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2 Agosto 2011 | Archivio / Protagonisti

Carolina Pepoli Tattini, una contessa nella battaglia

I protagonisti emiliano-romagnoli del Risorgimento

A cura di Paola Fedriga e Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redeghieri.

2 agosto 2011

Cari ascoltatori, questa è la seconda puntata della nostra rubrica “I Protagonisti” che  dedichiamo agli “eroi” del Risorgimento: a quelli che con tanta enfasi sono definiti tali nei libri di scuola e nelle celebrazioni ufficiali, ma che in realtà erano uomini e, spesso, ragazzi, come noi, solo vissuti in un’altra epoca, dove gli ideali erano diversi, ed erano quelli sui quali si è costruito il nostro Paese. Vale la pena di ricordarli, questi personaggi, almeno nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia.
Noi ci occuperemo dei protagonisti emiliano-romagnoli, i cui nomi troviamo oggi scolpiti nelle targhe che indicano vie, piazze, monumenti a loro dedicati, o case in cui hanno vissuto. Anche in questa puntata restiamo a Bologna per raccontarvi la storia di una donna dell’aristocrazia, che è stata una patriota e un’animatrice dell’élite culturale della città.

L’8 agosto 1848, Bologna si sta preparando alla sua gloriosa  giornata risorgimentale: a combattere gli austriaci che avevano mandato truppe da Ferrara a invadere la città. A fianco dei popolani che alzano le barricate di fronte ai giardini della Montagnola e portano fascine nei punti strategici della città, c’è la giovane contessa Carolina Pepoli. Nata nel 1824, appartiene a una famiglia prestigiosa. E’ figlia di Guido Taddeo  Pepoli, di antica famiglia signorile, e di Letizia Murat, e quindi è – per parte di madre – nipote di Gioacchino Murat re di Napoli e di Carolina Bonaparte, sorella minore di Napoleone.

Il salotto di Carolina  
E’ una donna attenta alla politica, ne ha respirato l’aria nella casa paterna dove è cresciuta al fianco del fratello Gioacchino Napoleone, anche lui patriota, che nel 1866 sarà sindaco di Bologna. Ha 24 anni, è sposata con il conte Angelo Tattini deputato e  comandante della Guardia provvisoria di Bologna nel 1859. E’ da poco mamma della piccola Letizia.
Oltre alla nobiltà bolognese, da lei si incontrano politici e intellettuali: Massimo D’Azeglio, Marco Minghetti e Luigi Tanari  Il suo salotto diventa quasi il quartier generale degli ufficiali e dei diplomatici di passaggio in città.
Tra una portata e l’altra, si disegnano progetti di restaurazioni murattiane dello Stato napoletano, si commentano i fatti dello Stato pontificio, le azioni della Prima guerra di indipendenza, i  segnali di rivolta in Romagna.
Se le discussioni politiche sono importanti, Carolina sa però che bisogna agire per la causa. “Fatti, non parole” è il suo motto e così, in quel periodo, apre le sale del suo palazzo agli amici patrioti: con altre donne prepara bende e stracci per i feriti, cuce le bluse per i volontari bolognesi. Felice, scrive alla madre “sono in mezzo a militari da mattina a sera”.

Carolina e l’8 agosto
Carolina partecipa con entusiasmo alla lotta, prima scendendo in strada e poi assieme ai servitori, ai popolani, ai facchini, dando una mano a portare fascine per costruire barricate fuori Porta Santo Stefano. Il suo esempio spinge altre donne della nobiltà bolognese a fare altrettanto. La storia della sua partecipazione a questa eroica giornata e al movimento patriottico si ritrova nella corrispondenza con la madre e con l’amico fiorentino Giuseppe Pelli Frabboni, (circa 400 lettere solo a lui), anche lui impegnato nella causa nazionale.

