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22 Maggio 2012 | Archivio / Protagonisti

Amanzio Fiorini

In mostra a Reggio Emilia gli scatti del fotografo d’Appennino

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redeghieri.

22 maggio 2012

A Nismozza, piccolo centro dell’Appennino reggiano segnato dall’emigrazione, Amanzio Fiorini rientrato dall’America nel dopoguerra, aveva aperto un atelier fotografico e immortalato su pellicola migliaia di montanari che ora riposano nel piccolo cimitero del paese. Alcune sue immagini sono finite anche su Time e Life e in una mostra a Parigi. La nipote Rosi Manari nel 2010 ha ricostruito la vita che batteva dietro quei volti e fondato nel borgo di Busana l’Associazione Amanzio Fiorini per valorizzare l’immenso patrimonio fotografico del nonno e per promuovere l’identità e la memoria storica della montagna, attraverso iniziative realizzate nei paesi d’Appennino.

Nell’ambito della manifestazione internazionale Fotografia Europea a Reggio Emilia, l’Associazione Amanzio Fiorini, in collaborazione con il Consorzio di Bonifica Emilia Centrale, propone in questi giorni e fino al 3 giugno una mostra dedicata a Amanzio Fiorini: ritratti, paesaggi, gruppi familiari, eventi collettivi, immagini struggenti, a volte spietate, sguardi penetranti che fissano negli occhi, attraverso l’obiettivo, il fotografo amico. Volti e ambienti della montagna reggiana che ci interrogano con tutto il fascino di storie che emergono dal passato, restituendo una presenza cristallizzata nel tempo. E’ come se quegli istanti, fermati oltre mezzo secolo fa, fossero ancora presenti tra noi, a testimonianza di una memoria che non si esaurisce.
L’esposizione si intitola “L’istante ritrovato” ed è ospitata presso il Palazzo del Portico, Bonifica dell’Emilia Centrale.

Amanzio Fiorini nasce a Nismozza, sull’Appennino reggiano, il 12 marzo 1884 da una famiglia di umili origini: i suoi antenati erano emigrati in montagna dalle colline di Puianello come braccianti agricoli a servizio di un’agiata famiglia del luogo. Giovanissimo si stabilisce a Genova e apprende il mestiere dell’orologiaio. Nel 1908, dopo essersi sposato, è costretto ad emigrare a Chicago dove trova lavoro in una fabbrica di orologi ed inizia a fotografare con una modesta Kodak. Alla fine del conflitto torna a Nismozza. Qui, con il denaro guadagnato in America, è riuscito nel frattempo a costruire una casa. Sul retro dell’abitazione apre un atelier di fotografo con attiguo un laboratorio da orologiaio. La fotografia da quel momento diviene la sua principale occupazione. L’attrezzatura di base del suo studio consiste in una grande macchina a lastre (una “Voigtlander” con obiettivo135 mm.) ed un ingranditore acquistato a Milano nel 1920, oltre a strumenti che si costruisce da sé, come gli “chassis” supplementari, i moltiplicatori per lastre, un bromografo, la tavoletta per il ritocco, gli sgocciolatoi, alcuni torchietti per la stampa ed anche degli illuminatori ricavati da pentole di cucina. Più tardi acquisterà una Rolleicord, usata soprattutto per le riprese in esterni.

Nel corso degli anni migliaia di persone, una popolazione intera della montagna, passa davanti al suo obiettivo, immortalando per sempre la propria immagine sullo sfondo di un’improbabile fondale marino circondato di palme. Molti anni dopo,la Galleria d’Arte Moderna di Bologna restaurerà quel fondale, restituendogli la dignità di un’opera d’arte. Per umili contadini, boscaioli, emigranti, gente che parte per la miniera, la foto di Amanzio diviene un vero e proprio rito. E allora eccoli, quei visi di persone che di lì a poco partiranno per sempre per l’America, quei gruppi familiari raccolti attorno al patriarca, ma anche personaggi che passano la loro vita nei boschi, catturati per un attimo dal suo obiettivo curioso. Oltre ai molti ritratti in studio Amanzio fotografa anche paesaggi, momenti di lavoro, cerimonie, gruppi, eventi, accumulando così un ricchissimo patrimonio fotografico.

Amanzio Fiorini muore a Nismozza nel 1961, lasciando alla famiglia un archivio di migliaia di lastre al gelatino-bromuro d’argento, circa 4.000 negativi 6×6 ed alcuni positivi. Il suo patrimonio di immagini fu in seguito studiato e valorizzato, e alcune delle sue foto finirono sulle più prestigiose riviste di fotografia internazionali come Time Life e in una mostra allestita al Centre Pompidou a Parigi. Persino i fratelli Alinari erano interessati ad acquistare l’intero archivio, prezioso documento storico e sensibile indagine etnografica. Una sezione fotografica è a lui dedicata alla Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia ed è lo stesso artista reggiano Luigi Ghirri a realizzare il primo e unico catalogo delle sue foto.

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