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27 Settembre 2012 | Racconti d'autore

Breve ma ragionata antistoria della pittura e dell’arte

Di Wolfango, Edizioni Pendragon, Bologna, 2012 (prima puntata)

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redeghieri.
27 settembre 2012

Vi leggiamo alcune pagine dela prima opera “saggistica” di un grande artista, un pittore a cui i maggiori critici del Novecento hanno dedicato elogi incondizionati. Da Federico Zeri a Eugenio Riccòmini, Vittorio Sgarbi e Philippe Daverio, tutti hanno decretato Wolfango un maestro di valore assoluto. In questo breve scritto, sotto forma di dialogo tra un pittore (P) e un filosofo (F), Wolfango attraversa la storia dell’arte dall’antica Grecia ai giorni nostri, evidenziandone gli aspetti filosofici ma anche le relazioni con la letteratura, con grande profondità di ragionamento e lucidità di analisi.
 
Wolfango (Peretti Poggi) è nato nel 1926 a Bologna, dove abita. Disegna e dipinge da sempre, avendo affrontato varie fasi di ricerca: una pittura “passatista”, tra Otto e Novecento; una fase sperimentale ispirata ai classici del Quattrocento e poi all’arte morandiana; poi un periodo di opere a tecnica mista e arte informale. Ma è solo nel 1968 che dipinge il primo quadro diverso, “nuovo” come ama definirlo lui stesso, da cui ha preso inizio la sua attività pittorica vera e propria. E i suoi lavori sono stati tenuti segreti, quasi nascosti, fino all’anno 1986 allorché fu convinto dallo storico dell’arte Eugenio Riccòmini a esporli in pubblico in una mostra bolognese di grande successo: fu il recupero del ruolo sociale, al quale il pittore aveva rinunciato per un’opposizione radicale al sistema vigente dell’arte.

F: Amen! Dopo questo lungo excursus sull’illustrazione, se sei

d’accordo, riprenderei da Leonardo, circa i suoi rovelli, le sue

insoddisfazioni e preoccupazioni.

P: Giusto! Secondo me un punto chiave è proprio lì, nel ritratto

che egli traccia dell’artista. È un vero e proprio identikit. Altissimo

e nobilissimo identikit!

F: Talmente importante da paragonarlo a un alter deus? A un

deus artifex?

P: “Persona divina” è l’espressione con cui l’Aretino designa Michelangelo;

“pennello divino” è quello di Tiziano, quel pennello

che Carlo V raccoglie da terra. Per Leon Battista Alberti

la pittura “tiene in sé forza divina”. Cennino Cennini sostiene

che con la creazione (artistica) l’uomo compensa la perdita

dell’Eden. Tuttavia la qualifica di divino creatore nasce fin

nella più tarda antichità: per esempio Imhotep, famoso architetto

egizio, fu venerato come un semidio. Ma ecco che – a

mio parere – inaspettatamente, possiamo trovare una coincidenza,

una equivalenza in quella tesi di Freud, allorché sostiene

che il “principio di onnipotenza”, caratterizzante l’uomo

del Paleolitico, in specie se riferito all’artista-mago, permane

successivamente nella persona dell’artista. Purtroppo le parole

di Leonardo sono state inavvertite e quindi non ascoltate da

chi di dovere.

F: Una questione sociologica?

P: Per metà. L’altra metà spetta alla psicologia. La società considera

l’artista come un’entità bifronte: da una parte – la considerazione

estetica – ammira le sue opere; dall’altra esprime il

suo disappunto, perché il pittore, lo scultore e l’architetto lavorano

– ahimè! – usando per di più le mani.

F: Divinizzati e disprezzati al tempo stesso.

P. Sì! Si privilegia ossessivamente la testa (la mente) rispetto alle

mani (il corpo). E pensare che, se l’uomo – acquisita la postura

eretta – non avesse usato le mani, il cervello non si sarebbe

sviluppato! “Noi altri dipintori abbiam da parlare con le

mani” diceva Annibale (Carracci).

F: Ci troviamo di fronte a una palese contraddizione. A una vera

e propria schizofrenia sociale. A un ossimoro.

P: Da qui l’aspetto psichico-psicologico. Per secoli l’artista è stato

considerato come una razza a parte rispetto al resto dell’umanità.

Costretto a vivere come un cittadino di serie B; a

mangiare insieme a cuochi, camerieri, guardiaportoni, sarti,

fabbri e spazzini! C’è da meravigliarsi che sia stato relegato fra

le arti meccaniche? Insieme ai pecorai…

F: …del lanificio, ai marinai della navigatio, con i medici della

medicina e gli speziali!

P: Tutti lavori che sporcano, che fetono e – ciò che più conta, ciò

che è peggio – che si fanno con le mani!

F: E dai là! Sono appunto i lavori manuali assegnati alle arti meccaniche

come legifera e bolla il potere; per distinguerli da coloro

che si dedicano alle conoscenze teoriche; indispensabili

agli uomini liberi: ed ecco le arti liberali. Da tenere presente

che erano esse il fondamento dell’educazione cristiana (nell’antichità

fa eccezione il popolo ebraico che riconosce la creatività

dell’artista-artigiano senza riserve. Non esiste alcuna dicotomia

tra mano e mente, perché tutto proviene dal Santo

benedetto, che è l’inflessibile committente. Purtroppo non

abbiamo esempi di tale arte).

P: Gli artisti – relegati, battezzati o marchiati col segno meno,

per secoli, dall’antichità, dal mondo classico fino all’età barocca

– come potevano stare al mondo? Come volete che saltassero

fuori ’sti poveracci così mortificati? Oppressi da un gigantesco

plurisecolare complesso di inferiorità, essi sono risultati

inesorabilmente degli astrattissimi, degli outsider, o più

precisamente degli: estranei, eccentrici, dissociati, traviati, deviati,

diversi, alieni, nevrotici, déraciné, lunatici, melanconici,

ubriaconi, ribelli, rissosi, trasgressivi, licenziosi, libertini,

omosessuali, bisessuali, violenti, dementi, falliti, suicidi, assassini,

maledetti, bohémien e chi più ne ha, più ne metta!

F: In sostanza sono dei matti! Vox populi. Nati sotto Saturno!

Ohé. Pittore! Quel che dici – nel senso di causa ed effetto –

non l’ho mai sentito dire da nessuno! Una visuale nuova, o

meglio un nuovo paradigma, sorprendente, ingegnoso e… temerario!

Insomma secondo te l’artista, penalizzato dal suo

status sociale a causa della pesante riduzione dei suoi diritti di

fronte alla legge, avrebbe acquisito tutti questi attributi negativi,

non per via di nascita naturale: ciascuno a sé stante, con

caratteri suoi propri individuali, personali; ma per induzione

sociale avrebbe attivato caratteristiche comuni, uguali per tutti,

uniformandosi tipologicamente… in un’unica categoria,

una speciale koiné, come un corpo unico! Una razza a sé stante.

Una mutazione antropologica!

P: “Il mondo mi rese glacial!”, come recita quella canzone degli

anni Venti, Scettico blues. Non si nasce matti! Lo si diventa!

Brano corrente

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