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26 Febbraio 2007 | Archivio / Lo sguardo altrove, storie di emigrazione

N°49-LO SGUARDO ALTROVE, STORIE D’EMIGRAZIONE

“Un sogno: la Merica!”. I 56 anni di Brasile di Enrico Secchi.

Quella che vi cominciamo a raccontare oggi, e per diverse puntate, è una grande storia di emigrazione. Fa parte di quella che sarebbe stata ricordata come “la grande emigra­zione italiana in Brasile”.


Il nostro episodio migratorio riguarda l’arrivo in Brasile, in un’unica spedizione, di cinquanta famiglie, originarie di Mantova, Modena e Reggio-Emilia, che avrebbero dovuto insediarsi nello Stato di Santa Catarina e costituirvi il primo nucleo di una colonia pensata e voluta da Adelina Malavasi, donna di nobile stirpe e amica di Maria Teresa Cristina di Chiaromonte, dal 1843 consorte dell’Imperatore del Brasile Dom Pedro II.


Nel suo avvincente diario – la cui lettura vi proponiamo – Enrico Secchi, segretario di Adelina Malavasi e come lei di Concordia in provincia di Modena, registra l’epica avventura di questo gruppo di famiglie, che per una serie di motivi (tra i quali l’epidemia di febbre gialla di cui fu vittima la stessa signora Malavasi, e l’interessamento personale dell’Imperatrice), invece che a Santa Catarina, finì poi per stabilirsi felicemente nella “Fazenda de Porto Real”, nelle prossimità di Rio de Janeiro.


Sotto la direzione dell’ex segretario Secchi, nel frattempo sposatosi con una nipote della signora Malavasi, l’azienda agricola si sviluppa e diviene, in breve, una colonia modello, che si emanciperà quando il complesso, produttore di canna da zucchero, verrà ceduto ad una raffineria, per la quale gli immigrati italiani continueranno a prestare la loro opera.


CAPITOLO I


Nell’anno 1874, certa Clementina Tavernari, di Concordia di Modena, fece ritorno dal lontano Brasile, allora Impero dell’ America del Sud, con l’incarico di arruolare cinquanta famiglie di agricoltori dell’alta Italia, allo scopo di fondare, nell’allora Provincia di Santa Catharina, un nucleo coloniale che sarebbe intitolato al nome di S. Maestà l’Imperatrice Maria Teresa Cristina, che avrebbe servito come primo saggio di colonizzazione italiana al Brasile.


Innanzitutto devo far conoscere chi fosse la signora Clementina Tavernari, perché qui in Brasile era conosciuta per Madama Adelina Malavasi. Essa era maritata a un tal Iatici di Modena, dal quale si separò poco dopo il loro matrimonio e come essa fosse implicata nei moti del 1848, perché faceva parte della Massoneria, passò nella Svizzera e di là venne in Brasile in compagnia di un tal Alfonso Malavasi suonatore abilissimo di flauto.


A Rio, questo artista diede diversi concerti e, per il nome che si fece nella capitale, S. Maestà lo invitò a Còrte per dare un concerto alla presenza di tutta la famiglia impe­riale e così la signora Malavasi potette avvicinare Sua Maestà l’Imperatrice. Come la Malavasi fosse una signora colta e parlatrice esimia ben presto si cattivò la stima delle Loro Maestà, tanto che, ogni volta Essa si faceva annunziare a Corte, era sem­pre bene accolta e così fu protetta, tanto più (dopo) che l’artista Alfonso Malavasi fu vittima della febbre gialla, poco tempo dopo il loro arrivo a Rio de Janeiro.


Nel 1873 la signora Tavernari era stata in Italia e, al suo ritorno al Brasile, prese con sé due giovanette sue nipoti Cleonice e Giuseppina, coll’intuito di farle educare in un collegio di Rio de Janeiro. Arrivate al Brasile, furono internate nel collegio delle Larangeiras, ma, pochi mesi dopo, la nipote Giuseppina morì di febbre gialla: e come la zia fosse stata autorizzata dal governo imperiale ad arruolare le cinquanta famiglie coloniche dell’ Alta Italia, ritirò dal collegio l’altra nipote Cleonice, atTidan­dola alla famiglia del suo procuratore, il consigliere di stato Desembargador Ernesto Ferreira França e si preparò per t~lre ritorno in Italia per compiere la sua missione. Quando arrivò a Concordia aveva già i suoi 54 anni di età e non godeva di molta salute, perciò fu costretta a trovare persona idonea che potesse coadiuarla e servirla da segretario. La scelta cadde su di me che, in quel tempo, ero insegnante di prima e seconda classe della scuola municipale di Concordia, mio paese natio percependo da pricipio (mi vergogno a dirlo) 300 lire annue; che dopo tre anni di servizio, furono elevate a 500. Non mi feci ripetere l’invito ed accettai con entusiasmo, ansioso di poter viaggiare e conoscere nuovi orizzonti e veder di migliorare le mie precarie con­dizioni finanziarie insufficenti per formarmi una famiglia. Fu stabilito che la signora Malavasi mi avrebbe fissato uno stipendio mensile di 90 lire, durante il tempo che saremmo rimasti in Italia e durante la traversata e che, all’arrivo al Brasile, avrei avuto un buon impiego nella colonia che avremmo fondato con le cinquanta famiglie coloniche.


