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31 Maggio 2012 | Racconti d'autore

Novelle stralunate dopo Boccaccio

Riscritte nell’italiano di oggi, a cura di Elisabetta Menetti, Quodlibet Editore, 2012 (seconda parte).

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redeghieri.Responsabile: Manuel Orazi Per la collana "Compagnia Extra"

31 maggio 2012

Uno dei generi più apprezzati della letteratura italiana è la novella, che ha iniziato la sua fortuna nel Trecento con Boccaccio. Ma se Boccaccio è il novelliere più noto, non possiamo dimenticare i suoi seguaci o epigoni del Quattrocento e Cinquecento, da Sacchetti a Bandello, dal modenese Francesco Maria Molza a Ser Giovanni Fiorentino. Il problema, per il lettore di oggi che abbia voglia di scoprire storie fantastiche e sorprendenti, spesso anche conturbanti com’era nello stile popolaresco di allora, è la difficoltà di leggere l’italiano antico. Per questo l’editore Quodlibet ha chiesto ad alcuni autori di tradurre le novelle nel linguaggio contemporaneo. Tra questi “traduttori” vi sono noti scrittori emiliano-romagnoli: Daniele Benati, Ermanno Cavazzoni, Gianni Celati, Ugo Cornia. Vi leggiamo due novelle riscritte dal modenese Ugo Cornia e dal reggiano Ermanno Cavazzoni.
Giovanni Francesco Straparola (1480-1557)

Le scarpe di Madonna Modesta
Novella riscritta da Ugo Cornia

Come sanno tutti, i beni acquistati in modo poco ortodosso spesso si riducono in niente, e per volere divino ritornano da dove son venuti. Cosa accaduta a una donna di Pistoia, di cui, se fosse stata più saggia ed onesta, adesso non staremmo più a ragionare.

A Pistoia, antica città della Toscana, un po’ di tempo fa viveva una ragazza che si chiamava Modesta e che, nonostante il nome che portava, aveva dei comportamenti un po’ bislacchi. Nata povera, ma molto bella e leggiadra, si era sposata con un certo Tristano Zanchetto, uomo piacevole e benestante, che però aveva in testa soltanto il com­mercio e i suoi affari, di cui si occupava molto bene.

Invece Modesta si immaginava soltanto avven­ture amorose e non le importava di nient’altro nella vita. Vedendo che suo marito continuava a dedicarsi soltanto ai suoi affari, anche Modesta decise di dedicarsi a un certo tipo di commercio, ma era un tipo di commercio di cui era meglio che Tristano non sapesse niente. Infatti aveva iniziato a stare tutto il giorno sul balcone di casa sua, guar­dando tutti i ragazzi che passavano di sotto, per la strada, e con dei gesti espliciti li invitava a salire su da lei, per amarla.

Era così sveglia e abile a far vedere la sua mercanzia che in città non c’era più nessuno ricco o povero, o nobile o plebeo, che non volesse approfittarsene e godersela. E così, in poco tempo, Modesta si era guadagnata una tale fama che aveva stabilito che chi voleva farsela con lei, in cambio doveva portarle un paio di scarpe, ma che fossero scarpe adeguate alle sue tasche: se l’uomo che si stava divertendo con lei era un nobile lei voleva in cambio delle scarpe molto lussuose, se era un povero gli chiedeva delle normali scarpe di tela.

Aveva talmente successo che la sua bottega non restava mai vuota. Infatti era una ragazza giovane, bella, appariscente, e per di più chiunque era in grado di riuscire a darle in premio quanto lei chie­deva. Quindi tutti i pistoiesi la visitavano volentie­ri e si divertivano con lei, gustando questi desidera­tissimi frutti d’amore.

Lei, col premio delle sue dolci fatiche e dei suoi sudori, aveva già riempito di scarpe un magazzino grandissimo, e ci aveva messo dentro tante di quel­le scarpe che se uno avesse girato per tutte le botte­ghe di Venezia, comprando tutte le scarpe che tro­vava, non sarebbe riuscito a metterne insieme nean­che un terzo di quelle che Modesta aveva immagaz­zinato.

