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4 Luglio 2013 | Racconti d'autore

Via Emilia: 2200 anni in otto tappe

Reportage di Fernando Pellerano, tratto dal “Corriere di Bologna”, 24 e 29 giugno 2013 (terza puntata)

A cura di Vittorio Ferorelli. Lettura di Mascia Foschi

4 luglio 2013

Da Piacenza a Rimini sulla Strada Statale 9. Per festeggiare i ventidue secoli della Via che dà metà del suo nome all’Emilia-Romagna, l’edizione bolognese del “Corriere della Sera” ha rispolverato un genere intramontabile: il reportage di viaggio. 
L’autore, il giornalista Fernando Pellerano, tiene sul sito del “Corriere di Bologna” un blog intitolato “Dammi il tiro”, in cui racconta il capoluogo attraverso le sue video-pillole.

24 giugno 2013
A casa di Paz, la Bologna dei fumetti

Da Modena a Bologna, il viaggio sulla via Emilia continua. Ora, fuori porta, con la Ghirlandina alle spalle, la strada è davvero precisa, e dividere a metà Castelfranco Emilia e poi Anzola (punto mediano della consolare: 130 chilometri da Piacenza e, metro più metro meno, da Rimini) è un gioco da ragazzi. Ai lati della strada lo scenario è esatto: campi coltivati, capannoni, strade e ferrovie, filari di alberi, rotonde e camion, e ancora campi.

Impossibile oggi non pensare al terremoto che ha sfregiato e ferito il lato settentrionale della SS9. Lei però non ha neppure una fenditura. Il dolore è più su. E con lo sguardo da quella parte fanno impressione, ma stavolta per la bellezza (è piovuto il giorno prima, siamo fortunati), i cieli lunghi e profondi, arricciati da nuvole bianche e con sottostanti chiazze scure, che davvero sembrano, magari in scala 1:2, quelli sconfinati degli Stati Uniti. L’italica ampiezza della pianura padana, nel suo piccolo/grande, ci offre questo spettacolo.
E viene in mente il West citato da Guccini mentre canta la via Emilia. E quindi la musica, prodotta in quantità e qualità in questi chilometri (il genere della SS9? Blues, country, pop, liscio, fino alla disco…?). E comunque, qui, cantautori e gruppi di successo, tanti tantissimi. Più che altrove. Un po’ come l’altra musica, sempre su questi rettilinei, dei motori: Ferrari, Maserati, Lamborghini, De Tomaso, Bugatti, Pagani e sulle due ruote Ducati, Moto Morini, Malaguti… Talenti ed eccellenze. Misteriose predisposizioni che si allungano anche in Romagna.

Entrando in città attraverso Borgo Panigale, ci imbattiamo in un’altra eccellente storia, legata al fumetto (di cui Bologna è la capitale) e a uno dei suoi più grandi interpreti: Andrea Pazienza, scomparso un quarto di secolo fa (16 giugno 1988) a 32 anni. È proprio in via Emilia Ponente, al 223, che ha vissuto tutti i suoi dieci prolifici anni bolognesi, dal ’74 all’84. La casa è sempre la stessa, ma da un mese c’è anche una targa che lo ricorda. Tutte le sue più grandi e importanti storie (da Pentothal a Zanardi da Pertini alle vignette del “Male” o di “Cannibale”, “Frigidaire”, i manifesti per Fellini, eccetera) APaz le ha disegnate in quell’appartamento sulla via Emilia.
Finì lì, ai margini della città, perché ci abitavano dei suoi concittadini sanseveresi: i fratelli Fratta, Nicola De Mattia e Nino Biccari. Un primo anno da matricola molto pugliese, poi una più convinta vita sociale e maggiore spazio in casa: uno a uno i coinquilini se ne vanno e lui, forte dei primi guadagni con le tavole vendute a “Linus” e “Alter Alter”, condividerà la casa col fratello più piccolo, Michele, matricola universitaria nel ’77. Una camera a testa, viva i 20 anni.

