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13 Dicembre 2012 | Racconti d'autore

Titoli di coda

di Gianfranco Civolani, Alberto Perdisa Editore, Bologna, 2012

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redeghieri.

13 dicembre 2012

Giornalista sportivo, bolognese, Gianfranco Civolani detto “Civ” in questo suo libro racconta sessant’anni di partite, di sport e di politica, dagli incontri con i grandi protagonisti del calcio alla testimonianza inedita su Lucio Dalla, dalla prima partita allo stadio con il padre nel lontano 1945 al calcio malato degli ultimi tempi. 
Vi leggiamo due brani: il primo è sugli eroi del 1964, l’anno dello scudetto del Bologna, raccontati quasi mezzo secolo dopo; il secondo è un ricordo di Dalla.  

Quelli del ’64

Sono sempre loro i grandi eroi e anche perché tutti quelli venuti dopo non hanno vinto nulla che valga uno scudetto, il gran settimo sigillo del giugno del ’64.

Ma quei prodi dove sono e come vivono? Di loro so quasi tutto e mi sembra giusto ricordarli raccontando la loro secon­da o terza vita e cominciando dal grande Giacomo Bulgarelli (il più bravo di tutti) che da qualche anno se n’è andato – come dice un sacerdote mio amico – a star bene.

E dunque ecco gli altri: William Negri detto Carburo, 77 anni. È ancora il padre nobile della sua azienda nel mantova­no e dico padre nobile perché l’azienda la conduce il figlio.

Bruno Capra detto Johnny, anni 75, è in pensione (faceva l’infermiere) e lo si può trovare puntualmente in una sala corse del centro perché la sua giocatina non manca mai di farla.

Carlo Furlanis, anni 73. Faceva il floricoltore a Monsum­mano, ma da quando gli è morta la moglie si è ritirato in un casolare in Lunigiana.

Mirko Pavinato, anni 78. Il gran capitano fa il bel signore nel Quartiere Murri, è il suocero dell’ex rossoblù Gazzaneo ed è anche il nonno di una splendida ragazza che – fra le altre cose – fa la hostess al Dall’Ara.

Paride Tumburus, anni73. Haavuto problemi di salute e lo si rivede poco in giro. Vive ad Aquileia, fa venire sera.

Franco Janich, anni 75. Sempre di battuta così lesta e pronta. Vive nel Lazio vicino al Lago di Nemi e fa il bel vec­chio in una grande casa, con grande bosco e con tanti anima­li

Romano Fogli detto Zanzara, anni 74. Vive vicino a Pon­tedera, raramente butta via un euro e dunque ha soldi e sta benone.

Marino Perani, anni 73. Fa spesso l’opinionista in tivù e – rimasto vedovo – cura personalmente la sua bella casa in zona Saragozza.

Harald Nielsen detto Dondolo e anche Aroldo, anni 71. Ricco sfondato, vive a Copenaghen e suo figlio – anni 40 – lavora negli Stati Uniti.

Helmut Haller detto il Panzer, anni 73. Si separò dalla ter­ribile signora Waltraud e poi si è accompagnato e risposato parecchie volte. Ha avuto un infarto, viveva ad Augsburg, in Baviera. Poi lo ha raggiunto l’Alzheimer e lo ha consumato fino alla morte.

Ezio Pascutti, anni 75. Da una vita abita in Via Riva Reno. Ha spesso qualche acciacco, in tarda mattinata non si nega mai il caffè pre-prandiale e la giocatina in sala corse con Perani e Capra.

Rino Rado, anni 71. Gli dico sempre “tu sì che hai i soldi” e lui “poca roba, solo due soldi”. Sta benone, sembra un gio­vanotto.

E gli altri? Lorenzini vive ad Ancona, Marini nel Veneto, Corradi in Liguria e Franzini a Cremona. E Demarco (anni 76) a Montevideo si gode una figlia che fa l’avvocato. E ci sarebbe pure Cesarino Cervellati, l’assistente del grande Ful­

vio Bernardini. Cesarino (anni 82) vive a Pontecchio un po’ in collina. Esce di rado, guarda la tivù e tifa sempre Bologna. “Ma al Dall’Ara non ci vado – mi disse anni fa – perché a vedere il Bologna mi emoziono e sto male”.

Diceva Bertolt Brecht “beato il popolo che non ha bisogno di eroi”. Vero, ma noi bolognisti di eroi ne abbiamo ancora tanto bisogno.

