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4 Febbraio 2014 | Archivio / Protagonisti

Claudio Abbado

L’addio di Bologna al grande direttore d’orchestra

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redighieri.

4 febbraio 2014

Cosa cercava, quel fiume di persone che silenziosamente sfilava davanti al corpo senza vita di Claudio Abbado nella chiesa di Santo Stefano a Bologna, il 21 gennaio 2014? Cosa cercava di dire a se stessa: forse che la musica uscita dalla bacchetta del grande direttore de La Scala di Milano, dei Wiener Philarmoniker, della Staatsoper di Vienna, dei Berliner Philarmoniker e, infine, dell’Orchestra Mozart di Bologna, ha portato qualcosa d’importante nella propria esistenza? Un senso di bellezza, di armonia, corde interiori che vibrano al suono di uno strumento o di un’intera orchestra,  ma anche la tenerezza, l’amore, la follia, il dispiacere, la malinconia? E’ il grande mistero della musica, cui il maestro Abbado ha dedicato fedeltà assoluta. La sua “straordinaria capacità di entrare subito, al primo colpo d’occhi, nei segreti di una partitura”, ha scritto sul ‘Corriere della sera’ Armando Torno, gli ha permesso di individuare lo spazio segreto in cui va a rintanarsi l’anima, servendosi della “dimensione fugace delle note”.

Sullo stesso giornale, il musicologo Paolo Isotta ripercorre la carriera di Abbado ricordandone le tappe più significative e le esecuzioni più prestigiose, da quelle della seconda Scuola di Vienna – vale a dire Berg e Webern, e poi Stravinski e Bartok – a quelle dei contemporanei come Luigi Nono, ma anche Musorgski  e il Prokofiev de L’amore delle tre melarance. I ricordi sono tanti: il Pierino e il lupo, sempre di Prokofiev,  con Roberto Benigni, il sodalizio umano e artistico con Maurizio Pollini, l’amicizia con Zubin Mehta negli anni giovanili, il dolore di non riuscire a dirigere la Mozart di Bologna quanto avrebbe voluto, per la malattia che poi l’avrebbe strappato al mondo.

Quel che resta, tra le emozioni che ha regalato – a tutti, ma soprattutto ai bolognesi che gli hanno reso l’ultimo omaggio nella camera ardente – è la sua idea di musica come “civiltà”. La musica come mezzo necessario al vivere civile dell’uomo, e anche come “terapia”, strumento di cura. Nel 2005 Abbado diresse l’Orchestra Mozart di Bologna per i detenuti nel carcere cittadino e per gli assistiti della Caritas. L’anno seguente portò la sua orchestra nelle corsie degli ospedali realizzando anche concerti da camera per i piccoli pazienti. La musica, dunque, come cura dell’anima e del corpo.

“La musica – ha scritto il pensatore franco-rumeno Emil Cioran – è il linguaggio della trascendenza. Il che spiega le complicità che crea tra gli esseri umani. Li immerge in un universo dove cadono le frontiere. Al mondo della musica si accede veramente solo quando si oltrepassa l’umano. La musica è un universo, estremamente reale seppure inafferrabile ed evanescente. Un individuo che non possa penetrarvi, perché insensibile alla sua magia, è privo della ragione stessa di esistere. Il supremo gli è inaccessibile. Comprendono la musica soltanto quelli a cui è indispensabile. La musica deve farti impazzire, altrimenti non è nulla”.

La musica  – sempre secondo Cioran – è un’esperienza mistica: “l’unica arte che conferisca un senso alla parola assoluto”.  Claudio Abbado ci ha donato l’esperienza dell’assoluto. Come direbbe Beethoven, chi coglie il senso della musica “si libera di tutte le miserie in cui lo trascinano gli altri uomini”.  

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