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3 Febbraio 2011 | Racconti d'autore

Il cane lupo alla pompa di benzina

di Alberto Grossi, Edicta Edizioni, Parma 2010 (prima puntata)

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redeghieri

3 febbraio 2011

Nello stile affabulatorio, con risvolti comici, che sembra avere le sue radici più salde nella nostra regione (vedi il modenese Ugo Cornia e il parmense Paolo Nori), Alberto Grossi, pure lui di Parma, ci delizia con le folgoranti, minime narrazioni de “Il cane lupo alla pompa di benzina (e altri cento racconti brevi)” edito dalla casa editrice Edicta di Parma. Cento racconti che concorrono a disegnare l’affresco di un’epica personale che è anche l’epica delle genti emiliane e dei loro cugini romagnoli.
Alberto Grossi, giornalista, ha lavorato come autore radiotelevisivo e ha pubblicato un libro di fiabe per bambini e, nel 2007, il saggio “Dalla fame alla sazietà” per le edizioni Sellerio.

Il cane lupo alla pompa di benzina (e altri cento racconti brevi)

Ci sono delle pompe di benzina che quando non si fa vivo il benzinaio di solito compare un cane lupo. Osservando il cane lupo alla pompa di benzina si può dire che è assonnato e svogliato, ama stare acciottolato o tirarsi su appena appena e muovere qualche passo, secondo me più per omaggio alla stirpe guerriera da cui proviene che per reale convinzione. Di solito ha gli occhi rimpiccioliti dalla penuria, è smagrito, ha il pelo rado e abbrustolito dalle esalazioni di benzina che vengono da sotto le pompe, lancia occhiate poco convinte a quelli che aspet­tano, poi se ne ritorna a poltrire stancamente. Dato il posto in cui vive il cane lupo è bisunto di morchia, ed è lecito supporre che il padrone non vada a comprargli del cibo apposito negli scaffali di cibi per animali ai supermercati tanto meno che gli faccia il bagnetto tutte le sere. Io, quando vado al supermercato, se c’è una distinta signora che mi sta davanti e riempie il na­stro di vaschette dorate ricolme di cibo per cani o gatti, ecco mi verrebbe quasi la voglia di invitarla fuori a vedere cosa mangia quel povero cristo di cane lupo della pompa di benzina a cento metri da lì. Perché da quello che mi ricordo dei materialisti sto­rici che ho studiato al liceo, il problema non è tanto che il cane lupo non abbia da mangiare il cibo delle vaschette dorate del supermercato, il problema è che non saprà mai dell’esistenza di quelle vaschette dorate. Il cane lupo alla pompa di benzina è una figura oggettivamente tristanzuola, ma siccome in Italia negli ultimi anni si sta diventando molto permissivi nei con­fronti delle peggio cose mentre si sta diventando molto proibi­zionisti e intolleranti nei confronti delle piccole cose sgradevoli alla vista, insomma, per essere sincero mi spiacerebbe molto se un domani una leggina approvata in piena distrazione estiva mi abolisse il cane lupo alla pompa di benzina.

Il Resto del Carlino ha delle notizie interessantissime che altri quotidiani di solito non pubblicano. Il 27 ottobre 2007, ad esempio, un articolo raccontava di una troupe del Tg2 che era in Emilia per realizzare un servizio giornalistico su oc­cupazione e settori industriali in crisi, o qualcosa di simile.

giornalista aveva preso contatti con una fabbrica a pochi chilometri da Sassuolo dove già in passato erano stati girati dei servizi, tanto per andare sul sicuro. In genere, quando una troupe televisiva va in una fabbrica a filmare gli operai altro non fanno che il loro lavoro, cioè saldare, avvitare, piallare, incasellare e così via, e da quel che si capisce dalla televisio­ne gli operai non sembrano particolarmente contenti di avere intorno dei giornalisti e degli operatori, essendo per loro più una rottura di balle che un onore. Questo spiega il motivo per cui per abitudine le troupe finiscono per andare sempre nelle stesse officine a filmare gli stessi operai, oltre al fatto che ci sono sempre meno fabbriche aperte. In questa fabbri­ca metalmeccanica a pochi chilometri da Sassuolo quelli della troupe Rai e gli operai si conoscevano oramai bene. Sul gior­nale si raccontava che verso mezzogiorno e mezzo gli operai, che erano in stacco mensa, hanno proposto quelli della troupe di pranzare insieme, e l’invito era stato accettato. Durante il pranzo pare abbiano scherzato e fatto domande su personaggi televisivi come la Ventura o Galeazzi o la Clerici, e quelli della troupe han raccontato un po’ di cose varie sui vip televisivi, condendo i discorsi con aneddoti veri o presunti tali e tante belle risate. A fine pranzo sono usciti dalla mensa per un caffè insieme, ciascuno masticando il suo bravo stuzzicadenti, e tut­ti erano molto allegri e il clima era davvero allegro e disteso. A un tratto, inspiegabilmente, gli operai di Sassuolo, a quelli della Rai, li han corcati di botte.

