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1 Novembre 2012 | Racconti d'autore

Suspended Chronicles

di Pierre Arkansas, Albus Edizioni, 2012.

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redeghieri.

1 novembre 2012

Pierre Arkansas è attore, sceneggiatore, scrittore, regista, produttore, compositore. Il brano che vi leggiamo è tratto dalla trasposizione letteraria della sceneggiatura per il film in preparazione con cast hollywodiano. Nato nel Cilento nel 1975, si divide tra Russia, Stati Uniti e Italia, dove debutta nel 1997 come  “film creator” in un film indipendente sul micro crimine organizzato, ambientato a Bologna. Frequenti negli anni a seguire le collaborazioni con le major d’oltre oceano. Suo anche il brano musicale di sottofondo, “Principessa della Luna”. 

Da Suspended Chronicles di Pierre Arkansas

Un immenso stanzone che sembra una sala mensa in disuso.
Un uomo dall’aria professionale, molto stravagante ma distinta, è seduto dietro un grande tavolo in metallo. Ha i capelli pettinati all’indietro, ingellati, e indossa un completo color acqua marina. All’altro capo, di fronte a lui, siede Goran, trentacinque anni. Uomo tutto d’un pezzo.
Sul tavolo una carta di credito.
– So che mi hai cercato due volte… facendo sempre scena muta… – sbotta Goran, in inglese, con lo sguardo di ghiaccio.
Un imperioso sorriso contraddistingue la sicurezza dell’uomo:
– Preferivo parlare direttamente col capo, evitando inutili fraintendimenti… – risponde nella stessa lingua, mentre dal taschino della giacca estrae smartphone e penna digitale – Non amo perdere tempo e tanto meno farne perdere.
Cono Scogliamiglio, trentadue anni, seduto alla destra di Goran, i piedi sul tavolo, è impegnato con il portachiavi tra i denti a mo’ di stecchino.
L’uomo continua, cercando di non farsi distrarre: – Sono un uomo d’affari…
Cono, di tanto in tanto, butta l’occhio sull’uomo. Quella lingua gli è totalmente incomprensibile: – Che minchia fringuella questo?
Il ritmo della penna sullo schermo dello smartphone si blocca di colpo. L’uomo annuncia: – Dieci milioni… – un colpo di tosse – di euro… – alza gli occhi verso Goran – in contanti.
Il portachiavi rimane incastrato nel dente di Cono mentre Go- ran osserva l’uomo minuziosamente. – È il motivo per il quale sono qui – chiosa l’uomo.
– Per cosa? – chiede Goran, freddo: la cifra non l’ha scomposto di un millimetro. Nello stesso istante, il suono di una mitragliatrice. Smartphone e penna digitale cadono in terra. L’uomo è spa- ventato a morte. Si guarda attorno. Comincia a riprendersi solo quando vede Cono intento a leggere l’SMS appena ricevuto. Cono, divertito: – Si può essere così rincoglioniti? L’uomo, sufficientemente stressato, raccoglie i pezzi da terra.

L’asfalto è lucido e bagnato per la pioggia caduta da poco.
Il silenzio copre ogni cosa come una dolce coperta. I semafori lampeggiano aritmicamente sul giallo. Nessun pedone. Improvvisamente un rombo lontano si avvicina in un crescendo inarrestabile: è il ruggito, dodici cilindri, che sfreccia ad una velocità impressionante, saturando l’aria e facendo tremare i vetri delle case. Attraversa l’incrocio deserto senza rallentare. Ed è blu, come la notte da cui viene. Piede su frizione, mano sul cambio, e ancora piede sull’acceleratore: freddo e professionale, occhio fisso davanti a sé sulla strada che gli viene incontro veloce, Goran ha la padronanza di un vero pilota. Accanto a Goran siede Cono, la cui risata semi- isterica ne tradisce il nervosismo. È su di giri, nel suo vestito bianco sporco, con occhi arrossati e setto nasale in fiamme, per quanto lo affili con le dita. Ride per un misto di paura ed eccitazione: – Minchia, ma a quanto camminiamo?
Goran gli volge lo sguardo per un instante. È impenetrabile.
Cono tenta di nuovo di frenare il nervosismo: – Siamo arriva- ti… rallenta.
Goran lo guarda nuovamente. Cono ha lo sguardo allucinato. Poi, silenzio per alcuni istanti. Improvvisamente Goran comincia a canticchiare una canzone in russo. Cono reagisce urlando:
– Dobbiamo ammazzarci, cazzo? Vedi tu!
Goran continua a cantare come se niente fosse. L’altro gli lancia un’occhiata traversa: – Mi stai scassando i coglioni… tu e la tua canzone di merda!
Goran gli sorride. Canta più forte, parole russe: – Non posso vivere senza di te…
Sconvolto, ma sghignazzando istericamente, Cono si unisce alla canzone, inseguendo con parole inventate e gesti osceni la melodia di Goran: – Voglio una fessa così tutta per me…
È allora che, da una strada laterale, sbuca una macchina della polizia. Fiancata per traverso, ruote sterzate verso l’auto di Goran, la volante sgasa prepotentemente e con una derapata inizia l’inseguimento. Goran si accorge della volante dallo specchietto retrovisore. Sentendo improvvisamente le sirene impazzare, Cono si gira indietro: – Gli sbirri, cazzo! 

