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23 Dicembre 2010 | Racconti d'autore

Non fare la cosa giusta

di Alessandro Berselli, Perdisa Editore, 2010 (prima puntata)

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redeghieri.

23 dicembre 2010

Claudio Roveri è un informatore medico scientifico. Conduce una vita di apparenze: è un professionista affermato, ha una famiglia felice, nessun motivo per non sentirsi soddisfatto, eppure le cose non vanno bene. Roveri cova il disagio. Odia Bologna, che è diventata una città diversa da come se la ricordava: neri, sbandati e zingari ai semafori, e quella sensazione di degrado che ha ogni volta che cammina per il centro. Roveri odia, ma non fa nulla. Si rifugia nella famiglia, negli amici di sempre, nel lavoro. Fino a quando reagisce, assecondando la sua vera natura. Una sera durante un rapporto sessuale con una giovane dottoressa conosciuta per lavoro, sente suonare il cellulare, ma non risponde. A chiamare è sua figlia, in cerca di aiuto. La vita di Claudio Roveri, da quel momento in poi, cambierà per sempre.

Alessandro Berselli inizia a scrivere nel 1991. Affascinato da Stephen King e Bret Easton Ellis, approda al noir nel 2003, attratto da quella che chiama “la follia del quotidiano”. Nel 2005 esce il suo primo libro Storie d’amore di morte e di follia (Arpanet), a cui seguono Io non sono come voi (Pendragon, 2007) e Cattivo (Perdisa Pop, 2009), vincitore del premio “Il libro dell’anno 2009/2010” indetto dai licei classici di Perugia, in collaborazione con il Teatro stabile dell’Umbria e Umbrialibri.

(Ikea)

Non so perché mi sono fatto coinvolgere in questa cosa. In un giro all’Ikea alle sei del pomeriggio. Gente che si muove come in pellegrinaggio tra cucine e camere da letto, a memorizzare nomi assurdi come Aspelund, Dalselv, Be­handla e Elverdam. A Fabiana piace l’Ikea. Io invece non la sopporto. Troppa gente, troppa Svezia, troppo tutto. Le polpettine, il salmone, il pane croccante multicereale. Non è il mio mondo questo, Erica. È una terra assurda, di cui non conosco le coordinate. E quindi mi comporto di conseguenza.

Lo scopo della missione è comperare un porta CD. Una cosa semplice, da perderci un quarto d’ora. Solo che con tua madre il giro all’Ikea diventa un modo per fare serata. E quin­di perdiamo tempo a guardare divani, che non ci servono peraltro. Abbiamo un divano nuovo, un Kennedee Frau con struttura in faggio stagionato: bello, elegante, funzionale. Ma la signora vuole chiedere per un Klippan a due posti. Pelle bovina tinta, unico colore disponibile rosso, quattrocento­novantanove euro pagabili anche a rate. «È bruttissimo», le dico. Ma a lei non gliene frega niente. «Sto valutando per la casa del mare», mi risponde.

Solo che noi non ce l’abbiamo ancora, la casa del mare. Dobbiamo ancora trovarla, la casa del mare. Lascio perdere, vado per conto mio. Faccio finta di guardare altre cose e mi allontano. Tanto domani sono a pranzo con la Ricci. Non riesco a pensare ad altro. E questo non è affatto un buon segno.

Suona il cellulare. Sei tu. Ci chiedi dove siamo. «All’Ikea, tesoro. E non sarà una cosa breve».

Riattacco, e mi fermo davanti a vetrinette orrende che sembrano bacheche di museo. Ma c’è davvero gente che tie­ne questa roba in casa? È pazzesco come le persone comprino di tutto, agglomerando oggetti che non hanno senso alcuno. l.iatorp, centonove euro. Lekskiv, novantanove. Grimle, sessantanove. Tutti i prezzi all’Ikea finiscono per nove. Subdolo meccanismo psicologico per indurti a pensare che stai spendendo dieci euro in meno. O anche cento. Leggi sessantanove e pensi sessanta, mica settanta. Leggi quattro­centonovantanove e pensi quattrocento, mica cinquecento. l- noi stupidi che cadiamo nel tranello.

Vicino a una scrivania Markor vedo Fabiana che parla con Luca. Sono sorpreso dalla cosa. Non sapevo che si conoscessero. Mi avvicino, gli stringo la mano. Lui mi sorride, fingendo imbarazzo. «Accidenti, Fabiana. Tuo marito ci ha scoperti».

Luca ride. Lo faccio anch’io. In realtà la cosa non mi di­verte affatto. Ho bisogno di spiegazioni. Di comprendere cosa sta succedendo. «Non sapevo che foste amici». Luca la abbraccia, stringendola a sé. «A dire il vero nemmeno io potevo immaginare che l’av­vocato Orsini fosse tua moglie. Quando mi ha detto: “Sta arrivando mio marito”, e girandomi ti ho visto, oramai mi veniva un colpo».

Fabiana è a disagio. Cerca quasi di scusarsi. Non faccio nulla per tranquillizzarla, sono troppo occupato a farmi delle domande. Luca conosce mia moglie, e dopo conosce anche me. È nella vita di entrambi e lo fa a nostra insaputa.