Una casa stravissuta, «un porto di mare» dice il fratello, «caotico e divertente nei primi anni, angosciante e insostenibile negli ultimi mesi, quelli caratterizzati dal consumo di eroina», che costrinse Andrea, sofferente anche per amore, ad abbandonare Bologna e raggiungere la campagna di Montepulciano. La casa. Una grande vetrata in fondo all’ingresso, dove c’era un sedile di legno con una spalliera e poi due trespoli. Quindi la cucina col tinello e un tavolo di marmo dove mangiare. «Io cucinavo e mettevo in ordine, Andrea lasciava tutto in condizioni indescrivibili: un animale». Parole affettuose, eh, ma sincere.
Un bagno vecchio, con piastrelle rosa e nere e una grande stampa col Giudizio universale di Michelangelo. La casa riscaldata solo da una grande stufa a gas. Poi le stanze, una a testa. «Andrea ha disegnato spesso la sua camera (molto in Pompeo, l’ultimo struggente affresco autobiografico disegnato lontano dalla via Emilia, nella campagna senese): cuscini gialli sul letto e due leoni ai suoi piedi; lampade rosse e pareti cariche di foto (molte immagini di mamma) e di libri; una piccola serra con delle piante grasse, un appendioggetti e un armadio con specchio accanto alla finestra. E infine il tavolo pieno di pennarelli, fogli, matite, gomme e una Colt 45 di plastica sempre presente».

Paz che disegna di notte, stringendo a fessura gli occhi con un lembo di lingua fuori dalla bocca chinato sulla scrivania, la radio (Città) accesa. «Soprattutto di notte ma non solo. L’importante era che nessuno degli amici mangiasse e parlasse (briciole e saliva) sui disegni!». Il casino, il via vai continuo, non lo disturbavano (come le canne rollate a ripetizione, anzi, e la musica, dai King Crimson a Battisti). Velocissimo a disegnare, uno spettacolo. E a intrattenere con racconti mirabolanti e «balle pazzesche: un accentratore». Poi arrivavano anche le notti prima della consegna, avanti fino all’alba, fino all’ultimo. E anche quelle «della consegna».

Bologna laggiù, in fondo alla via Emilia, raggiunta in autobus o moto e con l’R5 di mamma (targata FG). La «vecchina» del palazzo come punto di riferimento e poi lì sotto il bar Cirenaica (oggi slot cinese…) dove Paz andava a fare colazione e a telefonare, sì perché quei 10 anni, lui, li ha vissuti senza telefono. Incredibile, come le sue opere. Tutte nate sulla via Emilia, al 223.

24 giugno 2013
Il mare di Imola e il confine della Romagna

A Bologna il decumano ideato da Marco Emilio Lepido 2200 anni fa è maestoso. La città vista dall’alto – non dai colli, dalla cima di una torre, ma dallo zenit! – s’irradia geometrica lungo l’asse, con le sue strade porticate, come le nervature di una foglia, secondo natura (urbanistica in questo caso). SS9: una linea che s’infila a Porta San Felice per sbucare, 2620 metri più in là (30’ a piedi e 10’ in bicicletta), a Porta Maggiore (in età moderna Mazzini), chiamata così, si dice, perché era da lì che in città entrava il Papa.
Affacciandosi indifferentemente da ovest o da est, manco a farlo apposta o forse sì, sullo sfondo compare sempre la torre Asinelli: stele (quasi) millenaria, eretta al centro della carreggiata (che precisione), con la pendente Garisenda, insieme a lei simbolo del capoluogo, leggermente discostata e, da protagonista minore (ma in realtà spalla formidabile e fondamentale), nascosta alla vista della consolare!

È profondo l’ombelico romano di Bologna. Praticamente in piazza Maggiore, accarezzata sul lato nord dalla via Emilia (lì via Rizzoli), si possono vedere in Sala Borsa, qualche metro sotto l’attuale sede stradale, le pietre originali di due millenni fa. Ma ora bisogna scegliere: o la visita archeologica (musei compresi) o il viaggio!
Non c’è dubbio, via da Bologna e avanti tutta a est, verso Rimini. Il tragitto a ritroso sulla SS9 prevede ora la conquista della Romagna. Già, ma dove comincia esattamente la Romagna?

