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19 Ottobre 2017 | Racconti d'autore

Respiro liquido

Testo tratto dal libro di Valentina Olivato “Il piccolo libro delle maree” (Bologna, Pendragon, 2017)

A cura di Vittorio Ferorelli, con la collaborazione di Alessia Del Bianco

Vincitrice del premio “Campiello Giovani” nel 2001, Valentina Olivato vive a Bologna, dove lavora come editor. Nel suo “Piccolo libro delle maree” ha raccolto le suggestioni indotte da questo fenomeno naturale in musicisti, narratori, cineasti e pittori, alternando saggio e racconto, fantasia e informazione, proprio come fanno le acque del mare nel loro movimento continuo. Leggiamone l’inizio.

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Mont Saint-Michel, 1 marzo 1865

Oggi c’è un’aria spessa a Mont Saint-Michel, i gabbiani si aggrovigliano selvaggi lungo l’orizzonte. Ho lasciato gli altri marinai sulla nave questa mattina, avevo bisogno di un po’ di tempo in solitudine. Liam, John, Alexander: sono stato con loro negli ultimi sei mesi. Gomito a gomito, sempre a guardarci. Mi sembra tutto irreale, anche se questo luogo è proprio come lo ricordavo. Un’isola a metà. Qui la marea governa la vita. Si alza, si abbassa. È furente un minuto prima e poi scivola via abbandonandoti.
Elizabeth passeggiava sulla spiaggia due anni fa, la prima volta che l’ho vista. La sottana era imbrattata di terra, mentre lei si dirigeva con piglio combattivo verso la terraferma. Una creatura diversa rispetto a quelle a cui ero abituato. Chissà dov’è oggi… Nelle poche frasi che ci siamo scambiati gli ultimi giorni lei invocava Parigi, i locali notturni, la vita misteriosa della città.
Vorrei poter rimanere qui qualche settimana e riabituarmi alle mura, a un fuoco che brilla nel camino. Domani, invece, si parte per la Spagna con la nave ancora carica.
La pelle delle mie mani è così dura dopo ogni viaggio che faccio fatica a spalmare il burro sul pane la mattina. Ci vorrebbe quella pomata che mi dava sempre mia madre, ma non ne ricordo il nome.
La nave scricchiolava nelle ultime virate, si sta indebolendo. Il capitano non lo vuole riconoscere, ma presto ci troveremo in mezzo all’oceano fermi e, per tutti i diavoli, saremo nei guai. Saranno guai seri questa volta, il mare non è mai clemente, prende quel che vuole prendere.

Fiodor

Immaginate la terra ricoperta solamente di acqua. Distese di blu, di oceani limpidi. In quel caso le maree sarebbero delle oscillazioni fisse e uniformi. Si innalzerebbero alla medesima ora e l’ampiezza sarebbe ogni volta la stessa.
La terra, invece, è una superficie ricca e irregolare. Continenti, promontori, baie, penisole, coste frastagliate e falesie a picco sul mare: le geografie che la caratterizzano sono imprevedibili e sottoposte a una costante trasformazione. Una delle conseguenze di questa mutevolezza è la variazione delle maree, che si modulano a seconda della posizione rispetto alla luna e delle caratteristiche fisiche di ciascun luogo.
Il primo a intuire il ruolo dei corpi celesti in questo fenomeno fu Newton, che attribuì alla luna una forza magnetica all’epoca ancora misteriosa e inesplorata. Dopo di lui altri avrebbero indagato questo meccanismo, fornendo una spiegazione preziosa per gli uomini.
Le maree sono un movimento periodico delle acque del mare che si verifica come conseguenza dell’azione combinata delle forze gravitazionali di terra, luna e sole. Un equilibrio potente che condiziona la vita dell’uomo da tempo immemorabile. Ogni giorno la marea inizia ad alzarsi e, dopo sei ore e dodici minuti e mezzo, raggiunge il suo culmine. Da lì comincia a calare per toccare il punto più basso. Per millenni i fondali marini, le coste e i porti sono stati toccati, senza sosta.
Questo ritmo incessante scandisce il tempo, lo plasma, lo crea. Non è un caso che in molte lingue la parola “marea” sia simile o, in qualche modo, includa la parola “tempo”. Tide sta per marea in inglese, mentre “tempo” diventa time. Ancora più evidente risulta per il tedesco e l’olandese, rispettivamente Gezeiten/Zeit e getijde/tijde, come se la marea contenesse al suo interno la dimensione del tempo, divenendo una sorta di spazio spirituale e una categoria immanente dell’esistenza.