«Ci frequentiamo per lavoro. Seguo una pratica relativa al suo studio».
Luca non è solo. È con una bionda che ci presenta come un’amica. A prima vista potrebbe essere una che ha la metà dei suoi anni. Venticinque, o pochi di più. Sembra una ac­compagnatrice. Si chiama Valentina, e viene da Milano. «Una collega, non pensare male». E io che credevo che le psicologhe fossero tutte vecchie, brutte e con gli occhiali. Tipo Meryl Streep in Prime, non so se rendo il concetto.

«Una cliente mi ha accusato di molestie. Secondo tua moglie rischio l’ergastolo».
Ho l’espressione interdetta. Come di uno che non capisce la lingua.
«Claudio! Sto scherzando. È solo un contenzioso relativo all’immobile».
Strette di mano, sorrisi. Sfortunatamente la conversazione decolla e chissà perché si decide che ci piacciamo tutti da morire. lo, Valentina, Luca, Fabiana. Quattro anime gemelle, separate dalla nascita e alla fine ritrovate.
«Ci vediamo per una cena?».
Fabiana mi guarda. In attesa della risposta.
«Sì, certo. Uno di questi giorni».
Sono seccato. E non faccio assolutamente nulla per non farlo vedere.
«Sì, ma non restiamo vaghi. Decidiamola subito la data».
Luca si gira verso Valentina.
«Tu quando torni a Milano?».
«Giovedì o venerdì. Non lo so di preciso, non l’ho ancora stabilito».
È un torrente in piena, il dottore. D’altronde è lui quello pragmatico.
«Bene. Allora facciamo domani sera da me. Otto e mezza può andare bene?».
«Otto e mezza va benissimo», rispondo io, infastidito. Pranzo con la Ricci e cena con uno che non sopporto. Proprio vero che la vita è tutto e il contrario di tutto.

 

(Kiss)

La prima volta che baci una persona è meglio della prima volta con cui ci fai sesso. Il bacio ha una sua intimità, che i corpi invece non possono avere. Non lo so, sarà che sono un romantico. Uno che anche a sedici anni pensava che tenersi per mano fosse meglio che fare l’amore. Quante occasioni perse a sedici anni. Tenute troppe mani e persi troppi baci. Per questo i miei amici mi chiamavano Like a Virgin.

Sì, come la canzone di Madonna. Touched for the very first time.

Ho appena baciato per la prima volta la Ricci. Un bacio annunciato, di quelli da sempre scritti nel libro del nostro destino. Siamo andati a pranzo e siamo stati bene. Anzi, benissimo. E quindi ho detto basta tenere le donne per mano. Like a virgin doveva riscattarsi. E ho fatto quello che avrei dovuto fare vent’anni fa. Smetterla di essere amico delle donne e provarci. Non a caso ci ho provato e mi è andata bene.

La Ricci è imbarazzata. Mi dice che non l’aveva mai fatto.
«Se ti può consolare, neanch’io l’avevo mai fatto. Ti assicuro che questa è stata la prima volta».
Si accende una sigaretta.
E stato un errore, Claudio. Dobbiamo fermarci qui».
«Si, dobbiamo fermarci qui. Siamo sposati».
Poca convinzione, come sempre succede quando le ragioni della testa vogliono avere la meglio su quelle del cuore.
«Quindi non dobbiamo vederci più?».
«Non ho detto questo. Santo Dio, è tutto così difficile».

Fuma nervosamente, pensa a tutt’altro. A suo marito, a sua madre. Una volta mi ha detto che è una di quelle che l’ha sempre giudicata. Che qualsiasi cosa lei facesse, non c’era verso, non andava mai bene. Chissà cosa le direbbe se la vedesse ora.

«Possiamo pensarci sopra un po’».
«Pensare a cosa, Claudio? A trovarci in qualche albergo a fare sesso per due ore con quello della reception che ogni volta ti strizza l’occhio? No, mi dispiace. Scusami, ma non fa per me».
Abbasso la musica, che guarda caso è un pezzo di Madonna. Crazy for you. Quasi che Dio fosse il mio DJ.
«Non amo più mia moglie».
La Ricci mi sorride.
«Certo. Non ami più tua moglie. Però non la lasci. Te la tieni lì, per i momenti di sconforto. Per non perdere la tua casa, tua figlia e tutto il resto. E non credere che ti stia giudicando. Io faccio lo stesso».
I’m crazy for you, touch me once and you’ll know it’s true.

«Rimango della mia. Pensaci sopra poi ne riparliamo».
Scende dalla macchina, la sigaretta ancora tra le dita. Si chiude il cappotto e guarda le finestre di casa sua, quasi a cercare protezione da quanto è appena successo.
«Sentiamoci domani».
«Sì, sentiamoci domani».

Minaccia, promessa, incertezza, desiderio. Qualsiasi cosa sia mi va bene. Uccide la noia e mi dà un buon motivo per risvegliarmi la mattina. Mica poco a pensarci bene.

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