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26 Luglio 2014 | Paesaggio dell'anima

L’arte della fuga

Un viaggio in regione attraverso la musica

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redighieri.

Alexander Demophon: A che sono hormai conducto (da “Affresco musicale del Rinascimento a Bologna”, 2012.  Barbara Vignudelli, Roberto Cascio e Cappella musicale San Giacomo Maggiore).

Cari ascoltatori, stiamo seguendo il nostro medico “di nazion bolognese” Leonardo Fioravanti nel suo “camminare il mondo”: un medico errante del Cinquecento, desideroso di conoscere luoghi, di imparare la scienza, di ottenere fama e soldi, un po’ scienziato e un po’ cialtrone. Scrive Piero Camporesi che ne ha raccontato la vita: «”Camminare il mondo” era per Fioravanti l’unico immutabile, ossessivo baricentro, mobile e incerto, dell’esistenza. E il mondo gli appariva come una piazza universale. Sapeva per esperienza che la terra era un viscido labirinto pieno d’inganni e di gabberie, un mare d’invidia maligna denso d’insidie e di pericoli nel quale solo chi sapeva nuotare e barcamenarsi tra scogli e gorghi d’ogni genere riusciva a galleggiare e sopravvivere». Quella “gabbia da matti” che era la terra, Fioravanti la percorreva alla ricerca dei segreti della natura, per imparare tecniche nuove, distillare e sperimentare nuovi farmaci. E fu così che nell’autunno 1558, salpando da Pesaro, sbarcò a Venezia, che era allora “l’ombelico del mondo”.

 Nicola Alesini & Pier Luigi Andreoni: Ritorno a Venezia.

 Venezia in mezzo alle acque gli apparve come un miracolo. L’imponenza del suo famoso arsenale, le navi da guerra e da commercio che continuamente solcavano la laguna, la bellezza delle chiese, la magnificenza dei palazzi, la varietà delle arti, l’andare e venire delle merci, il grande emporio delle spezie in cui lui, esperto di erbe, andava a cercare quelle adatte ai medicamenti: Venezia gli piacque così tanto che vi restò diversi anni, prima di stancarsene e di andarsene a Firenze e quindi a Pola. Presso la Serenissima imparò a usare la stampa per diffondere le proprie conoscenze e aumentare la propria fama: evitando il latino degli accademici ma scrivendo in italiano, infarcì le sue ricette farmacologiche e la divulgazione dei segreti da lui scoperti, con aneddoti, storielle, notizie di prima mano, che confermavano al lettore la sua cultura e la sua attendibilità.

 Joan Ambrosio Dalza: Pavana alla venetiana (da “Affresco musicale del Rinascimento a Bologna”, 2012.  Roberto Cascio e Cappella musicale San Giacomo Maggiore).

 Firenze e l’Istria, come dicevamo, furono le tappe successive del nostro medico errante, un “maestro dell’arte della fuga”, come lo definisce Camporesi. Poi Ferrara, scossa nel 1570 da un rovinoso terremoto, e Milano, piazza difficile che non gli diede soddisfazione. Intanto cresceva la fama di Leonardo Fioravanti in Europa: a Parigi come a Londra e in altre città, arrivavano unguenti, polveri, acque, elisir da lui lambiccati e composti, e venivano pubblicati i suoi scritti. Tornato a Venezia nel 1573, se ne scappò all’arrivo della peste nel 1576, per andare questa volta più lontano, in Portogallo e in Spagna, riattraversando il Mediterraneo. Fu a Lisbona, in Navarra, in Catalogna, a Madrid alla corte di Filippo II, ma soprattutto fu Siviglia ad attirarlo perché in quella città abitava il dottor Monardes, il più grande conoscitore della farmacopea americana. A Siviglia, infatti, arrivavano erbe, esemplari botanici e prodotti animali provenienti dal Nuovo Mondo, essenze rare e ignote che aprivano nuove prospettive alla pratica distillatoria. Dopo i primi entusiasmi per il peperoncino o il balsamo di Cartagena, arrivò a scrivere che in “questa nostra Italia” noi “avemo tante cose meravigliose in natura che è un stupore” e “se tal cose ci fossero riferte dall’Indie ci pareriano cose impossibili e da non crederle”.

 Joan Ambrosio Dalza: Calata alla Spagnola (da “Affresco musicale del Rinascimento a Bologna”, 2012.  Roberto Cascio e Cappella musicale San Giacomo Maggiore).

 Dopo due anni in Spagna, il nostro medico itinerante, ormai anziano, torna in Italia. Dopo quarant’anni di peregrinazioni, “sentiva che la ruota del tempo e quella della fortuna stavano per mollarlo”, scrive Camporesi. Nel 1582 dà alle stampe a Venezia la sua ultima opera, e ha già 65 anni, che a quei tempi erano molti. Dalla Spagna il “magico guaritore” era tornato esausto, le forze calavano e forse sentiva che il suo “camminare il mondo” era stato inutile. Nel suo crepuscolo, intuiva che i suoi portentosi rimedi non erano più di moda. Si sa poco dei suoi ultimi anni. Nel 1583 era probabilmente ancora vivo perché in quell’anno esce la ristampa della nuova edizione dello Specchio di scientia universale. “Quando l’ora lo colse e l’avida signora entrò senza bussare nella sua casa, certamente d’affitto, per riscuotere la sua pigione – scrive Camporesi -, trovò che la stava aspettando. Da tempo aveva gettato ogni medicina”.

Milos Karadaglic: Recuerdos de Alhambra.

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