Sin dai tempi antichi l’essere umano ha osservato e si è interrogato su questo eterno defluire, organizzando gli enigmi che lo attanagliavano in complessi schemi di pensiero. I miti e le religioni hanno fornito risposte elaborando figure e storie, vere e proprie parafrasi del mondo naturale.
L’apparato narrativo più suggestivo al riguardo ci è sicuramente fornito dalla mitologia scandinava. Una leggenda, in particolare, racconta come il dio Thor giunse a creare la marea: venerato soprattutto in Islanda, promotore dell’ordine stabilito e protettore della fecondità, Thor è una figura terribile nell’immaginario dei popoli nordici. Viene associato al tuono e alla tempesta che si manifestano ogniqualvolta il dio attraversa con il suo potente carro la volta celeste. Vive nella “dimora della forza” e usa un martello come strumento di difesa e attacco.
Si narra che un giorno, durante uno dei suoi innumerevoli viaggi, giunse alla corte del re Utgarda-Loki. Qui, spinto dal suo spirito guerriero, intraprese alcune sfide con il sovrano. Queste gli sembrarono insignificanti e facili da eseguire: correre e superare l’avversario in velocità, sollevare un gatto, combattere con un’anziana donna e bere tutta l’acqua contenuta in un lungo corno.
Il dio Thor, tuttavia, perse e si intristì enormemente. Solo al termine dell’incontro il sovrano fornì una spiegazione. Il contendente da vincere in velocità era il suo pensiero. Il gatto era l’enorme serpente che avvolgeva il mondo. L’anziana donna rappresentava la vecchiaia contro cui ciascun avversario non può che inginocchiarsi e soccombere. All’altro capo del lungo corno, invece, vi era l’oceano e Thor, con incredibile forza, era riuscito ad abbassarne il livello creando, in questo modo, il fenomeno delle maree.

[…]

L’acqua è vista dunque come origine della differenza, stato in cui ogni cosa si fonde per tramutarsi in altro e fluire ancora, non-luogo in cui le asperità sono assenti e la vita viene celebrata nel suo significato più basilare, spesso, però, riveste anche una connotazione negativa, generando tempeste e maremoti, a volte in seguito allo scatenarsi dell’ira divina.
Un racconto delle isole Fiji spiega come l’ira di un dio abbia causato una terribile inondazione. Il dio Degei si era arrabbiato moltissimo con i suoi figli per aver ucciso il suo falco prediletto. Non vedendo in loro alcun pentimento, aveva invocato la potenza del mare, che si era gonfiato sprigionando nubi nere e venti violenti; in seguito piogge e correnti marine avevano inondato il villaggio dei suoi familiari ribelli.
L’acqua non è, quindi, soltanto la radice dell’essere e della creazione, ma anche movimento inaspettato, guizzo di brutalità. Durante le tempeste i cieli si contraggono, il mare si colora di nero e le onde, poderose e violente, lo percorrono. I vortici attirano le imbarcazioni verso il nulla. E ancora i maremoti distruggono ogni cosa e lasciano gli uomini inermi, svelando loro la potenza terribile della natura. In questo manifestarsi di forze si inserisce il meccanismo consueto della marea, come un sottofondo, una melodia scritta su un pentagramma.

Un’altra leggenda delle isole Fiji racconta di un’anziana donna che abitava nell’entroterra più selvaggio e non aveva mai, nella sua vita, visto il mare. Accortasi che nel suo villaggio c’era una carenza di sale decise di intraprendere un faticoso viaggio a piedi verso l’oceano. Sulle spalle caricò una zucca svuotata. Finalmente giunse a destinazione e per la prima volta posò lo sguardo sulle distese d’acqua senza tempo, sulla barriera corallina e sui flutti che si abbattevano sulla scogliera. Felice, immerse la zucca nel mare: ecco finalmente il sale per condire i loro cibi. Stava già percorrendo la via del ritorno quando, voltandosi, notò che il livello dell’acqua era diminuito, così si convinse di aver contribuito a svuotare il mare. Si precipitò sulla spiaggia e riversò il liquido che aveva precedentemente attinto. Con sollievo, dopo qualche ora, notò che il livello del mare era tornato lo stesso. Non conosceva il fenomeno delle maree ed era convinta, con la sua piccola zucca intagliata, di aver ridotto l’altezza dell’oceano.

 

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