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29 Aprile 2008 | Archivio / Protagonisti

Dino Gavina, lezioni di design

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Mascia Foschi

29 aprile 2008

Uno dei personaggi più importanti della cultura bolognese e italiana del Novecento è stato Dino Gavina, che vogliamo ricordare a un anno dalla morte, anche perché in occasione di questo primo anniversario il Mambo – il nuovo museo d’arte moderna di Bologna – ha annunciato di volergli dedicare un evento. Sarà un’importante mostra, che verrà inaugurata probabilmente nel gennaio 2009 all’interno di ArteFiera, a ricordare quest’uomo di cultura che sfugge a tutte le definizioni. Il suo nome è legato al design, anche se non ha mai disegnato un pezzo in vita sua. Ma tutta la sua vita è stata dedicata all’arte, come un maestro di bellezza. Gavina è stato un catalizzatore, un dispensatore di energie vitali, un personaggio capace di far andare d’accordo l’estetica, la produzione immateriale di bellezza, con l’industria, la produzione mercantile.

Nato a Bologna nel 1922, Gavina inizia la sua attività nella seconda metà degli anni Quaranta, realizzando oggetti per le scene di teatro, che era la sua grande passione. Nel 1953 inizia a produrre, in un negozio-laboratorio, delle capotes per jeep e dei rivestimenti per carrozze ferroviarie, oltre a qualche pezzo d’arredo. Ma la vera svolta è l’incontro, che avviene nel 1953, mentre è in allestimento la X Triennale di Milano, con architetti quali Carlo Mollino, Carlo De Carli, Pier Giacomo Castiglioni e Carlo Scarpa, oltre al giapponese Takahama. Li conosce grazie a Lucio Fontana e inizia con loro un vivace sodalizio.

Ecco come lui stesso in un’intervista racconta i suoi inizi. “La mia prima passione è stato il teatro. Ho incominciato a “La Soffitta” a Bologna a fare un po’ il buttafuori (…). E’ stata una cosa divertentissima, e di lì ho incominciato, perché era un piccolo laboratorio, a fare delle cose per il teatro, per le scene. E poi in un attimo sono scattato verso le arti visive, che sono state la mia grande passione. Le arti visive e, poi, la letteratura. Perché io sono di un’ignoranza oceanica. Di conseguenza, ogni volta che leggevo qualcosa, che trovavo qualcosa, era sempre affascinante, per cui ho avuto queste passioni continue. Un libro mi portava a un altro, eccetera. Forse l’inizio del design parte proprio da qui. Questa passione mi portava a Milano particolarmente. Vivevo spessissimo a Milano. Uno dei grandi amici miei era Lucio Fontana. Poi, a posteriori, abbiamo capito che era veramente importante. Ma in quel momento era come noi: niente di speciale. Avevamo già capito che era bravo, sia ben chiaro. Un giorno gli feci un piccolo scrittoio. Aveva lo studio in Corso Monforte: un bellissimo studio, con un albero meraviglioso nel cortile… era uno spazio molto bello. Allora mi disse: “ma tu, che fai ‘sta roba, perché non vieni qui a Milano e non incominci a lavorare con gli architetti? (…) E mi portò lui alla Triennale. Alla Triennale conobbi Ferrari, che era segretario generale, che mi presentò subito Mollino, Giancarlo De Carlo, Pier Giacomo Castiglioni”.
L’intento di Gavina è quello di portare nel campo del mobile l’intuizione di Duchamp: il ready-made. Nel 1960 nasce la “Gavina spa”, che nello stesso anno presenta la poltrona Sanluca, progettata da Castiglioni: una sorta di manifesto del neo-liberty ripensato alla luce del razionalismo. La poltrona prende il nome dalla chiesa che dall’alto dei colli veglia da sempre la città di Bologna. Gavina cercava sempre di coinvolgere nella sua produzione gli artisti: per lui lavorarono Sebastian Matta – che disegnò il divano Malitte e nel 1970 la poltrona Sacco – e surrealisti come Meret Oppenheim, Man Ray, Kurt Seligmann. La sua idea era quella di far uscire la bellezza dai musei e consegnarla nelle case di tutti, realizzando il principio della democrazia estetica. Cosa sarebbero le nostre dimore senza le lampade Flos di Gavina?

