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22 Gennaio 2015 | Racconti d'autore

A fiamma raccolta

Poesie di Antonia Gaita tratte dal libro omonimo (Ro Ferrarese, Book Editore, 2014)

A cura di Vittorio Ferorelli. Lettura di Alessia Del Bianco

Nata a Parma, Antonia Gaita ha insegnato per anni in una scuola elementare della città. In questa raccolta riflette a più riprese sull’attività di chi scrive poesie, rubando parole di soppiatto e restituendo, di sorpresa, delle gemme.

Fiabe

Ascoltavo annoiata
fiabe di fate e matrigne.
Il dubbio metteva radici,
nulla era vero. La bacchetta non risolve,
il male non sta tutto da un lato.
Soltanto una pagina vinceva
il disincanto precoce.
Il lampionaio scende dalla luna
ad una ad una
passa ad accendere le stelle.

Sillabavo in anticipo
sui tempi regolamentari.
Ripercorrere i caratteri col dito
era il rito serale. Di colpo ricurvo
il soffitto scintillava inquieto.
Era ai suoi primi battiti
la sete cosmica degli anni a venire.

Ambivalenza

Ambivalente. Bifronte come Giano
la parola è petalo e pietra.
Pioggia per la sete del solco,
proiettile cosmico
che apre bocche di cratere.
Abbatte incide o lenisce
oppure si traveste
lanciatrice abile di strali
che sfiorano di lato.
Corpo contundente punta di selce
o pruïna sulla buccia del frutto,
la decisione è nostra.
A noi la scelta di posare la parola
sulla bilancia dell’orafo.

Abusati arcobaleni

Insofferente. Ostile a un fraseggiare
logorato dalla consuetudine
disorientavo gli alunni, ignari
di malizie linguistiche.
Non è evento scontato, ripetevo paziente,
non sempre la tempesta che s’acquieta
propone arcobaleni.
Scritto ogni volta è luogo comune.
Non impigrite sul detto e ridetto.

C’è un giallo sulfureo verso Occidente
un nero di nembi.
Sparso odore d’ozono
segue gli schiocchi del fulmine.
E l’arco riluce. Posa sui dossi
le fasce concentriche.
Geometria che assiepa dubbi irrisolti
come sul palmo il cristallo di neve.
L’arco si sfa, dissolto nelle nubi chiare.
Forse fu sciocco segnare di rosso
l’ingenuo ridire di apparsi arcobaleni.

Monologo al supermercato (imitando la Szymborska)

Sono un detersivo. A lana e delicati
assicuro risultati imbattibili.
Ho formula nuova. Colore e alito di rosa.
Lascio morbido il filato, dolce sulla pelle
e colori che squillano.
Quanti ora mi si accostano.
Scatole e flaconi. Fustini
allineati sui ripiani.
Per feroce concorrenza
la vita è molto dura.
Faccio del mio meglio. Il costo è contenuto.
Ma questo affollamento mi avvilisce,
sollecita la spina del dubbio.
Forse sono come tanti
che mi stanno al fianco
né si capisce perché dovreste
invece di un altro
depormi nel carrello della spesa.

Messieurs Lupin

I poeti nascono ladri
sottrattori indebiti di gemme.
Con tocco inavvertito
mano lieve d’Arsenio Lupin
sottraggono parole
dove accade d’incontrarle.
Incontri casuali in aree insospettate
cartella clinica o testo di scienze naturali.
Fonemi divelti da un habitat
isolati come virus.
Nuclei potenziali di tela di ragno
da stendere attorno con geometria conseguente.

Creazione

Deposta nello zaino una piccozza
c’è chi s’avventa su sentieri impervi.
Il passo muove da scarne radici
improbabili portatrici di gemme.
Base d’avvio, l’avara materia in dotazione:
un blocco di pietra. La breve
sequenza delle note. Tre colori primari
ventuno caratteri grafici.
Frammenti inerti da accostare
smembrare ricomporre. Creare dal poco.
Sfidare Dio con volontà caparbia
di offrire piú vero del vero
il vento che corre sui pini,
l’orlo di fuoco strappato alla sera.
Chissà se Dio si compiace dei servi fedeli
che porgono i talenti non sepolti
o se pensa colpevole la sfida
di tanti superbi Luciferi.

Inseguire simmetrie

Raddrizzare il quadro che inclina di lato
il tappeto non allineato alla parete
o riaccostare l’anta che si schiude
sono azioni staccate dal pensiero
automatismi inconsci
per consuetudine annosa.
E vorresti nell’orto le siepi parallele
eretto, verticale
il tronco piegato sui solchi.
Forse è solo maniacale
questo inseguire simmetrie.
O sappiamo senza sapere
di una compiuta Perfezione?

Insofferenza

Varcammo per cercare un prato
l’arco che immette fuori porta
dove avanza paziente il fronte dei coltivi
e ricade sui tralci, quieta voce di pioggia,
il solfato di rame.
Un’ombra, un sedile di pietra
il tempo per sostare.
Tu non avverti venire dagli orti
il respiro dei solchi dissetati
né vedi, alti sul capo, cirrocumuli fermi
nel cielo indolente di giugno.
Cerchi alla fermata nel quadro dei minuti
il primo passaggio dell’autobus.
Eppure uscimmo per cercare un prato.
Forse è richiamo oscuro ad altro Dove
questa voglia inappagata
d’essere ogni volta là dove non siamo?

Senza risposta

Il dubbio affiora. Non attende solleciti
erompe con forza di sorgiva.
Che si va a fare in un Altrove
dove manca il mare
l’ansa l’argine il selciato?
Sarà infine persuasa
la tenacia di radici abbarbicate?
Tanti i viaggi che affrontammo
ma ogni volta era chiara la conclusione,
le cupole riviste da lontano
i tigli allineati alla stazione.
Non vale forzare lo sguardo
tentare distanze. Non c’è brezza che basti
a sperdere velami di nebbia
dai fari fumosi di Fine Percorso.

Musiche

  • Quella fiamma che m’accende, da “Arie Antiche: Se tu m’ami” (interpreti: Cecilia Bartoli, György Fischer)
  • Over the Rainbow (The Hawaiian Rainbow Singers)
  • I Feel Pretty (The Puppini Sisters)
  • The Fire of Creation: Et audivi
  • Mother Goose: VII. Le jardin féerique (Maurice Ravel; interpreti: Barry Wordsworth, London Symphony Orchestra)

Brano corrente

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