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2 Settembre 2014 | Archivio / Lo sguardo altrove, storie di emigrazione

Il figlio del grande serpente

La vita avventurosa dell’esploratore Ermanno Stradelli

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redeghieri

Ci piace molto, cari ascoltatori, il personaggio di cui vi parliamo oggi. Nato nobile, si appassionò da piccolo alle letture di libri che raccontavano di luoghi lontani e favolosi, così che da Borgotaro, dov’era nato, e da Piacenza, la sua città, se ne andò ad esplorare l’Amazzonia, diventando amico e difensore degli indios. Ecologista e difensore dei diritti umani ante-litteram, il conte Ermanno Stradelli era chiamato dagli indigeni “il figlio del grande serpente”. Prendiamo la sua biografia dal Dizionario dei parmensi e parmigiani illustri del portale dedicato alla storia di Parma.

Ermanno Stradelli è nato dal conte Francesco, possidente, e da Marianna Douglas Scotti di Vigoleno, proprietaria, nel palazzo situato nella strada principale di Borgotaro. Padrino di battesimo fu il nonno Angelo, che lo ricordò in modo particolare nel testamento registrato nel dicembre 1861 a Borgotaro: “Venendo il giorno che il caro nipote Ermanno compirà il 21 anno di età incarico il detto mio figlio, di lui genitore, a pagargli la somma di lire 9000, ricordandogli l’affezione dell’avo che lo tenne al sacro fonte”.
Compì gli studi secondari nel Collegio Santa Caterina di Pisa. Le sue letture predilette erano libri di viaggi che parlavano di foreste vergini, di deserti silenziosi, di indios e di animali favolosi. Si iscrisse alla Facoltà di legge dell’università di Pisa. Nel periodo seguente fu attratto dalla poesia, ciò che lo portò, a ventiquattro anni, a pubblicare un libro di versi, Una gita a Rocca d’Olgisio, cui fece seguito, nel 1877, un’altra raccolta, dal titolo Tempo sciupato. Lo studio del diritto non riuscì ad avvincerlo: improvvisamente lasciò l’Ateneo pisano e tornò a Borgotaro. Deciso a diventare esploratore, geografo ed etnografo, studiò con impegno topografia e farmacia, inoltre si esercitò nella fotografia e si appassionò alla omeopatìa. Progettò di andare in Africa ma la madre si oppose. Pensò poi al Brasile. Studiò spagnolo e portoghese, si procurò mappe e portolani e, nel 1878, dopo aver accuratamente preparato il materiale geodetico, fotografico e farmaceutico, sotto l’ègida della Regia Società Geografica Italiana, partì per l’America Meridionale, desideroso di svelare i misteri delle foreste amazzoniche. Approdò a Manaos. Si fermò per un certo periodo presso i missionari francescani per ambientarsi e impratichirsi nella lingua portoghese, quindi, con alcuni di essi, risalì il corso del Rio Purùs e dei suoi affluenti di destra e di sinistra: il Marmoria-Mirim e l’Ituxy.
Oltre a studiare il territorio che attraversava, raccolse archi, frecce, amuleti e altro materiale che venne poi esposto alla grande Mostra Colombiana di Genova del 1892, classificò passaros e coleotteri e si prodigò per curare gli ammalati indigeni. Purtroppo, durante un naufragio, la farmacia portatile, gli strumenti topografici, le casse per conservare il materiale e tutti gli averi che erano sulla canoa, andarono perduti. Lo Stradelli fu pertanto costretto a ritornare a Manaos. Con una nuova spedizione, si inoltrò sul Rio delle Amazzoni e sullo Juruà. Soggiornò tra i seringueros, i raccoglitori di caucciù, sempre acquistando e catalogando materiale prezioso sotto l’aspetto antropologico. Colpito dalle febbri violente delle paludi, lo Stradelli dovette nuovamente tornare a Manaos. Nell’aprile del 1881, con altri compagni, fu di nuovo in marcia sull’Uaupes e sul suo affluente Tikié, sempre pieno di interesse verso tutto e tutti: subì il fascino delle tribù dei Tarnà e dei Tucanos, si innamorò dei luoghi e della gente e, per meglio capire quella civiltà, iniziò a studiare la lingua locale. Le lettere che mensilmente inviò alla madre a Borgo taro contengono lunghi e minuziosi racconti di quanto faceva, dei luoghi che visitava e delle persone che conosceva. Solo alla fine del 1881 ritornò nella capitale amazzonica. Manaos ospitava allora la Commissione ufficiale istituita per delimitare i confini con il Venezuela. Dell’équipe facevano parte valenti ufficiali, tra i quali Dionysio Cerqueira. Il Cerqueira, colto, coraggioso, infaticabile camminatore, amico degli indios, divenne il compagno inseparabile dello Stradelli, il quale, invitato a unirsi alla Commissione, accettò con entusiasmo in quanto l’occasione gli offrì l’opportunità di visitare regioni sconosciute sul Rio Padaniry, sul suo tributario Marany e sui rii Branco e Negro. Poco dopo il suo rientro a Manaos, lo Stradelli si preparò a un’altra spedizione e, via fiume, tornò sull’Uaupes. La malaria però lo costrinse a soste forzate a itacoatiara e presso la foce del Madeira, dove iniziò a riordinare i suoi appunti di viaggio e a pensare seriamente alla stesura di un voluminoso vocabolario. Rimessosi in salute, collaborò con il grande studioso J. Barbosa rodriguez per creare il Museo Botanico di Manaos. All’inizio del 1884 decise di ritornare in Italia ma Barbosa Rodriguez, deciso a trattare la pace con gli indomiti Crichanas del Rio jauapery che da oltre venti anni spargevano il terrore con le loro scorrerie nel territorio tra carvoeiro e Ayrio, lo invitò a seguirlo. percorrendo lo Jauapery, si rese conto della bellezza dei luoghi ma anche degli insensati e violenti sistemi di civilizzazione sino ad allora usati. Da quella esperienza scaturirono rilievi e appunti di carattere etnologico e antropologico sugli indios.