A New York, nel 1962, Gavina incontra Marcel Breuer, tra i più incisivi maestri del razionalismo europeo, al quale chiede di portare in produzione alcuni prototipi della scuola del Bauhaus, progettati negli anni ’20. Da qui nasce la “Wassily”, così chiamata da Gavina in quanto Kandinsky ne possedeva l’unico prototipo. Nel 1963 inaugura il suo showroom di Via Condotti a Roma senza esporre mobili, ma con una mostra di Marcel Duchamp.
Nel 1967 anticipa la grande mostra di Parigi sul Movimento Cinetico con una mostra dal titolo “La Luce” che sarà presentata a Milano, Torino, Bologna, Firenze, Foligno. Nello stesso anno costituisce a Bologna il Centro Duchamp inaugurato da Man Ray, allo scopo di aiutare gli artisti a realizzare le loro opere. Nel 1968 dà vita a una prestigiosa collezione firmata da Carlo Scarpa con opere di Kazuhide Takahama chiamata “Ultrarazionale”. Nel 1971, coinvolgendo numerosi artisti, crea una collezione che chiamerà “Ultramobile”, con l’ambizioso obiettivo di superare il concetto tradizionale del mobile.
Nel 1974 con Enzo Mari, tenta un’altra importante operazione innovativa: “Metamobile”, che consiste nell’ordinare il progetto, fare i mobili in casa con assi di legno e materiali di recupero. Negli anni ’80 e ’90 oltre ad occuparsi delle collezioni per Simongavina, Paradiso Terrestre (pezzi per esterni ed arredo urbano) e Ultramobile, è invitato a tenere lezioni all’Università di Roma. Si dedica a numerose mostre internazionali; ottiene con Takahama l’incarico per l’allestimento dell’aeroporto di Bologna; disegna elementi d’arredo urbano per la città di Roma. Ma torniamo al suo incontro con Marcel Duchamp. Ecco come Gavina lo ricorda.

“Ho conosciuto Duchamp nel 1965. Dovevo inaugurare gli uffici di Roma e così pensai a qualcosa di diverso dal solito. Per una volta niente mobili, solo le sedie Wassily di Breuer e i ready made di Duchamp: la Fontana, il Portacappelli, il Portabottiglie, eccetera. Insomma i pezzi classici di quel genio che aveva sconvolto l’arte del secolo e che mi aveva affascinato in maniera totale. Quasi all’ultimo momento presi il coraggio a due mani e gli scrissi per invitarlo, ricordandogli che era il 50° anniversario del suo primo ready made, la famosa Ruota di Bicicletta, un oggetto comune montato su uno sgabello ed elevato al rango di opera d’arte. Duchamp accettò. Non credevo ai miei occhi quando arrivò e rimasi sorpreso quando disse: “E’ la più bella mostra che abbia mai avuto”. Ripensando a uell’allestimento, curato da un altro uomo di genio come Carlo Scarpa, penso che quella frase non fosse un semplice complimento. Nei tre anni che gli restavano da vivere lo incontrai diverse volte a Parigi e a Cadaqués, nella semplice casa con un grande terrazzo sul piccolo golfo dove passava le estati con la moglie Tenny. Che io sappia non ha mai messo piede in spiaggia, se ne stava vestito di tutto punto con quello stile e quell’eleganza che di solito attribuiamo ai francesi di stile”.

L’allestimento della mostra che il Mambo dedicherà a Gavina sarà curato dall’architetto giapponese Kazuhide Takahama, che a Bologna è venuto a vivere proprio grazie all’incontro con Gavina, con il quale ha realizzato un fecondo sodalizio. Altre personalità del mondo del design e dell’architettura con cui l’intellettuale bolognese ha intrecciato il proprio destino sono stati Marco Zanuso e Louis Khan. Di Carlo Scarpa abbiamo già parlato: a lui si deve il celebre negozio di Gavina in via Altabella a Bologna, oggi vincolato dalla Sovrintendenza delle Belle Arti. E’ invece nel negozio di San Lazzaro disegnato da Pier Giacomo Castiglioni, che si trova il prezioso archivio messo insieme da Dino Gavina in tanti anni di attività, e che le figlie Silvia e Sandra potrebbero donare alla città di Bologna, qualora ne ricorrano le condizioni

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