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23 Agosto 2012 | Racconti d'autore

Tutti al mare vent’anni dopo

Di Luca Bottura, Perdisa Editore, Bologna, 2007

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redeghieri.

23 agosto 2012

Il primo agosto 1985, il giornalista e scrittore Michele Serra partiva in Panda per un viaggio che da Ventimiglia lo avrebbe portato a Trieste. Di quel viaggio nell’Italia vacanziera, giorno dopo giorno, pubblicava il resoconto sul quotidiano L’Unità. Ne uscì un ritratto indimenticabile dei nostri anni Ottanta, tutt’ora disponibile nell’edizione libraria Feltrinelli. Vent’anni dopo, Luca Bottura, allievo e amico di Michele Serra, ha intrapreso lo stesso itinerario, per verificare quanto le cose fossero cambiate. E lo ha puntualmente raccontato ai lettori dello stesso giornale. Quel reportage è diventato un libro insieme spassoso e amaro: la cronaca implacabile di quello che siamo diventati. Vi leggiamo il capitolo su Rimini.

Luca Bottura, bolognese, nato nel 1967, è giornalista, scrittore, conduttore radiofonico, autore teatrale e televisivo.

Rimini

Andare a Rimini per dormirci e basta è come partecipare al con­gresso dell’Udeur e non portare a casa nemmeno un assessorato. Eppure è – quasi – quello che ho fatto. Con una importante con­cessione: il letto in questione era al Grand Hotel. Un doveroso omaggio al rito che il Serra compì vent’anni orsono, ma anche la più prosaica esigenza di regalarsi un minimo di bambagia dopo quasi un mese di portieri scortesi, camere tropicali (o polari), taglieggiamenti vari.

Dal 1985, alcune cose sono rimaste immutate. Le anziane nobil­donne che svernano per un mese, ad esempio, e ogni giorno sfida­no la pazienza dei concierge chiedendo una stampata dal conto parziale. I nuovi cafoni che si aggirano per la hall in bermuda colorati e camminata alla zuava. E la qualità di alcune delle cento­sessantotto camere, che saranno ristrutturate solo nel 2008.

Tipo la mia: piccolina, vista sui collettori dell’aria, tende più vec­chie che antiche, tv col televideo rotto. Meglio i corridoi, così alti, ampi, istoriati di luci barocche. E il bagno, enorme, bianco latte. Oltre al servizio, naturalmente. Onnipresente. Per dire: mentre me ne stavo sul letto a leggere i giornali – non vestitissimo, dicia­mo – una cameriera in grembiule nero è entrata a portarmi una caramella. Buona. 

Molto altro invece è cambiato. Vent’anni fa Fellini era un (gran­de) regista, oggi è una (grande) suite. La singola costava 300.000 lire, oggi costa 370 euro. Marco e Pietro Arpesella, che erano pro­prietari del Grand Hotel, si sono uccisi con una revolverata. In tempi diversi. Pietro a 95 anni. Marmi, stucchi, parquet, sono finiti per tre anni, sul finire degli anni ’80, inamministrazione controllata: troppi debiti. E d’inverno, per preservare i bilanci, oggi si ospitano le convention dell’Herbalife. O di Mondial Casa, quelli delle pentole. Mentre Sigfrido Stocklow, il direttore in guanti bianchi che sembrava uscito da una felice inquadratura’ di Amarcord, è andato in pensione nel 2001. Sta nella sua San Remo. 

Lo hanno sostituito in due: Andrea Cigarini, 33 anni. E Mattia Palazzi, 36. Insieme fanno l’età del loro predecessore. Più che un direttore, Palazzi – giovialissimo – si definisce deputy manager. Poi, dopo avermi omaggiato di un dvd felliniano, spiega: “La nostra mission è alimentare il mito”. Per questo in capo a tre anni l’intero edificio sarà ristrutturato e riportato a com’era nel 1908: “Un restauro conservativo che reintrodurrà anche le torri more­sche. Ma è previsto un update complessivo delle camere”. Quale clientela ospitate? “D’estate turisti di alto livello in cerca di una calda ospitalità sincera. Durante il resto dell’anno, soprattutto congressisti. In bassa stagione le convention sono il nostro core business”.

Palazzi è giovane ma possiede già una certa esperienza: “Holiday Inn, Le Meridien, finora mi sono occupato di opening e rebrand”. E ha idee chiare su come rilanciare il marchio. “Prima la nostra spiaggia era un accessorio dell’hotel, molto costoso e poco sfrut­tato. Oggi dalle 19.30 a mezzanotte ospita un rave, una sorta di party d’elite al quale possono partecipare fino a settecento perso­ne. Di giorno, poi, forniamo un servizio all inclusive: ombrello­ni extrasize, letti cabanas”. Costi? “Dai cinquanta ai centoventi euro al giorno, ma il setup minimo comprende praticamente tutto. E non siamo fiscali se l’ospite invita qualcun altro. Ci piace essere così, genuini. Come la piadina col prosciutto”. With the ham.

