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21 Giugno 2012 | Racconti d'autore

Niente contro Santippe

di Elena Birmani, da “Tratti” n. 90 – maggio 2012, Mobydick, Faenza

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redeghieri.

21 giugno 2012

Elena Birmani, interprete e traduttrice dall’inglese e dal francese, ha pubblicato brevi prose in riviste letterarie e antologie, recita e fa letture in pubblico. Questo breve scritto è ospitato nell’ultimo numero della rivista “Tratti” dell’editore Mobydick di Faenza.

 

Niente contro Santippe

7″ EP They spun a web for me
Play coldplay.

Già infatti è così: non c’è di meglio. Almeno ora. Almeno per ora. Niente I’m in love and I can’t even cry – I’m in love and I don’t even try. Si fa quel che si può con quel che si ha.

Dicono che col senso di fame la memoria è migliore; in un certo senso sì, ma forse non in questo caso. Troppo sonno e non abbastanza fame. Che non è davvero sonno. È quella condizione lì, non ha un nome suo. Ma imperversa nel mondo e vi siamo soggetti più che al sonno. Comunque è rincuorante scendere dal treno per salire su un altro se, mentre trascini le tue stanche membra un pomeriggio tardo di mezzo inverno, un viaggiatore, venuto da chissà dove, siede sul proprio zaino, tra l’ufficio movimento e il telefono a scheda, e cantastrimpella alla chitarra una canzone che ti appartiene, plush, degli stone tempie pilots, di quando il cantante – buonanima – c’era ancora.

Beh, dal momento che qualcuno nel mondo la canta, e qualcun altro di un’altra parte del mondo la riconosce, nonostante la distorsione jetlagvocale, di fatto, c’è ancora.

Theraindropstheraindropstheraindropstheraindrops

Cosa rimane di una persona?

Puoi dire, il ricordo.

Puoi dire ancora, il suono della sua voce. O ancora, il profumo della sua pelle. Ancora, il sapore salmistrato delle labbra. Ancora, il dolore che ti ha lasciato. Ancora, la croce che hai portato per lei.

No.

Tutte queste cose prima o poi si confonderanno, e si mischieranno, per forza di cose, a profumi suoni e croci di altre persone. Di una persona, di quella persona lì, rimangono le – parole. Che, se scritte, ti fanno leggere la sua anima. Se dipinte, te ne fanno vedere le ombre e i colori. Se suonate, te ne fanno ascoltare la musica. Se cantate, ti fanno sentire l’estensione e la profondità delle sue interiora.

E queste – parole – vanno tutte in un’unica direzione. Vanno a costituire l’infinito, l’eternità che fa dell’essere umano infinito.

Senza più quei limiti cui la condizione umana ci ha costretti, senza più rancore, né odio, né passione, né vergogna, né lacrime, né sangue, né riso, né vomito. Resta solo il suo infinito, l’infinito, che, alla fine, è l’unica cosa davvero interessante.

Sii up stand down

Il viaggio di ritorno è sempre quello più difficile.

Stai lasciando qualche luogo, e stai lasciando là qualcosa.

Forse è questa la cosa difficile: non allontanarsi dal luogo – puoi tornarci quando vuoi, volendo – ma abbandonare qualcosa di te in quel luogo, e lasciarlo là per sempre.

Tu torni indietro, ma quello che hai lasciato là non torna indietro con te; tu torni indietro senza più quelloditechehailasciatolà, e per sempre. Certo, ti porti con te qualcosa dal luogo che hai lasciato, che è comunque per sempre; ma alla fine è ben poco, è molto più quello che hai portato tu e che hai lasciato là, e non riavrai mai più.

Quei sampietrini hanno morsicato un pezzettino di gomma dalle tue scarpe; quel cestino ha preso in consegna il tuo fazzoletto di carta e la tua saliva sul cucchiaino del gelato; quel vento ha disperso la tua risata; quel sole ha asciugato quell’erba dal tuo essudato; quell’acqua si è portata via diversi tuoi capelli.

I sassolini della spiaggia cangiante non hanno alcun senso sul mobile di casa tua. La terra dalla tenda la dovrai togliere prima di riporla. Le

fotografie non ti restituiranno proprio nulla di ciò che ti è stato tolto a tre dimensioni.

I biglietti del treno della nave dell’aereo della metro fanno solo male all’anima costretta a ricordare l’estorsione. Quando leggi – attenzione al sezionamento. Il sezionamento arriva inevitabile. Forse per non soffrire così non dovresti mai andare in nessun luogo. Per non dover tornare indietro.

Ma perché si torna, alla fine, sempre indietro?

E si torna, sempre, svuotati salassati affamati ectomizzati trapanati scavati sfiancati smagriti spauriti invecchiati prosciugati centrifugati annullati assetati Sezionamento.

O non dovresti mai più tornare indietro.

 

 

Brano corrente

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