C’è della gente che vanno in televisione a parlare, sono molto abili con le parole e riescono a catturarmi l’attenzione per molti minuti diseguito. Quella gente lì che t’incolla alla televisione mi fanno un po’ invidia, e quando mi capita di ve­derli mi ritorna in mente quanto accadde qualche anno prima al mio amico Michele Giovannini. Il mio amico abitava dalle parti di Pavullo nel Frignano, in provincia di Modena, e ben­ché fosse un ventenne nel pieno delle energie nella vita non faceva praticamente nulla, non studiava né lavorava né aveva un’altra occupazione (né a dire il vero la cercava). Passava le sue giornate leggendo giornali o riviste gratis in biblioteca, e alla sera andava ad ascoltare tutte le conferenze possibili che c’erano nel raggio di quaranta chilometri. Vinta l’iniziale timidezza a queste conferenze si posizionava sempre in pri­ma o seconda fila. Tempo un paio d’anni e diventò esperto di conferenze. In più, aveva ammucchiato un discreto numero di relazioni, quasi tutte di gente come lui che frequentava le conferenze sui temi più disparati. Un giorno conobbe uri cer­to Mario, uri coetaneo il cui padre era titolare (li una ditta molto attiva in zona nell’organizzazione di queste conferenze. Iniziarono a sentirsi telefonicamente e alcune sere uscirono insieme per mangiarsi una pizza. Un giorno il mio amico Mi­chele telefonò a Mario con una proposta, quella di parlare con suo padre affinché lui potesse fàr parte del parterre di relatori in una delle prossime conferenze. Benché titubante, il padre di Mario decise di assecondare i voleri del figlio e dare una chance al suo amico. Poco tempo dopo, in una bella sala di Formi­gine con specchi alle pareti e drappi di velluto porpora, ebbe inizio la conferenza. Michele indossava un abito in fresco lana e una bella cravatta color arancio. Il moderatore lo presentò come esperto in materia. Michele esordì con una lunga serie di ringraziamenti seguiti da una battuta autoironica che fece sorridere il pubblico e mise tutti a proprio agio, quindi riprese un paio di concetti espressi da relatori che lo avevano prece­duto facendo attenzione ad intercalare il suo discorso con pic­coli aneddoti e riferimenti. Poi disse “mi avvio a concludere” e raccontò per un altro paio di minuti un fatto che gli era suc­cesso qualche mese prima, un fatto senza alcun nesso evidente con il tema della serata. Quindi concluse davvero e ringraziò. Il suo intervento fu salutato da un lungo e convinto applau­so. Il padre di Mario rimase talmente contento che propose a Michele una sorta di contratto capestro per una nutrita serie di conferenze in un anno, più un opzione per il secondo anno. Ogni conferenza Michele appariva più disinvolto, convincen­te, preparato. Di bell’aspetto, Michele raccoglieva i frutti di anni di conferenze seguite e anche economicamente le cose gli giravano bene. Sprizzava ottimismo, apparendo determinato e sicuro di sé. Insomma, piaceva molto. Per questo, alcuni mesi dopo era in televisione ospite di un dibattito in cui gli ospiti prima si davano ragione tra di loro, quindi si punzecchiavano e infine tornavano a darsi ragione fra di loro. Questo accade­va alcuni anni fa, poi lo persi di vista anche se tutto mi lascia supporre che sia rimasto nel ramo “conferenze e dibattiti” e stia pure facendo carriera. Gli esordi di Michele li ricordo con grande nostalgia perché mi fanno tornare alla mente quan­do avevo quattordici o quindici anni e al pomeriggio andavo spesso a studiare a casa di mia nonna Elide, e dopo un po’ mi stufavo di studiare e mi stravaccavo davanti alla televisione. Mia nonna, osservandomi stravaccato, diceva che parlare in televisione io potevo anche scordarmelo.

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