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16 Settembre 2016 | Mostre

Tre buoni motivi (almeno) per visitare la Villa dei Capolavori

A Mamiano di Traversetolo una collezione unica si arricchisce con le celebri Ninfee di Monet e una mostra sull’arte italiana negli anni del boom

A cura di Carlo Tovoli

Cari ascoltatori, da oggi non avrete più scuse per visitare o rivisitare la Villa dei Capolavori di Mamiano di Traversetolo, in provincia di Parma, sede della Fondazione Magnani Rocca. La Villa, tra mobili ed oggetti originali stile “Impero”,  già ospita una prestigiosa collezione d’arte, quella di Luigi Magnani, che annovera, fra le altre, opere di Dürer, Tiziano, Rubens, Goya e, tra i contemporanei, Monet, Renoir, Cézanne fino a Morandi e Burri. La novità è che dal 3 settembre una sala è dedicata in esclusiva a Claude Monet con opere della collezione, tra cui Falaises à Pourville del 1897, e, proveniente dagli Stati Uniti, una delle celebri Ninfee di Monet, tra quelle che realizzò a Giverny, nall’alta Normandia, dove costruisce un giardino e uno stagno e coltiva fiori di vario tipo, tra cui le ninfee, che impegneranno in modo quasi ossessivo il pittore nell’ultimo trentennio di vita.

“Le bassin aux Nympheas”, del 1904, proviene dal Denver Art Museum ed è emblematico  nell’illustrare una pittura che partendo dal paesaggio arriva a dissolvere la realtà in un sogno luminoso, astratto. Potremmo azzardare “informale”. E fa così da preludio alla mostra “Italia Pop. L’Arte negli anni del boom”, in corso fino all’11 dicembre.

Esiste una “via italiana” alla Pop Art che, seppur in sintonia con le analoghe esperienze internazionali, spicca per originalità ed autonomia rispetto ai modelli statunitensi ed europei di quel periodo. Se non altro per il retroterra da cui prende avvio. Lo testimoniano due opere esemplari provenienti dalle stesse collezioni della Fondazione, ovvero la “Piazza d’Italia” di Giorgio de Chirico e il “Sacco” di Alberto Burri. E non è un caso se inizialmente la critica parlerà di una stagione “neo-metafisica” a proposito dell’opera di autori in seguito pop come Mario Schifano o Tano Festa.

Tra i percursori del linguaggio Pop propriamente detto ritroviamo alcuni autori che ci raccontano di un  paese che andava uscendo dai traumi della guerra e si apriva a nuovi, inediti stili di vita, capaci di generare naturalmente anche nuove immagini. Gianni Bertini, Enrico Baj, Mimmo Rotella, Fabio Mauri, respirano appieno il nuovo clima anche sociale che andava maturando negli anni Cinquanta. Si affiancano a fine decennio autori come Schifano, Renato Mambor, Gianfranco Baruchello e pongono le basi per lo sviluppo della vera e propria stagione d’oro della Pop Art italiana tra il 1960 e il 1966.

Fu un momento di straordinario fervore artistico che investe l’intera penisola e ha i suoi centri nevralgici nelle città di Milano e di Roma, ma trova luoghi di diffusione anche a Torino e in Toscana. In questa sezione i capolavori di Mimmo Rotella ed Enrico Baj, degli autori romani riuniti sotto l’etichetta di “Scuola di Piazza del Popolo”, i già citati Schifano, Festa, Mambor, Mauri e poi Franco Angeli, Umberto Bignardi, Mario Ceroli, Giosetta Fioroni, Sergio Lombardo, Cesare Tacchi, Claudio Cintoli, le opere degli artisti operanti a Milano come Valerio Adami, Lucio Del Pezzo, Piero Manzoni, Emilio Tadini, Antonio Fomez, i torinesi Piero Gilardi, Aldo Mondino, Michelangelo Pistoletto, i toscani Roberto Barni, Adolfo Natalini, Gianni Ruffi, Roberto Malquori.

Ciò che rende questa mostra un autentico unicum è la possibilità di vedere una serie di rare sculture sparse nelle sale della Villa. Gli animali in metacrilato di Gino Marotta, le sculture di Pino Pascali, i legni di Mario Ceroli, la “Prima televisione a colori” di Gianni Ruffi dialogano con gli arredi e i dipinti della Fondazione, in un sorprendente confronto tra il mondo classico e la cultura popolare degli anni Sessanta. Ci sono inoltre alcuni significativi pezzi di design dell’epoca, oltre a rimandi all’editoria e alla discografia, che permettono allo spettatore di immergersi appieno nel clima culturale del tempo. Nel percorso della mostra anche il video sul mondo del Piper Club di Roma, vero tempio della musica e del costume giovanile anni Sessanta.

La mostra è curata da Stefano Roffi e Walter Guadagnini, e il catalogo è edito da Silvana Editoriale. Ultimo, ma non ultimo, motivo per recarsi alla Fondazione Magnani Rocca è lo splendido parco “romantico”  di dodici ettari che circonda la Villa. Lo cura Alessandro Barberini, giardiniere della Fondazione, che conduce visite guidate per gli amanti del “verde”. Una è prevista per sabato 24 settembre, alle 15.30, nell’ambito della rassegna regionale “ViVi il Verde. Alla scoperta dei giardini dell’Emilia-Romagna”. E se, come me, avete un cuore “green” non perdete quest’occasione per farvi una scorpacciata di arte e di natura!

Tutte le informazioni sul sito http://www.magnanirocca.it/

Un saluto da Carlo Tovoli!

 

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