dell’Australia, dove pioveva assai spesso. La gente di quel posto era naturalmente un po’ magica e nel 1845 il suo sogno principale ricomparve: doveva assolutamente trovare una via tra i grandi continenti di Asia e America, il passaggio di Nord Ovest.
Partì, in mezzo ai pesci volanti, e si diresse verso la baia di Baffin con le due navi Erebus e Terror. Bloccato dai ghiacci, scomparve con tutti i 150 uomini dell’equipaggio.

Negli inverni seguenti mio nonno collezionò tutta una serie di quelle che chiamano malattie senili, queste determinarono il suo ricovero in uno di quei posti pieni di cattivi odori. Là dentro il mondo esterno diventava subito troppo distante e ci si sentiva dimenticati, così io mi allontanai da lui. Il calore di quei muri e certi rumori sconcertavano noi ragazzi.
Una delle ultime volte che lo vidi non si muoveva quasi più, ma non era molto triste visto che anche lì poteva viaggiare. Mi descrisse con lentezza le sue avventure, conservava dell’entusiasmo.
Aveva ormai abbandonato le ricerche dell’ammiraglio e mi disse, invece, di come una tribù africana cacciava, con vecchi archibugi, i gorilla che facevano razzie nei campi e nei villaggi.
Gli indigeni si mettevano di fronte allo scimmione provocandolo e deridendolo, stuzzicandolo con il fucile a mo’ di bastone. Questi si infuriava, ne afferrava la canna e se la metteva in bocca per morderla, allora si premeva il grilletto. Era necessaria una gran scelta di tempo.

Le mie visite al nonno erano rare. A volte lui sembrava non riconoscermi, forse scherzava. La sua casa fu chiusa, i miei genitori vi si recavano solo in occasione di un paio di festività durante l’anno.

Ora sono anch’io un Valvonauta. Non ho ancora la sua grande esperienza, logicamente, ma sono lo stesso molto attratto dal vento e dalle acque.
Spesso, al tramonto di una giornata limpida, ne ammiro il colore dai ponti. La luce obliqua rende l’acqua quasi luminosa anche se affatto trasparente. La corrente si ferma e per chi volesse camminarci sopra è certo questo il momento.

Brano corrente

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