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3 Marzo 2008 | Archivio / Una città una storia

N°98-UNA CITTA’ UNA STORIA

Le terre della bonifica ferrarese.

Dal quotidiano on line del Comune di Ferrara, Cronaca Comune (www.cronacacomune.it) prendiamo questo interessante articolo sulla presenza dell’acqua nel ferrarese. Siamo nelle terre della bonifica, sotto l’argine del Po… 

Dove l’acqua si combatte con l’acqua
di Fabio De Luigi

Il cielo è grigio, brontola mentre le nubi si rincorrono tra le torri del castello. Poi si apre e viene giù acqua che Dio la manda. Abbiamo un bel da correre tra i tavolini del bar lì accanto in cui stavamo silenziosi a leggere il giornale, per rifugiarci sotto la veranda di ferro stile liberty che ormai è in tutti i film che girano in città.

Dall’acqua non scappi a Ferrara. E non solo perché lì, in quell’esatto angolo di città, l’acqua ce l’hai sopra la testa, proprio in quel momento, perché è estate e si sa che d’estate, alle volte, da queste parti piove; ce l’hai anche sotto i piedi, l’acqua, che parte dal fossato del Castello e scorre sotto il viale Cavour, lungo un canale tombato che si chiama Panfilio e arriva fino al Po. È la strada principale della città che è tracciata sull’acqua. Ma la trovi dappertutto a Ferrara l’acqua, anche scritta sui muri, anche nei nomi di strade, vie e luoghi: ancora via Panfilio ma anche via Ripagrande, via della Ghiara, via dei Sabbioni (l’attuale via Mazzini) e via della Rotta (l’attuale via Garibaldi), e poi via Argine Ducale, l’Arginone e l’argine Traversagno e anche fuori, in borgate come Cassana e Porotto dai nomi che esplicitamente richiamano storie di acque.

Tutti lì a ricordarci come i fiumi non solo attraversavano la città ma la modellavano, la costruivano con i materiali lasciati dalle loro esondazioni e la distruggevano con la forza periodica delle rotte. E anche lì dove siamo in quel momento, proprio nell’altro angolo della piazza c’è un grande righello scolpito su una colonna; l’ho imparato a scuola che è un “padimetro”, serve a raccontare a che altezza sono arrivate, nella storia, le varie piene del Po, ma non l’ho mai osservato bene. Ci avviciniamo e non appena capisco come funziona, mi rendo conto che il livello del Po, anche oggi, arriva al capitello della colonna; per un attimo i miei ricordi di fisica mi lasciano attonito. “Pensa che strano, saremmo tutti a bagno se non ci fossero le chiuse” dico a Sofia che se ne sta silenziosa accanto a me, certamente più attratta dall’aspetto storico della faccenda che da quello idraulico.

Lei ha vissuto molti anni a Bologna e ancora oggi, quando deve indicare una porta della città, usa, come si fa dappertutto, il nome della strada che esce da quella porta: porta Bologna, porta Modena. Invece no, qui a Ferrara le porte della città, i confini, quella cosa che definisce l’identità di un luogo, hanno il nome delle acque: porta Po, porta Reno, porta Mare.
Così decidiamo che oggi è la giornata buona per partire, un viaggio tra le terre della bonifica può cominciare sotto la pioggia, anzi, forse è meglio.

Non è facile scegliere da dove iniziare questo percorso, la carta è una rete complicata di canali circondariali, canali collettori, acque alte, acque basse, emissari, capofossi, scoline, bacini, un vero e proprio labirinto, un sistema di arterie, vene e capillari che si stende sull’intera provincia. Sarà la storia a guidarci, almeno in questa prima fase, e poi una linea dritta su una mappa così complessa attira lo sguardo: il canal Bianco, una linea azzurra che taglia tutta la parte nord della provincia di Ferrara e costeggia, in questo viaggio verso il mare, la prima grande bonifica estense verso est, quella voluta Alfonso II d’Este attorno alla metà del 1500. Il canale venne prolungato artificialmente dagli Estensi con lo scopo di raccogliere le acque che provenivano dalle bonificazioni a ovest della città (le cosiddette “acque alte”) e tenerle separate da quelle della zona a est.

Questo enorme lavoro, che arrivò a prosciugare tutta la provincia fino all’altezza di Mesola, costò moltissimo ed ebbe, a quanto pare, risultati scarsi tanto che pochi anni dopo questa parte di territorio tornò ad essere allagata; ma fu la prima volta che venne istituita la Conservatoria della Bonificazione, l’antenato degli attuali Consorzi di Bonifica. Doveva proteggere e manutenere i ponti, le botti, le chiaviche e tutte quelle opere che si stendevano su oltre 30.000 ettari di terreno bonificato con una tecnica tanto semplice quanto efficace: i fiumi che scorrevano su queste terre, limitati dai loro argini, venivano fatti tracimare e la loro acqua trascinava fango, melme e detriti dentro alla palude. Questa operazione, ripetuta più volte, portava a colmare l’area paludosa. Singolare tecnica quella di combattere l’acqua con l’acqua.