Ciao Lucio

L’ultima volta mi disse “se permetti, mi tocco i maroni”. Spiegazione: aveva scritto da poco “Caruso” e io gli dissi “basta così, dopo una roba del genere chiudi, stai alle Tremi­ti, abbandona il mondo”. Mi guardò di traverso, si toccò e poi fece dell’altro, anche la “Tosca” di Puccini, dell’altro e fra l’altro.

Nel ’61 io mi dilettavo di spettacoli di cabaret in una can­tinaccia di Piazza Aldrovandi. Davo una mano al regista – Romano Peli – e il mio primo attore era il giovane Guido Ferrarini, poi anima e cuore del Teatro Dehon. Ma a fare un po’ di cabaret eravamo due o tre gruppi e in un altro gruppo suonava il clarinetto un nanetto piccolo, grassoccio e pelosis­simo, il diciottenne Lucio Dalla che – mi dissero – abitava lì vicino in Piazza Cavour con una madre che faceva la sarta. Ed ero fra la folla del Cantagiro quando passavano davanti alla Chiesa dell’Antoniano i cantanti in gara e il popolo deli­rava perla Tigredi Cremona (la Mina) e perla Panteradi Goro (la Milvaex Sabrina delle balere del ferrarese) mentre spernacchiavano quel Dalla che a Sanremo con “Paf Bum” aveva fatto fiasco.

Anni dopo, anni Settanta. Lucio è già sulla cresta dell’onda e Tobia mi invita a fargli visita nella sua casa di Via delle Fragole, Quartiere Murri. Perché quella visita? Perché allora io per il quotidiano Tuttosport facevo interviste a gente dello spettacolo (Gino Bramieri, Paolo Poli, Giovana Ralli e anco­ra) e dunque toccava a Dalla. E Tobia – ex venditore di brustulli e caramelle al Cinema parrocchiale Salus di Don Cleto Patelli e monellaccio che intonava il coro “Don Cleto busàn” quando Cary Grant baciava Ingrid Bergman e Don Cleto ordinava buio in sala – era uno degli amici degli amici e non ancora il bravo segretario tuttofare che poi diventò più avanti.

Da quei giorni Lucio salì sempre più su. E io ancor oggi mi chiedo come un umano possa scrivere la melodia di “Caruso”. Siamo al limite dei limiti: “Stardust”, “Strangers in the night”, “Torna a surriento”, “Dicitincello vuie”, “Rap­sodia in blu”, “Moonlight serenade”, “Volare”. E come si fa a ideare canzoni come “L’anno che verrà” o “Le rondini” e “Com’è profondo il mare?”. Solo se sei un extraterrestre e un genio. Se hai talento sei Vasco o Battiato o De Andrè. Altri­menti noi tutti siamo qui e tu sei là dall’altra parte della luna.

Ci siamo incrociati per tanti anni al Dall’Ara o al Paladoz­za. Ciao Lucio, ciao Civ e poi basta perché lui aveva il suo clan e io niente, lui adorava lo stare insieme e io no, io non ho mai fatto parte di conventicole, io non ho amici e sto bene da solo o quasi e quel quasi non lo racconto a nessuno. E di lui mi dicevala Iskrae soprattutto suo marito (l’ex pugile Alfre­do Parmeggiani) e Giorgino Comaschi e naturalmente Tobia, l’uomo che gli metteva a posto i conti, cioè gli stramiliardi. E Gigi Porelli mi diceva “dài, andiamo a un suo concerto e ci mettiamo a suonare la batteria”. Lui ci andava e Lucio gli permetteva di fare il Ringo Starr “de noantri”, ma io no, sem­plicemente non andavo e sbagliavo.

Davanti al suo feretro c’ero ancor prima che arrivasse l’ondata. Non mi piace andare ai funerali, ma per Bulgarelli e Porelli mi sono mosso, ci si vedeva troppo spesso per non esserci. E quando un bolognese – si chiami esso Marconi o Schiavio o Bulgarelli o Morandi il pittore e tutti quelli che hanno portato la mia Bologna in giro fra i cieli d’Italia e d’Europa e del mondo – muore, si va.

Poi devo dire qualcosa sugli amori e disamori di Dalla? Ma cosa, ma dove, ma quando? Troppe chiacchiere, troppe idiozie, troppe violazioni del privato. “E si farà l’amore, ognuno come gli va”. L’ anno che verrà, lui si stava preparan­do e mi preparo anch’io, ma senza fretta.

Brano corrente

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