Facili ironie (easy jokes) a parte, Palazzi gronda un entusiasmo veritiero (real enthusiasm) per una cura da cavallo (horse therapy) che ha evitato al Grand Hotel di diventare un sepolcro imbianca­to (whited tomb). “Avessimo un centesimo per ogni volta che qualcuno si arrampica sulla ringhiera alla ricerca della stessa pro­spettiva di Amarcord, potremmo dare le camere gratis. Poi però quella terrazza deve vivere. Per questo ogni sera c’è un after dinner che raduna anche quattrocento persone. Musica live. Cover band di Beatles e Rolling Stones… Io amo più gli U2, cose recenti. Ma quando ho visto un centinaio di sessantenni che si scatenavano al ritmo di Satisfaction, mi sono inorgoglito. Anche se Stocklow certe cose non le avrebbe mai fatte”.

No che non le avrebbe fatte. Eppure nella frenesia dei Palazzi e dei Cigarini c’è tutta la Riminipostmoderna che lavora diciotto ore al giorno (“Sempre on duty”) per far dimenticare “che qui il mare non è quello del Tigullio”. E poi magari, proprio dove la sera prima c’erano i piccoli fans degli Stones, finisce che ti ritrovi a fendere la folta platea che celebra i vent’anni della Rimini di Ton­delli. E finisce che tutto, in qualche strano e imprevedibile modo si ricompone.

Al di là della rotatoria, su un divano in vimini del bagno 14, c’è Isaac. È l’erede di Zanfanti Maurizio, detto Zanza, il playboy in tutina che all’epoca si qualificò al Serra come una sorta di Azienda di promozione turistica dell’amore. Ha ventisette anni (“Veri, non come Maurizio che se li calava. Ma quando servirà lo farò anch’io”), ricci biondi forse suoi, una mamma che gli cucina le lasagne, e un rapporto più laico coi numeri: “Zanza parlava di duemila donne. lo non le conto. Ho smesso quando sono arrivato a cento”.

E quando?

“A 17 anni, ma sono numeri normali”.

Normali?

“Se un uomo non arriva a cento donne è un fallito”.

Un attimo che vado a uccidermi. Quando hai cominciato? “A undici anni. A fare il bagnino, intendevi?”. Dai che hai capito. Nomea meritata?

“Dì, se c’è, un motivo c’è. Adesso però mi sto calmando”. Periodo d’oro?

“Verso i diciassette, diciotto anni. Ma ho delle agevolazioni…”. Quali?

“Il mestiere, qui. E poi suono in una band. Chitarra e voce. Roba nostra ma anche cover. Jimi Hendrix, Stevie Ray Vaughn. E lì le occasioni non ti mancano”.

Segreti?

“Non ci sono segreti. O sei o non sei. Se vuoi, fai. Non c’è proble­ma. Basta che ti muovi con una certa decisione e riesci a trovare”. A me non succederebbe…

“Beh, dipende. Devi essere convinto. Io son sempre qui, quasi nudo. Sto in vetrina”.

Basta?

“No, poi è una questione di numeri. Uno che lavora in ufficio, sta in giacca e cravatta e quante donne vedrà in un giorno?” Quante?

“Forse dieci, venti. Io nei weekend ne vedo passare cinque-seicen­to. Su seicento, ce ne saranno dieci che mi piacciono? E su dieci, vuoi che neanche una ci stia? È la logica”. Chi fa il primo passo?

“Sono io che cerco di raccogliere i segnali. Le cose le devi vedere. Lo dico anche a tanti ragazzi che passano di qui e magari sono timorosi: non la vedi quella lì, non vedi che lì ce n’è?”. Da cosa lo capisci?

“Sguardi. Ma anche dove si sdraia, come ride. Dopo è chiaro che decide lei. Però se una si beve una Ceres alle due del pomeriggio, ecco”.

Parliamo di medie: una a sera?

“Son capitate settimane che dovevi gestirne tre al giorno e non era facile non farle incontrare. Adesso mi sono tranquillizzato. Ma se vuoi stare sul tamburo, devi pedalare, la testa deve stare lì. Però io sono uno che lavora, alle sei del mattino sono qui”. Il dovere innanzitutto.

