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11 Novembre 2008 | Archivio / Lo sguardo altrove, storie di emigrazione

Tutti mi chiamano bionda (seconda parte)

Lo Sguardo Altrove: storie di emigrazione.

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redeghieri.

11 novembre 2008

Tra gli Anni Venti e i Sessanta del Novecento, ebbe grande diffusione in Francia il valse musette, detto anche il “valzer del popolo”, in contrapposizione a quello viennese, identificato come il ballo della nobiltà e della borghesia. Mentre i valzer viennesi suonati dalle grandi orchestre si erano trasformati ormai in musica d’ascolto, la musette, che prendeva nome da un antico strumento simile alla cornamusa, si radicava sempre più tra gli strati più umili, divenendo il ballo del proletariato francese. Un ballo che esigeva parole e semplicità compositiva, perché le persone amavano canticchiare e fischiettare i motivi. Lo strumento più adatto ad accompagnare il canto era la fisarmonica, che aveva soppiantato la musette. E’ qui che entrano in scena i musicisti di Borgotaro a Parigi: almeno tre di loro sono stati tra i più grandi autori del genere, che vantava tra i suoi interpreti Edith Piaf.

Molti suonatori di valse musette erano vagabondi che con la loro fisarmonica si fermavano nelle piazze a cantare, come si è visto in tanti film. Parole di amore o di miseria finite in bocca a emigranti, canzoni di strada che dalle aie della pianura padana o dai sentieri d’Appennino potevano arrivare nei crocicchi parigini, nei quais de la Seine – che è anche il titolo di un brano di Louis Ferrari (Borgotaro 1910 – Nizza 1987). Compositore e fisarmonicista, naturalizzato francese, Ferrari è l’autore di quella che è considerata dagli intenditori una delle più belle musette di ogni tempo, Domino. Sapeva unire tecnica raffinata e sensibilità, e far ballare le coppie al ritmo struggente dei suoi valzer. Louis Ferrari è stato anche un bravissimo suonatore di bandoneón, la versione argentina della fisarmonica e strumento principe delle orchestre di tango.

Louis Ferrari ha avuto anche il merito di lanciare nel mondo del cabaret e del music-hall il cugino Antonio Murena, in arte Tony Murena, musicista di eccezionale virtuosismo e rara eleganza. Emigrato da Borgotaro con la famiglia nel 1923, a cinque anni, a Nogent-sur-Marne, un comune della banlieue parigina dove da tempo si era radicata una comunità italiana originaria delle vallate piacentine e parmensi, il piccolo Tony a nove anni suonava già la fisarmonica cromatica regalatagli dallo zio. Andava, come si diceva a “faire les bals”, a far ballare la gente nei locali. Dopo alcuni ingaggi nei cabaret Le Chantilly e L’Ange Rouge, si dedica al bandonéon nel 1932 e, scoppiata la moda del tango, comincia a suonare in varie formazioni, tra cui quelle di Rafaël Canaro e di Eduardo Bianco, le migliori orchestre di tango a Parigi. Col suo quintetto suona a La Silhouette, a La Boule Noire, a La Java, al Pré Catelan, da Ciro’s : si può dire sia stato lui il maggior interprete dello swing musette francese. Infatti fino dai primi anni Quaranta si era convertito al jazz, avendo compreso come la fisarmonica potesse adattarsi anche all’ambito colto. Oggi è normale vedere Richard Galliano, il fisarmonicista più noto al mondo, rileggere in chiave jazz la tradizione musette, ma ai suoi tempi Tony Murena era un precursore. E anche se negli ultimi anni (è morto nel 1970) ha ceduto alle mode commerciali, la sua voglia di allargare i confini dello strumento l’ha portato a confrontarsi con musicisti come Astor Piazzolla, Django Reinhardt e Stéphane Grappelli, ospiti talvolta nel jazz club da lui acquistato nel 1949 in rue de Courcelles, Le Mirliton. Una bella carriera, quella di Tony Murena: solo la morte improvvisa di Glenn Miller, nel ’44, gli ha impedito di suonare nell’orchestra più popolare degli Stati Uniti; nel ’47 si è esibito davanti al re di Cambogia Norodom Sihanuk; nel 1958 ha fondato l’Orchestre Musette di Radio-Luxembourg; infine ci ha lasciato canzoni come Passion e Indifférence.

Il più giovane dei tre borgotaresi di Parigi è Lino Leonardi, nato nel 1928. La musica gli entrò nelle vene già nel paese natale, dove la banda musicale ha una tradizione d’eccellenza. Emigrato a Parigi, si fece presto notare come fisarmonicista e quindi come compositore. Realizzò per il cinema diverse colonne sonore – da Le cinéma du papa a Pile ou face, da Mandrin a Cauchemar – e musiche di scena per il teatro. L’incontro con la cantante Monique Morelli, che poi sarebbe diventata la sua compagna, lo restituì all’antica vocazione del fisarmonicista: quella di accompagnare, di sostenere il canto. Un canto non idealizzato ma realistico, che attinge alle gioie e ai dolori della vita: quelli che i poeti vedono prima degli altri. E così, Leonardi si è buttato con dedizione a musicare le poesie di Louis Aragon, Tristan Corbière, François Villon e altri, che la Morelli portava in scena, e cantava con la sua voce arrochita che sapeva di fumo e di vino, vestita sempre di bianco e con una larga sciarpa rossa. “Io devo a Léonardi – ha scritto Louis Aragon – un sentimento strano, quando ascolto ciò che ha fatto di un poema, come se un mago mi tendesse uno specchio in cui mi vedo come mai prima. Lo specchio cui non sfugge nulla di quel che era nascosto nei miei versi, e forse non è uno specchio, ma un’operazione di magia attraverso la quale i sentimenti intimi diventano visibili”. Aragon è stato uno dei più grandi poeti francesi del Novecento.

L’erede, oggi, della tradizione borgotarese della fisarmonica vive a Londra, dov’è nato nel 1966. Si chiama Romano Viazzani e ha dedicato un concerto per fisarmonica e orchestra alla terra natale della madre, la Val Ceno, vallata appenninica prossima alla Val Taro. Il concerto è stato eseguito nel dicembre 2001 con l’Orchestra della BBC durante il London Accordion Festival che Viazzani e la moglie Janet organizzano al Wembley Complex per promuovere la fisarmonica. Viazzani suona in teatro, compone colonne sonore, tiene concerti da solista e, sempre con la sua amata fisarmonica, partecipa ai dischi e alle tournées del sassofonista bebop Gilad Atzmon e del suo complesso The Orient House Ensemble, votati a una miscela musicale pluripremiata che mette insieme jazz e tango, influenze mediorientali e balcaniche.

Intanto a Borgotaro, scrive, compone e studia un musicista jazz di fama internazionale, il milanese Giorgio Gaslini. E’ qui che il maestro da oltre trent’anni ha posto il suo buen retiro: prima in un monastero in pietra del Cinquecento nel piccolo borgo di Gorro, e ora nella quiete e nella luce di una casa ai margini del paese. Perché a Borgotaro – si sa – la musica è nell’aria.

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