Poi a un certo punto è successo che suo marito, avendo bisogno del magazzino per metterci dentro delle merci arrivate all’improvviso, chiamandola, le aveva chiesto le chiavi. Lei, senza dirgli niente, gli aveva dato le chiavi. Il marito era andato a apri­re il magazzino, credendo che fosse vuoto, e invece l’aveva trovato tutto pieno di scarpe di diverse qualità. E c’era rimasto di stucco, non riuscendo a immaginarsi da dove erano arrivate tutte queste scarpe. Allora, chiamata la moglie per chiederle se ne sapeva qualcosa, lei gli aveva detto subito: «Ma cosa credi, caro marito, di essere l’unico mercante che esiste al mondo? Ti sbagli, anche le donne son brave a vendere. Tu sei un grossista conosciuto e ti dedichi ai grandi affari, io invece faccio degli affari più piccoli e ho chiuso le mie mercanzie in questo magazzino perché stiano al sicuro. Tu ti curi conti­nuamente delle tue merci. Anch’io mi curo delle mie, e mi diverto».

Al marito mercante, che non poteva immaginar­si neanche da lontano che cosa facesse sua moglie, aver saputo che anche lei si occupava di affari gli piaceva moltissimo, quindi l’aveva molto lodata perché lei continuasse la sua impresa. Così lei, in segreto, aveva continuato le sue danze amorose che ancora le rendevano così bene che Modesta avreb­be potuto rifornire completamente di scarpe tutta Pistoia per i prossimi quindici anni.

Tutto questo finché Modesta era rimasta giovane.

Ma visto che il tempo è vorace e comanda tutte le cose, le fa iniziare, durare e poi finire, Modesta, che prima era fresca, rotondetta e bella, un bel momen­to cambiò completamente di aspetto. Le era venuta la fronte rugosa, la faccia tutta una grinza, aveva sempre gli occhi lacrimosi e le sue mammelle le erano diventate vuote come una vescica sgonfia.

Quando rideva le venivano delle fatte rughe che chi la guardava fissa in faccia si metteva a ridere. Però lo stesso non le calava la voglia.

Anche se non riusciva a crederci, anche lei era diventata vecchia, con i capelli bianchi, e non riu­sciva più a trovare tanti ragazzi che l’amavano e la corteggiavano come prima. E di conseguenza anche le scarpe a un certo punto avevano smesso di arri­vare, cosa di cui si dispiaceva moltissimo. Ma visto che dall’inizio della sua giovinezza fino a quel momento era stata completamente in preda alla spuzzolente lussuria e a quella passione era comple­tamente assuefatta, come nessun’altra donna al mondo, non c’era modo per lei di potersi astenere da quel vizio. Ma nessun giovane smaniava più per farle due carezze.

Così un bel momento Modesta si è rimessa in balcone, e da lì cercava di attirare servi, operai, spazzacamini e vagabondi, e quelli che ci riusciva, se li portava in casa e cercava di farsela strapazzare. Però, mentre in passato come premio ai suoi calori pretendeva un paio di scarpe, adesso era lei che regalava un paio di scarpe a chi le strapazzava il passerone per bene. Si era ridotta in una tale condi­zione che tutta la marmaglia di Pistoia correva da lei, chi perché gli piaceva godersela, chi per riderle dietro, chi per portarsi a casa un paio di scarpe. E in poco tempo Modesta aveva finito le scarpe e svuotato il suo magazzino.

All’incirca in quel periodo suo marito Tristano, senza dirle niente, ha voluto vedere come andavano i commerci della moglie. Ha preso le chiavi del magazzino, l’ha aperto, e entrandoci dentro di colpo ha trovato che quasi tutte le scarpe erano svanite. Rimasto stupefatto ha pensato a che genere di affa­ri doveva aver fatto sua moglie, che avendo venduto tutte le sue scarpe di sicuro si era ricoperta d’oro. Quindi la chiama e le dice: «Modesta, cara moglie, oggi ho aperto il tuo magazzino per vedere come andava la tua impresa e mi immaginavo di trovarci tante scarpe, e invece non ce n’era più. Bravissima. Devi aver guadagnato proprio tanti soldi». E lei, con dei gravissimi sospiri che le venivano su dal cuore, gli ha risposto: «Caro marito mio, non rimanerci male, ma tutte quelle scarpe che avevi visto se ne sono ritornate per la stessa via per la quale erano venute. Le cose acquistate male in poco tempo vanno in niente, perciò non ti meravigliare».

Tristano non ha capito questo discorso della moglie ma a ripensarci di colpo si è preoccupato che anche i suoi affari potessero fallire. E si dedica­va ancor di più alle sue cose.

E invece Modesta, che vedeva che non c’era più neanche un uomo che volesse avvicinarla, restata completamente senza queste sue scarpe, che si era guadagnata con tanto piacere, per il dolore si è ammalata e dopo poco è morta tisica.

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