Prima di raggiungere il vero eppur inesistente confine intraregionale ci si imbatte, superato Ozzano, in Claterna: città romana nata con la consolare, posta a metà del tragitto fra Bononia e Forum Cornelii (ovvero Imola). Dire che ci si imbatte è però esagerato, perché Claterna, che prende il nome dal torrente Quaderna, è scomparsa nel V secolo dopo Cristo, è stata scoperta alla fine dell’800 fra un’aratura e l’altra, e oggi non è altro che un sito archeologico rasoterra praticamente invisibile e, inutile negarlo, di alcun fascino (se non per gli studiosi: ci sono giovani stagisti che scavano e rispolverano, con la Soprintendenza che s’impegna assai) e pressoché sconosciuta.
Ci vuole moltissima immaginazione per appassionarsi a un appezzamento di terreno dove affiorano perimetri di cocci e nulla più. Meglio proseguire alla scoperta della Romagna che, secondo gli storici, inizia appena oltrepassato Castel San Pietro Terme e non alla fine della provincia felsinea, cioè a Castel Bolognese, singolarmente targato, seppur per pochi metri, RA (dopodiché si passa a FC).

E ancora una volta è un fiume a stabilire il di qua e il di là (siamo partiti dal Po, no?). Quello di oggi si chiama Sillaro (66 chilometri di timida acqua dolce, più torrente che fiume) e separa l’Emilia dalla Romagna. Eccolo il confine! Importantissimo per le nostre genti, eppure non c’è neanche un cartello a segnalarlo. Ce n’era uno vicino al Rio Sanguinario, ritenuto erroneamente il vero confine, ma è stato rimosso: incredibile. E da nessuna parte, è davvero incredibile, si legge Sillaro  (Sèlar in romagnolo, Sàrel in dialetto bolognese).

Comunque, ci fermiamo e lo attraversiamo a piedi. L’odioso frastuono del traffico, trenta secondi e siamo in Romagna. Una signora s’arrabatta in giardino. «Buongiorno signora, lei vive in Romagna: si sta peggio o meglio che in Emilia?». Lei alza lo sguardo affatto perplessa e risponde: «Si sta uguale». Insistiamo. «Non ci sono differenze?». «Direi di no», fa lei, imperturbabile.
Ma la questione si fa più seria a Imola, anche lei tagliata in due dalla SS9. Nel bar della piazza non c’è storia, i saggi interpellati dicono «noi siamo romagnoli e qui si sta meglio che a Bologna Se dovessimo scegliere noi staremmo in Romagna, abbiamo il mare noi». «Siamo legati a Bologna per via della politica [nessuna voglia di far parte della Città Metropolitana, nota del redattore], ma lingua e abitudini sono diverse». E infatti si sprecano le «e» chiuse.  E gli aneddoti (tortellini e cappelletti, acqua e vino).

Ripartendo si sente quasi l’odore del mare, quasi. Dopo Faenza ecco Forlì, Forum Livii, altra colonia romana fondata nel 188 avanti Cristo, patria, si dice, del vero dialetto romagnolo. Anche lei tagliata dalla via Emilia, che però entrando in centro col nome di corso Garibaldi – salotto cittadino – si piega e si incurva chissà perché per 300 metri, lambisce la monumentale piazza Saffi, ancora oggi ricca di simboli fascisti e popolata (in questo weekend estivo) solo da extracomunitari, e poi si raddrizza avviandosi fuori porta dove c’è da visitare la città Nuova, quella Razionalista voluta dal Duce.
Due cose da segnalare intorno alla SS9 di Furlè (dialetto): la rinascita, attraverso esposizioni artistiche e riqualificazione urbana, di via Regnoli, abitata da comunità straniere; l’apertura della stanza della Rabbia: 35 euro per passare un’ora in una camera con casco e mazza da baseball per sfogarsi sfasciando l’arredamento allestito di volta in volta con mobili di risulta. Oggi la stanza è chiusa, e comunque noi non abbiamo alcuna rabbia da liberare, ma un po’ d’appetito da soddisfare sì, e già vediamo l’artusiana Forlimpopoli.

 

Brano corrente

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