Il giorno dopo la battaglia scrive alla madre “…abbiamo lavorato tutta la notte e ho fatto la mia parte anch’io. ..Bologna si farà onore e siamo decisi a non farli entrare!” E ancora: “tutti sapevano che ero stata io la prima e dopo sono venute in strada tutte le altre”. Carolina è molto orgogliosa del suo ruolo pubblico ed è effettivamente un caso abbastanza raro per una donna in quel tempo. Si mescola a quella “santa canaglia“ – come la chiama lei –   a cui riconosce quasi tutto il merito di aver cacciato gli austriaci dalla città. 
Nei giorni successivi alla battaglia dell’8 agosto, va negli ospedali a visitare i feriti, porta aiuto a donne del popolo in difficoltà, a piccoli orfani, apre una sottoscrizione per trovare denaro per i feriti più poveri. E’ estate,  fa molto caldo, le carrozze non passano nelle strade chiuse dalle barricate, Carolina va sola, a piedi,  “un gran trottare, ma lo faccio volentieri”. In quei giorni in città c’è totale anarchia e bande di balordi saccheggiano case e palazzi in cerca di armi. Ma Carolina è riconosciuta e rispettata: sanno che appartiene a quella nobiltà che lotta per l’Italia contro gli invasori. Una volta il marito si impunta, la vuole accompagnare: lungo la strada alcuni popolani lo prendono in giro, lo scambiano per un ufficiale in giro con la morosa. Lei si volta verso di lui e gli ordina di tornare a casa: può girare indisturbata, tutti sanno che la contessa ha fatto tanto per loro. 
Carolina entra anche in contatto con Garibaldi, lo riceve più volte a villa Tattini, la sua residenza estiva a San Michele in Bosco nella collina bolognese, ma i giudizi sul generale  non sono sempre positivi. E’ informata anche delle vicende internazionali, legge i giornali stranieri e viaggia molto. Frequenta le capitali europee e viene ricevuta a Parigi dall’imperatrice Eugenia.   

Una volta raggiunta l’Unità italiana, Carolina si allontana dalla politica, forse anche a causa dei numerosi lutti familiari. Nel 1870 muore il figlio Napoleone su una nave in viaggio verso l’America; nel 1878 muoiono il figlio Giovanni e il marito. Per ogni dolore trova una forza di reazione nella fede e offre conforto agli altri: si immerge sempre di più in opere di bene. “Ho sempre amato di essere giudicata buona” dice “del resto non mi importa”.
Fonda la Società Operaia Femminile e il suo impegno per lo sviluppo dell’istruzione le viene riconosciuto nel 1888, quando, in occasione delle celebrazioni per l’VIII Centenario dell’Università di Bologna, viene nominata presidentessa del Comitato delle Signore. Muore a sessantotto anni il 23 agosto 1892. 

CITAZIONI

9 agosto  1848 – “Bologna si è fatta onore , ora sono più contenta perché veramente mi piangeva l’animo di vedere tanta viltà. Tutto il merito però è quasi interamente della canaglia….la mischia cominciò in piazza a proposito di un sergente austriaco ucciso da dei facchini”.Allora i tedeschi vennero in città in 60 di cavalleria e furono respinti dalla gente del borgo, dai facchini e dai lavandai tutti armati. Tornarono in maggior numero in piazza e volevano degli ostaggi….Un cannone i tedeschi l’avevano alla Montagnola e avranno tirato un centinaio di colpi e poi hanno dovuto ritirarsi ….Intanto per tutta la città si son fatte delle barricate. Abbiamo lavorato tutta notte e ho fatto la mia parte anch’io …che piacere! Poter fare qualcosa. Bologna si farà onore e siamo decisi a non farli entrare…Non si volevano dare munizioni, nulla, e quella povera gente ha fatto prodigi. Questa notte poi si son distribuite munizioni…Tutti sapevano che ero stata io la prima ad andare in istrada e a lavorare alle barricate e subito son venute in istrada tutte le altre…..Imparo adesso che il popolo domanda armi, che hanno aperto il magazzino che è in casa Pepoli, e oltre le armi le autorità hanno dovuto lasciar prendere tutta la roba che v’era, lenzuoli, panni camice e tutti portano a casa roba. Ecco quel che succede a far contro il popolo invece di dirigerlo e di aiutarlo in queste circostanze….Non sia in pena per me. Non ho paura, anzi mai mi sono sentita tanto bene”.
(Lilla Lipparini, Bologna e il 1848 nella corrispondenza della contessa Carolina Pepoli Tattini, in Atti e Memorie della Deputazione di Storia Patria per le Province di Romagna 1948). 

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