“Spesso vogliono che la notte continui. Ma io mi dico: non fare lo semo. Loro sono in vacanza, io no”. Orari?

“Capita che a mezzanotte sei già sul pezzo, ma di solito fai più tardi. Se poi la porti un po’ in giro, vai nel locale, fai mattina. Allora finisce che cerco di ottimizzare”. Cioè?

“Se è chiaro che nel bulirone ci vuoi stare, mangiamo qualcosa qui. Magari cucino un po’ di pesce, sono bravo. Poi un bagno insieme. E un passaggio nel mio regno, in magazzino. A mezza­notte a casa”.

Si accontentano?

“Sono nell’esercizio delle mie funzioni, di solito alle over trenta va benissimo così. E anche alle straniere”. Selezione?

“Se vuoi fare legna, se vuoi girare il minestrone, non è che puoi stare a fare lo schizzinoso. Certo, adesso non prendo più di tutto. In generale sono maturato”.

Subisci anche assalti di over quaranta? Magari son qui col mari­to…

“Capita sì. Però ci stanno un minimo attente perché son tutte stanziali, poi mi devono guardare in faccia. Io poi ho una mia etica, cerco di andare fuori dal bagno. Sempre in linea di massima”. La gentilezza resta vincente?

“La volgarità è l’errore più grosso che puoi fare. La galanteria è decisiva. Poi, a un certo punto devi sfoderare la tua maschilità. Ma all’inizio…”.

Cura del corpo?

“No. Mangio di tutto, bevo di tutto, faccio di tutto”.

Di tutto?

“Anche il surf, il beach volley, gli sport da spiaggia’. Gli sport da spiaggia, certo. Vacanze?

“Dove ci sono le onde. Bali, Messico, Brasile…”. Contatti con lo Zanza?

“Non lo vedo più e mi spiace. Ma intorno è cambiato tutto: lui si muoveva in un bordello. Discoteche, casino, divertimento. Era la Rimini dello sballo totale. C’hai presente Tondelli?”. Cos’è cambiato?

“Troppe pugnette. Adesso a mezzanotte devi abbassare la musica. E i ragazzini si concentrano sul telefonino. Una volta arrivavano le tedesche con gli zoccoloni ai piedi e via che si trombava”. Tutto più fighetto.

“Sì. Guarda il mio bagno, non c’è niente. Gli altri hanno il fit­ness, il wellness, il wireless. Internet sotto l’ombrellone. No, dico, Internet sotto l’ombrellone… Ma non ti basta a casa? Poi magari tua moglie si distrae”.

In sintesi?

“Qui sembra che ti diano chissà che cosa ma non ti danno niente. È solo confezione, un gran buttasù. Ma di vero non c’è niente. Manca la libertà”.

La libertà.

“Se alle donne porti via il gusto della libertà, di poter trovare un’avventura. Sì i musei, l’entroterra, la cucina, quello che vuoi, ma se te gli porti il via divertimento ruspante, quello che sappia­mo noi, il gusto della conoscenza, puoi stare anche a casa”. Il gusto della conoscenza, sì.

“Apri un giornale estivo, guarda qua (li sfoglia, sul tavolino in vimini): Eva Tremila, Vanity Fair, lEspresso. Solo donne nude e modi per essere più belli nudi. Inutile dire si mangia bene, si man­gia bene… Ma qui non sei né in Sardegna né nel meridione. Vieni per altri motivi”.

Tra vent’anni dove sarai?

“Qui, uguale. Avrò sempre le mie frasi sagaci, come adesso. La battuta sempre pronta. E continuerò a piacere per quello”.

Se potessi scegliere il tuo erede?

“Gay no. Sarà moderno, ma è troppo moderno. Nero sì. Anzi, nero è probabile. So che tante signore vanno in Jamaica a vedere la natura, diciamo”.

Tua madre?

“Se siam contenti noi, lei è contenta. Ho anche due fratelli più grandi: Adam e Arold”.

Adam e Arold?

“A mia madre piaceva La valle dell Eden…”. A te invece?

“A me Carlito’s way. E Fuga di Mezzanotte. I film di oggi no. Non c’è sceneggiatura. E tutta produzione col solito lieto fine. Troppa roba e niente dentro. Come Rimini, oggi. Dì`.

Il Grand Hotel di Rimini è finito prima nelle mani di Danilo Cop­pola (vedi alla voce `furbetti’). Mentre scrivo, Coppola è in carcere e starebbe per passare la mano ai russi. La battuta finale del playboy, quella sulla Rimini di cartapesta, uscì smussata su l’Unità per non rovinare la zazzera maròn al mio amico Walter, che lavora all Azien­da del turismo di Rimini.

Brano corrente

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