Arriviamo a Boara, il canal Bianco non l’abbiamo ancora affiancato e, a dire il vero, non sembra nemmeno di essere usciti del tutto dalla città; ma se nei nomi dei luoghi c’è un senso questa prima area che attraversiamo, le cosiddette “Terre vecchie”, mantiene fede a quello che promette. Molti nuovi insediamenti residenziali e qualche villa sembrano aver riempito i grandi spazi tra vecchie case coloniche fatiscenti, talvolta sostituendole ma più spesso affogandole dentro ai nuovi quartieri.
“Molti, soprattutto i giovani, qui vivono come in un quartiere di Ferrara” ci dice infatti un po’ rattristato don Francesco, il parroco che incontriamo dopo la messa domenicale. E vecchio qui è anche il ricordo della bonifica, forse perso dentro a un libro di racconti del luogo che qualcuno in paese cerca di mantenere vivo o forse nell’ipotesi che il campanile della chiesa, costruito prima del 1600, fosse in realtà un faro nella palude che allora riempiva queste zone.

Sta spiovendo mentre lasciamo Boara, l’aria si fa tersa nel primo pomeriggio in attesa che il sole ricominci a cuocere la terra. L’unica cosa alta, sull’orizzonte alla nostra sinistra, è una grande linea verde scura, infinita; sono i pioppi dell’argine del Po. In una terra dove l’altitudine massima è di quattro metri, gli argini dei fiumi sono le catene montuose, i campanili delle chiese sono le vette da raggiungere. Il resto del panorama si fa campagna piatta, iniziamo a confonderci e la carta stradale non ci aiuta a seguire le acque. Ci stacchiamo dal corso del canal Bianco, puntiamo a Ro e al Po, in fondo sono meno di tre chilometri. Un cartello lungo la strada ci avvisa di una festa di paese che si svolge nella golena; eccolo il rapporto tra la gente, la terra e l’acqua, qui lo trovi senza cercarlo.

Raggiungere il Po a Ro significa attraversare l’”Area Golenale Turistica Attrezzata”: un prato perfettamente rasato, la ricostruzione didattica di un mulino sul Po, i cartelli turistici in due lingue, il bar con lo spaccio di prodotti locali di qualità, guide e mappe di itinerari turistici e un mercatino domenicale fatto di bancarelle così perfette che Sofia paragona subito a un mercatino tirolese. A una di queste bancarelle qualcuno propone la carne di bufalo come novità: anche qui la voglia di crescita e di turismo forse ogni tanto porta a esagerare. Ma siamo anche nel mezzo di uno splendido circuito ciclabile, la pista “Destra Po” che scorre lungo l’argine ferrarese del Po fino alla foce. E chi la percorre a Ro può anche seguire un circuito alternativo di sei chilometri nei luoghi di Riccardo Bacchelli e del suo splendido “Il mulino sul Po”, poema «molinaresco» di una famiglia di mugnai, di eventi che dalla Russia arrivano qui e si snodano con la lentezza del grande fiume, saga generazionale di campagna, splendore e decadenza della famiglia Scacerni.

Torniamo verso il canal Bianco, il primo incrocio di strade è anche un incrocio di fiumi. Un enorme fabbricato si staglia alla nostra destra, l’idrovoro Ceccata, ormai in disuso ma perfettamente conservato. Ci racconterà Gaetano Marini, grande appassionato oltre che professionista della bonifica, che questo è un impianto di “pre-sollevamento”, perché alle volte il dislivello da far superare all’acqua è troppo alto e allora prima va sollevata verso un canale e poi verso uno ancora più in alto; a questo punto la pendenza è sufficiente per arrivare al mare. Non è uno scherzo, capiamo perché i lavori di bonifica sono falliti per centinaia di anni da queste parti.

Vogliamo proseguire lungo una linea dritta, quindi dobbiamo abbandonare il canal Bianco, ora la nostra guida è lo scolo Lavezzola, la strada diventa sterrata. Ma è qui che finalmente ci rendiamo conto di essere in piena bonifica, si incontrano piccoli fabbricati che ospitano le idrovore, le chiuse, le botti. Alcuni sono ben tenuti, altri fatiscenti evidentemente abbandonati. Praticamente ogni scolo, ogni canale ha la sua piccola chiusa, azionabile a mano, che serve per aprire o chiudere, per scolare acqua in eccesso o per darne ai campi nei momenti di siccità. Intanto uccelli neri dalla testa rossa si piantano in mezzo alla strada e non si spostano e gli iris gialli si aprono la strada tra i canneti degli argini.

La Guarda non è un paese di gente cattiva”: con questa citazione del “Mulino sul Po” ci accoglie un cartello all’entrata di Guarda Ferrarese, piccola frazione che deve a Bacchelli la sua notorietà; per il resto l’atmosfera, qui come ad Alberone, il paese cha abbiamo appena attraversato, è più povera anche se forse più autentica. E non riusciamo a non pensare che lo stesso Bacchelli concluse la vita in povertà, tanto che venne approvata in suo nome una legge che assegna un vitalizio a cittadini che si sono distinti nelle arti, nella cultura e nello sport ma che versano in condizioni di indigenza.

Alberone, Guarda, Cologna: i paesi sfilano via lungo la strada ormai illuminata dalla luce radente del tramonto, non si contano più i ponti e le chiaviche ma nemmeno le case del popolo, le sedi del sindacato pensionati, le parrucchiere di paese e le pizzerie take-away, commistione di passato e modernità, di servizi alla persona e di desiderio di essere altrove. Intanto la gente sta seduta davanti a casa a chiaccherare in questo tardo pomeriggio domenicale.


Lettura di Fulvio Redeghieri

Brano corrente

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