Goran non distoglie lo sguardo dallo specchietto. La sua pupilla si contrae.
Per un istante sembra possibile che la volante agguanti quel mostro di potenza che le sta davanti, a qualche decina di metri. Le due vetture sono vicinissime.
Piede su frizione e mano sul cambio. Scalata in quarta a sei- mila giri. Rombo di tuono del motore. Goran punta gli occhi nel retrovisore: – Ci credi alle favole?
Cono non afferra, è più allucinato di prima. – Stai per viverne una. – esclama Goran mentre la volante li ha ormai raggiunti e sta per tamponarli. Con tempismo micidiale Goran affonda sull’acceleratore. La ruota anteriore sgomma assordantemente, le teste dei due vengono sparate all’istante contro il sedile. Goran: – Siamo in volo.
L’auto sembra trasformata in un missile e distanzia inesorabilmente la volante che resta indietro. Le cifre sul tachimetro paio- no impazzite: 232, 279, 317. Goran osserva l’inseguitore sparire dallo specchietto retrovisore, inghiottito dalla notte, mentre le sue labbra si stirano in un dolce sorriso. La volante tenta di stare al passo, accelera, ma sparisce in fretta dalla scia.
Dietro Goran il vuoto. Poi, rilassato, accende la radio: – Questa è il top!
Sventato il pericolo, Cono è fuori di sé: – Ti sei rincoglionito?!
Goran non replica.
Cono aumenta i decibel: – Prima o poi contro un cazzo di palo finiamo! Che minchia ci tieni in quel cazzo di cervello di merda? – tenta di calmarsi, ma inutilmente – Lo decido io come e quando ammazzarmi… fanculo! Hai capito? Eh?
Goran se la spassa e continua a tacere, come se niente fosse: percorre i viali deserti, seguendo i cartelli per il centro, mentre il tachimetro segna ora i 177 km/h.
Cono si sparge una striscia di coca sul dorso della mano. Una striscia incerta e traballante a causa della sua stessa instabilità emotiva.
Goran, disgustato, scuote la testa. Cono si difende: – Se devo ammazzarmi, tanto vale farlo con questa… – prova la coca con la punta della lingua, poi sniffa con tutta la forza che ha. – Ah, cazzo… questa si che mi fa morire… minchia che sballo! La macchina viaggia ora a bassa velocità, attraversando la zona buia e deserta attorno allo scalo ferroviario. Poco distante depositi anonimi schiariti da potenti luci bianche. In giro, non un’anima.

Nebbia sui vetri. Gioia sta uscendo dal box doccia. Si copre con un telo bianco. Il campanello squilla una volta. Poi due. Apre la porta di casa e la lascia socchiusa, mentre si dirige
nell’altra camera. Qualche istante ed entra Fedele, con un dolcissimo sorriso stampato in faccia: – Ciao, amore! Gioia risponde con un silenzio gelido. Fedele si dirige in ca- mera da letto: è felice di vederla. Lei indossa un tanga grigio seta, ricamato a mano. Gambe meravigliose. La maglietta attillata del- lo stesso colore ne risalta le forme del seno.

Un “ciao” freddo come il ghiaccio le sibila tra le labbra.
Lui si avvicina, la stringe a sé. Gioia non lo ostacola, ma neanche partecipa ai gesti d’affetto del compagno, che la bacia intensamente sul collo e poi scende giù. Troppo giù.
– Che cazzo fai? – lo attacca lei, indignata – non vorrai… Fedele si rialza. – Perché no, amore? – La sua voce è tenera, docile. Lei lo guarda spaesata.
– È tanto che… – prova ad aggiungere. – Non ne ho voglia. – risponde lei, categorica. – È da un po’ che non ne hai! – si fa avanti di nuovo. – E allora? Saranno cazzi miei, no? – Per la verità sono anche miei. – Si vabbè… andiamo? – mette i jeans, tanto per chiarire che
l’argomento è chiuso – Gli altri ci stanno aspettando… sono pronta.
Fedele la guarda rassegnato.

Gli occhi di Goran sono sempre fissi sull’uomo. – È ricchione, secondo te? – chiede Cono, fissando l’uomo. L’uomo, tossendo, cerca di recuperare la disinvoltura iniziale mentre Goran l’osserva puntigliosamente. Lo smartphone è scheggiato.
– Sei interessato alla cosa? – ribatte Goran.

– Hm… mi gioco i coglioni! – esclama Cono, e sbatte le chiavi sul tavolo, come piazzasse una scommessa.
L’uomo guarda Cono, poi Goran. Appare intimorito. Improvvisamente irrompe Kirill, alto, grossa corporatura, lunga chioma bionda e maglietta e jeans arancione: – Abbiamo tutto. Indirizzo, percorso e fotografie. – dice, col suo pesante accento russo.

L’uomo, osservando Goran, si aggiusta con cura la manica della camicia.
– Chilometri? – chiede Goran a Kirill.
– Ottantuno. Cambio manuale, come richiesto… blu notte! – e accenna un sorriso. Goran fa un cenno d’approvazione e Kirill scompare in un lampo. Poi ritorna al suo ospite: – T’ascolto.

Brano corrente

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