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19 Aprile 2016 | Archivio / Protagonisti

Filippo D’Ajutolo

Il medico bolognese che nascose il radio dell’ospedale Sant’Orsola, salvandolo dalle grinfie dei nazisti

A cura di Vittorio Ferorelli

Cari amici e care amiche di RadioEmiliaRomagna, in vista del prossimo 25 aprile, giorno in cui si ricorda la liberazione dell’Italia da nazisti e fascisti, il protagonista di cui vogliamo rievocare la storia ha fatto parte di quella schiera di uomini e donne che, in quei mesi di 70 anni fa, senza essere eroi, decisero di resistere, anche a costo della vita.

Nel giugno del 1944, a Bologna, uno dei luoghi clandestini in cui si danno appuntamento gli esponenti cittadini del Partito d’Azione si trova tra via Torleone e via Broccaindosso, in un edificio che, in caso di irruzione della polizia fascista, offre diverse vie di fuga. È l’ambulatorio di un medico quarantenne: si chiama Filippo D’Ajutolo e, insieme alla sorella Maria, sta per prendere parte a una vicenda che oggi può sembrare un’avventura da film, ma allora fu vissuta con la consapevolezza dei rischi e il coraggio lucido tipici delle persone assennate.
In quei giorni di giugno il gruppo dirigente azionista è venuto a sapere che i tedeschi stanno per portare via dall’ospedale Sant’Orsola l’intera dotazione di radium: centinaia di milligrammi di una preziosissima sostanza radioattiva, che, anziché essere adoperata per le esigenze della medicina, potrebbe essere sfruttata a scopo offensivo nella guerra.
Ai primi di luglio, in effetti, i tedeschi prelevano circa metà del radio disponibile. Per contrastare questo disegno, viene pianificata un’operazione di “sequestro” della metà rimanente. Occorre qualcuno che, dovendosi muovere tra le corsie, non attiri troppi sospetti: l’incarico verrà svolto, tra gli altri, dal dottor D’Ajutolo.

Prima dell’azione vera e propria, il gruppo si premura di trovare rifugio al dottor Palmieri, direttore dell’Istituto di radiologia, destinato a sicura rappresaglia. Il piano scatta verso la fine di luglio. Ad agire è il partigiano Mario Bastia. Dopo aver preso in consegna il radio trafugato, D’Ajutolo lo nasconde nella cantina della sua abitazione in via San Vitale 57, che divide con la sorella. Corrono entrambi un doppio pericolo: essere scoperti e venire fucilati, innanzitutto, ma anche essere contaminati da una sostanza terribilmente letale, malgrado lo strato di piombo che la protegge.
In settembre il medico sfugge all’arresto dei maggiori esponenti del Partito d’Azione, traditi da alcuni delatori. In sette saranno condannati a morte, e tra loro c’è il leader, Massenzio Masia; gli altri vengono deportati in Germania, dove moriranno quasi tutti. D’Ajutolo lascia la città e si rifugia sull’Appennino modenese, dove collabora con i partigiani mettendo a disposizione le sue capacità di chirurgo.
Rientrato a Bologna all’inizio del 1945, cambia continuamente casa, mentre la sua subisce varie perquisizioni. Ma il radio rimarrà dov’è, custodito da Maria, e resterà intatto fino alla liberazione della città, il 21 aprile. L’8 maggio, con una solenne cerimonia, verrà restituito all’Università.

Prima e dopo l’“operazione Radium”, Filippo D’Ajutolo ha svolto un’altra fondamentale attività di resistenza, fatta a colpi di un’arma che non uccide ma documenta implacabilmente. Ogni volta che può, approfittando delle sue visite mediche in giro per la città, scatta fotografie con la sua reflex. Lo fa persino durante il coprifuoco, immortalando i danni dei bombardamenti alleati sui palazzi del centro. Lo fa anche di nascosto, entrando nell’obitorio, dove, grazie alla complicità del custode, cattura le immagini dei corpi senza vita dei partigiani, martoriati dalle torture di poliziotti e militi delle brigate nere.
Alla fine della guerra civile, con la meticolosità che metteva in ogni cosa, il medico aveva raccolto queste immagini in un album, destinato a inchiodare gli autori di quelle sevizie alle loro responsabilità. Molti di quei criminali, invece, poco tempo dopo la Liberazione, furono riabilitati e rimessi al loro posto nelle caserme e negli uffici di polizia.
Oggi, per volontà della nipote Maria, le fotografie di Filippo D’Ajutolo, insieme al suo archivio, sono conservati dall’Istituto per la storia e le memorie del Novecento “Parri” Emilia-Romagna. Continuano a emettere, nonostante tutto, la loro richiesta di giustizia, anche a distanza di anni. Come silenziose particelle radioattive.

[Per approfondire sull’“Operazione Radium” si può consultare il sito www.storiaememoriadibologna.it/operazione-radium-74-evento e guardare il documentario di Alessandro Cavazza in cui la vicenda è raccontata dallo scrittore Loriano Macchiavelli: https://www.youtube.com/watch?v=QUeHD9Dz-Ic]

 

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