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17 Maggio 2011 | Archivio / Lo sguardo altrove, storie di emigrazione

José Rondizzoni, il mestiere delle armi

La carriera di un ufficiale parmense napoleonico, protagonista dell’indipendenza del Cile

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redeghieri.

17 maggio 2011

A Parma e in Cile esistono tre ritratti della stessa persona. La tela del Museo Glauco Lombardi di Parma è di autore anonimo: raffigura un uomo dell’Ottocento, con baffi e basettoni congiunti, in un’appariscente divisa militare. Senza baffi, con sguardo foscoliano e mano destra infilata nella giacca alla maniera di Napoleone, ritroviamo il nostro personaggio nell’olio dipinto nel 1819 dal peruviano José Gil de Castro e ospitato al Museo Histórico Nacional di Santiago. E’ del 1850, invece, il ritratto di autore anonimo conservato al Museo del Carmen di Maipú, città nella regione metropolitana di Santiago, dove il generale José Rondizzoni Cánepa – questo il nome del nostro uomo – esibisce di nuovo la smagliante uniforme dell’esercito del Cile. A Parma, nel palazzo comunale, esiste anche un busto di Rondizzoni: è una copia del busto di bronzo eretto al generale dalla Società Scientifica del Cile nel 1924. La riproduzione è stata donata dal Governo cileno nel 1930.

Rondizzoni è stato, dunque, un protagonista della storia del Cile “prestato” alla causa della libertà dalla sua patria originaria, Parma. E Parma lo considera ancora uno dei suoi personaggi illustri, come testimonia la strada che gli è stata dedicata in città. Il Cile, certo, ha fatto di più, intitolandogli una avenida nel centro di Santiago, una stazione della linea 2 della metro e una fortificazione nel porto di Talcahuano. Il vento di libertà che soffiava in Europa al seguito di Napoleone era arrivato anche a Parma, dove – in località Mezzano Superiore – Giuseppe Rondizzoni vide la luce nel 1788, due anni dopo il ripristino del tribunale dell’Inquisizione che chiudeva l’epoca di riforme nel ducato. La famiglia Rondizzoni, compresa la madre Rosa Canepa, era liberale e benestante. A nemmeno vent’anni Giuseppe Rondizzoni era già arruolato nella Guardia imperiale, l’élite dell’armata napoleonica. Partecipò con il grado di capitano alle battaglie della Grande Armée, da quella di Murviedo del 1808, dove rimase ferito, alle campagne di Russia (1813) e di Germania (1814). All’abdicazione di Napoleone, riparò in Alsazia, dove si preparò alla campagna dei “cento giorni”. Combatté anche a Waterloo. L’uscita di scena di Napoleone lo lasciò orfano di un mestiere al quale non volle mai rinunciare. Si accontentò, così, di rientrare a Parma nel reggimento di Maria Luisa col grado di cadetto, ma la vita di provincia non faceva per lui. I suoi pensieri volavano oltre oceano, dove si faceva la storia del nuovo continente.

Negli Stati Uniti, a Filadelfia, entrò in contatto col generale cileno José Miguel Carrera, che con Bernardo O’Higgins aveva condotto la prima insurrezione armata contro la Spagna, tra il 1811 e il ’14. La rivolta era stata interrotta per contrasti interni, ma ora occorreva riprenderla. Rondizzoni s’imbarcò col generale Carrera su una goletta alla volta di Buenos Aires; da lì raggiunsero Mendoza e si unirono alla spedizione capeggiata dal generale argentino José de San Martín e da Bernardo O’Higgins che, attraverso le Ande, puntava alla riconquista del Cile. Il battesimo del fuoco in terra cilena fu, per Rondizzoni, la battaglia di Chacabuco del febbraio 1817. A giugno fu incorporato nell’esercito cileno col grado di tenente maggiore. La disfatta cilena di Cancha Rayada del marzo 1818, pur nell’amarezza del momento, gli suscitò l’ammirazione degli alti gradi militari per il valore con cui si era battuto. Le ferite riportate gli impedirono di partecipare allo scontro che, il mese dopo, a Maipú, avrebbe sancito la vittoria definitiva dei cileni sugli spagnoli e il raggiungimento dell’indipendenza. A Santiago Rondizzoni fu accolto come un eroe dell’indipendenza della nazione. Segno tangibile della considerazione di cui godeva il militare italiano, è il ritratto che gli fece José Gil de Castro, il cui pennello fissò sulla tela le sembianze dei principali libertadores del Sud America, da Simón Bolívar a José de San Martín.

La storia, però, non procede mai linearmente. Entrato in contrasto con O’Higgins, il primo director supremo del Cile libero, Rondizzoni lasciò l’esercito a causa della condanna a morte dell’amico generale Carrera e dei suoi fratelli. Vi rientrò nel 1823, subito dopo le dimissioni e l’esilio in Perù di O’Higgins. L’anno seguente, nella piazza d’armi di Santiago, debellò un tentativo di rivoluzione conservatrice. Se ne andò poi a combattere contro gli spagnoli per l’indipendenza del Perù. Partì col grado di maggiore e, per il suo valore, terminò col grado di colonnello. La sua fama si era diffusa in tutto il Sudamerica. Rondizzoni servì il Cile anche nel consolidamento dell’indipendenza, che richiese nuove battaglie e provocò diverse guerre civili. Tra gli episodi salienti cui partecipò, la liberazione di Chiloé nel 1826, con la quale il Cile completò la sua indipendenza. L’instabilità della giovane repubblica cilena lo spinse all’esilio dopo la battaglia di Lircay nel 1830, quando il potere passò ai conservatori. Fino al 1839 visse in Perù e a San Salvador.

Tornato in Cile, gli furono affidati importanti incarichi amministrativi: nel 1842 fu nominato governatore del porto di Costitución, l’anno successivo promosso generale di brigata e nel 1849 eletto governatore di Talcahuano. Seguirono altre nomine: a prefetto, capo di stato maggiore dell’esercito, intendente di varie province e persino ministro. Come generale, e come capo delle forze nazionali, fu chiamato nel 1859 a sedare un’insurrezione a Concepción. Ma il generale ormai era stanco: nel 1861, mentre la sua lontana patria diventava finalmente unita, si ritirò a vita privata a Valparaíso.
L’ufficiale napoleonico parmense si spense nel 1866, l’anno in cui la mai dimenticata Italia affrontava la terza guerra d’indipendenza.

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