In agosto lo Stradelli, dopo sei anni di assenza dall’Italia, ritornò a Borgotaro. Riprese gli studi giuridici, si laureò a Pisa e fece pratica forense a Genova con l’avvocato Orsini. Con il marchese Augusto Serra Cardinali organizzò (e finanziò, come sempre) un’importante spedizione al fine di scoprire le origini del Rio Orinoco risalendolo in tutta la lunghezza e la pose sotto il patrocinio della Regia Società Geografica Italiana. Nel febbraio del 1887 lo Stradelli si imbarcò a Marsiglia, con destinazione La Guaira, in Venezuela. Il 3 marzo fu a Caracas, dove si occupò attivamente della parte burocratica della spedizione. Il presidente della repubblica, Guzman Blanco, gli facilitò le cose oltre ogni speranza, concedendogli di buon grado permessi e autorizzazioni. Si trovava ancora nella capitale, quando lo raggiunse la notizia che Chaffanjon aveva scoperto le sorgenti dell’Orinoco nel dicembre dell’anno precedente. Lo Stradelli mise in dubbio la cosa, ritenendo che lo scienziato francese fosse arrivato solamente nel punto già raggiunto molto tempo prima da altri. Estremamente amareggiato, anche per la defezione del marchese Serra e per il mancato arrivo degli strumenti e dell’attrezzatura necessari, lo Stradelli tentò ugualmente di realizzare il suo progetto. Si trasferì a Ciudad Bolivar e di qui seguì l’itinerario Puerto Samuro, Maypure e Rio Vichada, affluente dell’Orinoco. Qui, per forza maggiore, dovette abbandonare l’impresa. Attraverso Yavita e San Carlo, passò la frontiera, raggiunse Cucuhy, il posto militare più avanzato del Brasile, Porto Alegre e quindi Manaos, deciso però a ritornare nel territorio con una spedizione più attrezzata e preparata (24 febbraio 1888). Il suo era stato un viaggio al limite dell’impossibile, denso di pericoli di tutti i generi, che egli però descrive con estrema semplicità nelle sue relazioni e lettere, sdrammatizzando le cose e facendo interessanti osservazioni sullo stato degli indios, abbrutiti da un falso progresso.
Due mesi dopo lo Stradelli si aggregò al maggiore Alfredo Ernesto Ourique per una spedizione sul Rio Branco, al fine di studiare l’opportunità di fondarvi una colonia militare. Il viaggio, piuttosto difficile per la turbolenza e l’ostilità degli indigeni che facevano parte del gruppo, si concluse nel villaggio di Sao Marcos. Ritornò sull’Uaupes ancora nel 1890-1891. Naturalizzato brasiliano, due anni dopo poté convalidare la sua laurea ed entrare nell’apparato burocratico: il 29 luglio 1895 fu nominato Promotore pubblico del secondo distretto in Manaos e il 24 settembre fu sul fiume Purùs. Come promotore e avvocato fu in contatto con il mondo del commercio e dell’industria. Notando che il settore del caucciù era in mano a inglesi e statunitensi, lo Stradelli pensò a un trust italo-brasiliano che avrebbe potuto accentrare tutta la produzione locale. Nel 1897 tornò in Italia per sottoporre a Pirelli il suo progetto ma l’industriale lombardo rifiutò.
Ritornò in Amazzonia pochi mesi dopo, dedicandosi alla magistratura e allo studio del materiale raccolto in tanti anni. Nominato Promotore pubblico di Teffé (18 novembre 1912), vi si trasferì, sistemandosi in una casetta posta sulla sommità di un monte. Visse completamente solo, occupandosi della casa, degli acquisti e della cucina, scendendo in paese soltanto per svolgervi la sua attività, per acquistare i viveri e per cercare libri e manoscritti. Nel suo eremo isolato scrisse e collaborò con l’importante rivista del Diritto di Bento di Farias, la più rinomata di tutto il Brasile. Nel 1920 lo Stradelli terminò la sua opera più impegnativa, il vocabolario, in cui non si trovano soltanto vocaboli ma migliaia e migliaia di annotazioni e di testimonianze sugli indigeni. Più che di un vocabolario si tratta di una vera e propria enciclopedia, risultato di mezzo secolo di osservazioni e di amore verso la terra amazzonica, e costituisce un’importantissima e preziosa fonte di informazioni. Non trovò però un editore. Solo dopo la sua morte, l’amico Nogueira riuscì a far pubblicare il poderoso manoscritto in occasione delle celebrazioni per il centenario dell’indipendenza del Brasile (Vocabularios do lingua geral-portoguez nehêengatu e nehêengatu-portoguez, Rev. Ins. Geog. Brasil, Rio de Janeiro, 1929, 5-758; pare che di quest’opera, che vide la luce tre anni dopo la morte dello Stradelli, non sia arrivata in Italia copia alcuna).
Il 4 luglio 1923 lo Stradelli fu esonerato dal suo incarico di Promotore pubblico. A 73 anni, con il fisico provato e la salute malandata, si convinse, dopo le insistenze del fratello gesuita Alfonso, a rientrare in Italia. Si portò a Manaos, ma alla visita medica alla quale dovette sottoporsi per ottenere il nulla-osta sanitario obbligatorio per la partenza, venne trovato ammalato e internato nell’improvvisato lebbrosario di Umirisal, presso Manaos. In un piccolo bungalow, con la sola compagnia dei suoi libri e dei ricordi, visse in assoluta povertà, sino al momento della morte.

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