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11 Settembre 2006 | Andare per...

N°26-ANDAR PER MUSEI

Valeria Cicala, dell’Istituto per i Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna, presenta uno dei racconti del concorso “6000 caratteri per un museo”: “Cronache persicetane” di Claudio Zanini.

Cronache persicetane
Claudio Zanini


Prima fu il cielo, poi la terra. Spac! Nella fattispecie quella dell’Orto botanico. Il disco volante si piantò di muso. Sempre ammesso che un disco volante abbia un muso, dato che è tondo. Comunque sia, quello era l’ultimo modello di veicolo famigliare per vacanze siderali indipendenti: quel che per noi terrestri è un camper. Iperattrezzato e iperaccessoriato. Con tanto di bagno positronico. Ma la famigliola extraterrestre che ci stava sopra, adesso dopo l’impatto, non pensava già più ai conforts tanto decantati dal concessionario. “Te l’avevo detto che volavi troppo basso!” strillò la moglie. “No!” – replicò il marito – “È stato un vuoto d’aria improvviso.” Il figlioletto invece rideva divertito, incurante della pericolosa situazione.
I *** (il cognome dell’allegra famigliola risulta impronunciabile ai nostri terrestri orecchi) venivano da un pianeta distante qualche anno luce ed era la prima volta che si spingevano da questa parte della galassia. Avevano sentito parlare talmente tanto della Luna da farsi venire l’idea di visitarla. E già che c’erano, avevano voluto dare una sbirciatina pure alla Terra: avevano sorvolato la Torre Eiffel di Parigi, il Big Ben di Londra, il Teatro Consorziale di Budrio… e poi, attratti da una luce lontana, avevano virato sulla Bassa, sfiorando tetti, antenne e parabole di San Giovanni. Ma, ahinoi, quella luce era solo un’insegna più luminosa delle altre. E poi loro che cosa fosse una tigella manco lo sapevano. Fatto sta che evitata per un soffio la cupola del Planetario, si ritrovarono lì piantati nel botanicissimo orto. Dall’oblò potevano adesso leggere comodamente la targhetta dell’albero vicin “Carpinus Betulus, fam. Corylaceae”.
Per quanto evoluti e cervelloni, i *** adesso erano un poco preoccupati. Che fare? Lì il telefonino non prendeva. Non potevano chiamare il soccorso spaziale per farsi trainare fino alla più vicina astro-officina! Al signor *** non difettava però il coraggi aprì il portellone e con un balzo toccò il suolo. Pfsch! Per la respirazione tutto OK. Anche perché a lui non serviva respirare: quella era roba antica e superata. Si guardò intorno con tutti e sette gli occhi e poi fece qualche passo in avanti. Ma subito trasalì: dall’oscurità una miriade di occhi gialli e ferini venne innanzi. “Hic sunt leones”, recitavano le carte astronautiche a proposito della Terra! Al signor *** si rizzarono i capelli, o quel che erano, in testa. Paralizzato dalla paura, non riuscì subito a realizzare che quella era soltanto l’innocua colonia di gatti dell’Orto che veniva a dar loro il benvenuto. Al primo miagolio però il ragionamento da essere ultraevoluto ebbe il sopravvento sulla paura. “Tutto a posto!” – disse voltandosi verso moglie e figlio, che dal portellone lo osservavano preoccupati – “Aspettiamo che faccia giorno”.
La signora Cesarina, di buon’ora come tutte le mattine, era arrivata all’Orto botanico per portar la pappa ai gatti. Stava ora contemplando il curioso oggetto nuovo lì in mezzo. “Un’altra diavoleria del Gruppo astrofili!” brontolò ad alta voce. Ma quando i suoi due occhi incrociarono i sette del piccolo ***, che dall’oblò la osservava stupito, la signora Cesarina capì che stavolta c’era qualcosa di ancor più strano del solito.
Si sa, il paese è piccolo… la gente mormora… prima di mezzogiorno la cittadinanza tutta, sindaco in testa, era già riunita lì nel giardino. Ai primi attimi di indecisione e imbarazzo erano seguiti sorrisi e pacche sulle spalle. Anche perché problemi per comunicare non ce n’erano stati: il traduttore istantaneo dei *** funzionava a meraviglia, eccetto una lieve inflessione modenese dovuta a un’interferenza sul canale. In men che non si dica fu votata in consiglio una mozione per la cittadinanza onoraria e nel frattempo fu attivata ogni risorsa per porre fine all’emergenza degli ospiti intergalattici.
Per il cibo non vi fu problema, anzi. I *** sembrarono gradire molto tagliatelle al ragù e friggione. Quel che non andava era il disco. I meccanici, adusi ad automobili e trattori, non capivano nulla di quel motore spaziale! E per di più il piccolo *** si mise a singhiozzare, dicendo di voler tornare a casa dai suoi giocattoli. A nulla servì la promessa di portarlo all’oasi naturalistica della Bora, a veder tritoni e svassi.
Si dà il caso però che quel pomeriggio vi fosse un laboratorio di fisica all’aula didattica “Tecnoscienza”: una di quelle occasioni in cui i bambini si divertono a fare e sperimentare e nel contempo imparano un sacco di cose interessanti. Quale occasione migliore, se non quella, per ragionare su qualcosa di concreto? Annalisa e Sonia, le due insegnanti, invitarono i bambini tutti a ingegnarsi. Un bimbo propose di aumentare la massa al fine di diminuire la velocità della luce. Un altro bimbo invece suggerì di sfruttare l’effetto fionda dei campi gravitazionali della Decima. Nulla però di tutto questo, almeno sul breve periodo, sembrava realizzabile. Fu Sandrino ad aver l’idea, o meglio la mossa, giusta: per combinare una marachella, svitò il tappo di un piccolo serbatoio e vi versò tutta una bottiglietta di gazzosa. Come d’incanto il motore si mise a scoppiettare: prima timido, poi sempre più deciso. Vroarrrrrr!
Il piccolo *** si chetò e sorrise, il signore e la signora *** si abbracciarono, vi fu un mare di applausi, alcuni persicetani portarono Sandrino in trionfo lanciando grida di gioia. Insomma, fu contentezza per tutti.
E poi vennero i saluti, la promessa di tornare, la commozione di qualcuno che già s’era affezionato ai naufraghi spaziali… e poi il disco volante che si alza e sfreccia e diventa sempre più piccolo lassù in alto, fino a sparire… e poi, anzi prima, la foto ricordo, che a pensarci mi s’inumidisce ancor oggi il cuore: la comunità tutta di San Giovanni stretta attorno all’aliena famigliola, la signora Cesarina col piccolo *** in braccio… be’, insomma, la foto sta lì appesa al Museo del Cielo e della Terra. Andate a vederla: è ben più esplicita di questi seimila caratteri!


http://www.ibc.regione.emilia-romagna.it

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