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21 Luglio 2012 | IBC news

Mummie che parlano

Le mummie di Roccapelago (XVI-XVIII sec.): vita e morte di una piccola comunità dell’Appennino modenese

A cura di Valeria Cicala

21 luglio 2012

Può sembrare una contraddizione ma una mummia può essere molto loquace. E’ il caso dello straordinario rinvenimento, una fossa comune i cui sono stati esumati 281 corpi di cui circa 60 mummificati, sepolti dalla metà del Cinquecento alla fine del Settecento. 

Siamo a Roccapelago, nell’Alto Frignano nella provincia di Modena. Un tale ritrovamento costituisce uno spaccato storico-antropologico assai eloquente. Storie semplici, anonime che illuminano la Storia, che mettono gli studiosi in condizione di analizzare e conoscere caratteristiche di vita, ma anche le peculiarità fisiche, fisiognomiche di una comunità, la tenerezza degli affetti, le consuetudini e i rituali a cui si affida l’umana fragilità.

Questi resti raccontano, un po’ come i corpi coperti dalla lava a Pompei, una realtà, ma in modo più trasversale, le mummie ritrovate nella chiesa di San Paolo di Roccapelago coprono un arco di tempo che va dal XVI al XVIII secolo e ci parlano della loro comunità restituendosi intatte con i loro abiti, le gioie che portavano. Si sono conservate integre perché si è determinata una condizione di ventilazione e clima asciutto che non le ha deteriorate.

Su questa importante e singolare scoperta avvenuta lo scorso anno durante i lavori di restauro all’interno della chiesa, si incentra l’esposizione che dal 22 luglio al fino al 14 ottobre 2012 si potrà visitare nel museo e nella Chiesa di Roccapelago.
Curata da Giorgio Gruppioni e Donato Labate espone 13 di quelle mummie e circa 150 tra i reperti più significativi rinvenuti nello scavo.

Una minuscola Spoon River che esperti di tessuti e devozione religiosa, archeologi, antropologi e genetisti stanno indagando. Un forte insieme di istituzioni che sono all’opera per ricostruire l’esistenza di queste persone scoprendo le abitudini dei contadini, le vesti intime, i modi di sepoltura, la dieta e le carenze alimentari, le malattie, i traumi e i tentativi di cura.

Il contributo dell’IBC si è focalizzato sullo studio dei tessuti. In particolare è’ stato promosso il restauro, coordinato da Iolanda Silvestri e Marta Cuoghi Costantini, di una veste funebre, una cuffia e un paio di calze; mentre Costantino Ferlauto del laboratorio fotografico dell’Istituto ha collaborato alla campagna fotografica di rilevamento delle mummie con attenzione all’apparto vestimentario.

Per saperne di più: www.ibc.regione.emilia-romagna.it

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