In casa dei signori Crema, parenti della signora Malavasi, si aprì uno scrittoio per dar principio all’iscrizione delle famiglie destinate a partire per il Brasile. In pochi gior­ni, centinaia di famiglie del Modenese, Mantovane, Ferraresi, Parmigiane e Reggiane vollero essere in scritte, accontentandosi di partire dopo che le prime cin­quanta famiglie si fossero stabilite in Brasile. L’affluenza di queste famiglie, a farsi inscrivere per emigrare, diede nell’occhio alla polizia che sorvegliava per ordine del R.0 Governo.


Fui io il primo a fare richiesta al sindaco del Nulla Osta per poter avere il regolare Passaporto, ma dovetti trovare persona idonea che si compromettesse di pagare le spese del ritorno in patria qualora non avessi trovato pronta collocazione al mio arri­vo al Brasile. A me non fu difficile trovare la garanzia che il Ministro dell’Interno esigeva per tutti quelli che volevano emigrare per il Brasile, ma per tutte le cinquanta famiglie, non era cosa tanto facile a ottenersi. Intanto ai sindaci dei paesi di quelle quattro provincie d’emigrazione fu raccomandato di non rilasciare il Nulla Osta e, con ciò, i prefetti si rifiutavano di rilasciare i Passaporti, consigliando quei coloni a non emigrare, perché i Consoli nostri di quel tempo avevano più volte informato il Governo, che al Brasile infieriva la febbre gialla e che non era tanto facile potersi collocare presso negozianti italiani, non avendone quasi e quei pochissimi che esiste­vano non avrebbero potuto impiegarli né soccorrerli.


Frattanto passarono i giorni ed i mesi e le cinquanta famiglie non potevano partire. La signora Malavasi, che era fornita di lettere ufficiali per il Ministro del Brasile in Roma, Barone di Javary e, più specialmente, per il Console Generale del Brasile in Genova, Dot1. Cesare Persiani che aveva vissuto molti anni in Rio de Janeiro e che fu medico di Corte, molto protetto dall’ Imperatore Don Pedro II e dall’ Imperatrice, si decise a fare, in mia compagnia, una scappata a Genova ed a Roma per vedere in che modo si poteva affrettare la concessione della partenza delle cinquanta famiglie che avevano venduto tutto quanto possedevano, sempre colla speranza di partire da un giorno all’altro per il Brasile. Così la signora Malavasi ha dovuto sostentare buona parte di quelle famiglie del proprio, perché il Console del Brasile era autoriz­zato a pagare solamente le spese di viaggio dal paese di ogni emigrante fino a Genova e quelle del trasporto marittimo da Genova a Rio de Janeiro.


Eravamo verso la fine del mese di novembre 1874 quando facemmo l’ultimo viaggio a Roma e questa volta, dal Direttore della Tribuna, ci fu indicato l’Onorevole De Sterlih, il quale benevolmente s’incaricò di fare un’interpellanza alla Camera, per sapere dal Ministro degli Interni del perché non si voleva lasciar partire le cinquanta famiglie d’emigranti le guaIi, da vari mesi, si erano private di tutto quanto possedevano. Il Ministro rispose che non proibiva di emigrare, ma esigeva solamente che esse trovassero chi per loro garantisse le spese di ritorno in patria, qualora non avessero trovato collocazione adeguata. Allora l’Onorevole De Sterlih disse: «Come quello che V. E. esige è una mera formalità, io mi impegno di fare la garan­zia per tutte le cinquanta famiglie.


A vista della dichiarazione esplicita dell’Ono De Sterlih, il Ministro rispose che avrebbe impartiti ordini ai quattro prefetti di rilasciare i Passaporti richiesti per le cinquanta famiglie».


Così, in pochi giorni, ho potuto ottenere dai sindaci il Nulla Osta e dai prefetti il rispettivo passaporto. Ottenuto questi, spedii una lettera circolare a tutti i capifami­glia, perché si fossero trovati a Modena, nella Locanda della Rondine, in Piazza Castello, il giorno 3 Dicembre, con le rispettive famiglie.


Nessuno mancò all’appuntamento. Il locandiere fece di tutto perché nulla mancas­se agli emigranti, e particolarmente bastante latte per i bambini. Di letti pochi ven’erano, perciò si dovette ricorrere ad un buon strato di paglia, collocato nella grande sala da pranzo.

Brano corrente

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