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14 Giugno 2012 | Racconti d'autore

La torrefazione

Di Beatrice Tortis, dalla rivista “Tratti” n. 90 maggio 2012, Mobydick, Faenza.

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redeghieri

14 giugno 2012

L’ultimo numero della rivista “Tratti” dedica la rubrica “In cantiere” ad alcune quattordicenni del liceo Cassinari di Piacenza che hanno partecipato a un concorso on line sul tema del caffè, in collaborazione con Caffè Molinari e Libri Consigliati. “Mi piace pensare – ha scritto il curatore Guido Leotta – che saranno dannatamente felici di vedere la loro prova d’esordio sulle pagine di una rivista ‘concreta’. Mi piace pensare che anche loro (quattordicenni giustamente chattanti) si emozioneranno neanche fosse domenica”.
Anche a noi piace pensare che si emozioneranno ad ascoltare il loro racconto in radio. Vi leggiamo quindi “La torrefazione” di Beatrice Tortis, con un ringraziamento anche alle insegnanti di queste giovanissime.

La torrefazione

Mi chiamo Michele, ho trentun’anni.

Quando ne avevo dieci sentii mia sorella, Giulia, suonare l’arpa. Aveva sedici anni e studiava da poco ma la prima volta che la sentii rimasi incantato da quel suono così dolce simile a una carezza. L’avevo vista lì, nel magazzino della torrefazione del nonno e la ascoltavo suonare, era così brava. Decisi di imparare anch’io. Di giorno stavo nella torrefazione del nonno, vendevo caffè a tutte le anziane signore che passavano per il negozio, mentre di notte tornavo giù in magazzino e pizzicavo le corde di quello strumento che all’epoca era più grande di me.

Nel giro di circa cinque anni ero diventato davvero bravo, lo dico perché io stesso mi incantavo suonando. Nessuno sapeva niente, solo il nonno si era accorto di questa mia passione ma faceva finta di niente. Già, il nonno, quanto amavo quell’uomo. Passai tantissimi anni a suonare all’insaputa dei miei genitori, ma non penso che se l’avessero saputo sarebbe cambiato qualcosa in loro, avrebbero continuato a fare finta di niente, esattamente come avevano fatto negli ultimi sedici anni. Spesso mi sono chiesto perché avessero fatto dei figli, per poi lasciarli ai nonni e andarsene in vacanza da soli?

A sedici anni il nonno mi iscrisse a un corso per imparare a suonare il violino; ero avvantaggiato perché conoscevo già le note ed era molto più facile per me che per gli altri ragazzi. Nel giro di poco tempo Giulia imparò a suonare il violino sotto i miei insegnamenti e decidemmo quindi di andarci a esibire in strada, non per necessità di soldi, no, ma per divertimento, per le emozioni che ci poteva regalare una cosa cosi semplice.

A diciotto anni, quando finì la scuola, andai a lavorare nella torrefazione

insieme ai nonni. In quegli anni non suonai più e quando la nonna e il nonno morirono in un incidente stradale tutto mi sembrò più difficile. Decisi di chiudere la torrefazione, mi trasferii per qualche mese nella casa in campagna, da solo, ripresi a suonare e parlando seriamente non mi sono mai sentito così in pace con me stesso. Pensavo al mio futuro, a ciò che potevo fare per stare bene e mi resi conto che la risposta era nelle mie mani.

Riaprii la torrefazione e la feci gestire da Giulia e da suo marito, Flavio, un buon lavoratore: mi fidavo e mi fido ancora molto di lui; ormai è parte della famiglia. Avevo ormai ventiquattro anni, decisi di trasferirmi, andai in un’altra città, Milano. Feci il provino per entrare nell’orchestra della Scala, al terzo tentativo mi presero. Alla Scala tra le tante persone, musicisti, ballerini, c’era Elena. Elena suonava il flauto traverso ed era davvero brava; vi erano tanti musicisti, ma come lei nessuno metteva una passione, un’espressività in ciò che faceva. Mi innamorai. Lei, era così bella. Era bassa, mora, magra, gli occhi chiari. Accettò la mia richiesta, per semplice cortesia credo, e un giorno andammo al bar, era inverno e bevemmo la cioccolata calda. Avevamo parlato delle nostre vite, lei era di Bergamo, era orfana e si era trasferita da sola qua a Milano a quattordici anni, aveva sempre vissuto senza nessuno che le dicesse cos’era giusto o sbagliato e nonostante ciò era riuscita a tenersi lontana dai guai. Aveva iniziato a suonare da piccola e aveva continuato a sue spese fino ad arrivare a La Scala, proprio come me. Siamo usciti altre volte e dopo qualche mese finalmente anche lei ha ceduto e ci siamo fidanzati.

Non mi era mai capitato di innamorarmi, era una sensazione bellissima. Senti che non ti interessa tutto quello che hai attorno perché hai quella persona che ti basta per tutte le altre, ti senti agitato e tranquillo nello stesso momento, è una sorta di equilibrio che ti porta a sentirti in pace con te stesso. Sapevo che con lei avrei potuto essere felice in ogni situazione, sentendomi bene, finalmente, dopo tanto tempo. Ogni mattina andavo a provare con l’orchestra, io ed Elena passavamo tutto il giorno insieme, poi la sera la accompagnavo a casa e a volte rimanevo a dormire da lei. Eravamo indipendenti nel nostro mondo. Dopo un paio d’anni Elena si è ammalata, cancro ai polmoni. Quando l’ho scoperto è stata una morsa al cuore. Lei lo ha saputo dopo, è stato come se a un tratto tutta la sua vitalità se ne fosse andata, come se si fosse già arresa. Smise di suonare e io con lei; in quei mesi la situazione peggiorò gravemente, cercai di starle il più vicino possibile.

Avevamo progettato tutto il nostro futuro, per una volta anch’io lo avevo fatto, avevo progettato quello che avrei voluto accadesse. Anche lei se ne andò presto come i nonni; è stata ammalata per nove mesi ma la sua morte è stata una cosa improvvisa per me, quasi uno shock. Perderla è stato come morire, come se il mio, anzi il nostro mondo fosse scomparso. Non dormivo più, non mangiavo più. Bevevo solo caffè, cercavo di stare sveglio per non sognare, non sognarla e stare ancora peggio di prima, il più delle volte mi addormentavo per la stanchezza sul divano.

In quel periodo ero tornato alla torrefazione con Giulia e Flavio ed ero andato a vivere nella mia vecchia casa. Per mesi non sono riuscito a sorridere. Negli ultimi anni ho lasciato la Scala, ho cercato di lasciarmi il passato alle spalle.

Ora lavoro nella torrefazione, ho abbandonato la musica, penso che per un po’ non suonerò più. Nel frattempo Giulia ha avuto una bimba; si chiama Chiara ed è bellissima, le somiglia molto. A volte la curo io quando sono di turno Flavio e Giulia.

Sta crescendo in fretta, ormai ha quattro anni e sa già suonare lo xilofono.


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