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4 Ottobre 2011 | Archivio / Lo sguardo altrove, storie di emigrazione

La moto dei piacentini

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redeghieri

4 ottobre 2011

È italiana la prima moto costruita in Argentina. Italiana e, precisamente, emiliano-romagnola, a conferma che la nostra regione – patria di Ferrari, Ducati, Lamborghini e altri noti marchi – è davvero la “terra dei motori”. 

Tutto è iniziato nel lontano 1948, quando nove piacentini, Carlo Preda con la moglie e due figlie, Roberto Fattorini con i genitori e la sorella, e Giovanni Raffaldi, emigrarono in Argentina. 

Carlo Preda, nato nel 1913, aveva lavorato all’Arsenale Militare. Di carattere aperto, era sempre pronto ad aiutare il prossimo e fu di grande aiuto nel soccorso delle vittime dell’8 agosto 1940, quando a Piacenza due scoppi devastanti nello stabilimento militare della Pertite – dove un migliaio di persone lavorava a pieno ritmo al caricamento degli esplosivi – causarono una cinquantina di morti e cinquecento feriti. Nell’incidente – o attentato, secondo un’altra ipotesi – perse la vita il cognato di Preda, Ettore Albanese, la cui moglie Paola rimase gravemente ferita.

Dopo il licenziamento dall’Arsenale, Carlo Preda si trasferì sui colli piacentini per collaborare con i partigiani, senza mai perdere i contatti con l’amico Fattorini, classe 1926, che gestiva con i genitori un piccolo bar sulla strada del Belvedere, e con l’altro amico Raffaldi, nato nel 1906, che lavorava nel mulino dei suoi anziani genitori. Ognuno per campare svolgeva la propria attività, ma i tre amici erano accomunati da un’identica passione: la meccanica. Nessun motore aveva segreti per loro; il sogno dei tre era, finita la guerra, di aprire una fabbrica di motociclette. 

Con grande sacrificio, lavorando il sabato sera e la domenica, componendo piccoli motori quasi sempre di amici, erano riusciti a  montare una piccola officina sotto il portico del mulino di Raffaldi. A parte Preda che aveva qualche nozione di calcolo, l’apprendimento da parte dei tre piacentini era del tutto empirico. A forza di provare e riprovare, qualcosa erano riusciti a concludere, nonostante la cronica scarsità di soldi. E la voglia di emergere era tanta, che quando si presentò l’occasione di emigrare in Argentina, grazie al contatto con un cugino della moglie di Carlo Preda residente a Bahía Blanca, la decisione fu quasi immediata.  

Pieni di illusioni e speranze, si imbarcarono tutti insieme sul vapore Santa Fe. Arrivati a Buenos Aires, li aspettava ancora una giornata intera di treno attraverso la pampa, polvere e vento, orizzonti sterminati. Erano in nove e dovevano adattarsi a una difficile vita in comune nella casa in affitto fuori città che il parente di Preda aveva trovato per loro. All’inizio non si sottrassero a qualsiasi lavoro per sopravvivere, conservando il sogno di sempre: la fabbrica di motociclette. Fu così che si arrivò al miracolo. In una piccola officina, quasi un buco, i tre amici, sotto la direzione di Carlo Preda, unendo pezzo dopo pezzo misero insieme un eccellente modello di dodici cavalli, con due cilindri verticali paralleli, che poteva raggiungere una velocità di 110 km orari. Prima delle Honda e Kawasaki che fanno stordire e battere il cuore, un gioiellino della meccanica italiana era nato. Il suo nome era R.P.F., le iniziali dei nomi dei tre costruttori. 

La prima motocicletta realizzata interamente in Argentina fu presentata il 3 ottobre 1949 a Bahía Blanca da Carlo Preda e soci. La società era composta da quattro persone, perché ai fondatori si era aggiunto Carlo Kluim detto “Bomba”, austriaco di nascita e argentino dal 1924, competente in tecnica di fonderia.

La 250 lanciata da Preda e soci era rivoluzionaria perché, a differenza delle bicilindriche di allora, disponeva di una pompa di lubrificazione delle “palette” che  consentiva, grazie a una serie di innovazioni, una lubrificazione sicura e completa. Inoltre, separando i cilindri e aumentandone la superficie d’irradiazione, i creatori della Preda 250 avevano ottenuto il raffreddamento constante del motore, eliminando così la possibilità di dilatazione e torsione provocate dal differente riscaldamento di un cilindro rispetto all’altro. Le ruote erano di alluminio di un solo pezzo, il consumo era di un litro di benzina ogni 28 Km.

Il 12 ottobre 1949, la 250 dei piacentini era all’esposizione di Buenos Aires, promossa dai ministeri dell’Industria e dell’Economia. I giornali salutarono con entusiasmo la prima motocicletta costruita nel Paese. Quando nel 1953 s’inaugurò la Prima Muestra de la Industria Bahiense, Carlo e i suoi amici poterono presentare la moto già terminata, funzionante e pronta per correre sulle strade della pampa.. La R.P.F. ottenne la Medaglia d’Oro e Preda fu convocato a La Plata dal governatore, che gli organizzò l’incontro con Perón, interessato a industrializzare il suo progetto.  Furono individuati i terreni su cui far sorgere la fabbrica, e intanto la produzione cominciava nell’officina di calle Fitz Roy, dove furono fabbricate cinque motociclette, tutte vendute in pochi giorni.  Sarebbero state le prime e uniche realizzate a Bahía Blanca. Purtroppo, infatti, gli alti e bassi dell’economia argentina, i ritardi nell’approvazione del progetto e le complicazioni burocratiche fecero franare l’impresa, trasformando il successo in un bagliore effimero. La società fu sciolta e ogni socio prese la sua strada. Preda rimase da solo. Qualche tempo dopo, apparve una moto che ricalcava in tutto la R.P.F.

Nonostante le delusioni, Carlón, come lo chiamavano gli amici, continuò a lavorare nella sua officina meccanica, dedicandosi alla riparazione di motori e all’assemblaggio di precisione di pezzi motoristici. A Bahia Blanca era nota la sua competenza e molti si affidavano a lui per i lavori di meccanica. 

Nel 1964, quando lui e la moglie Paola celebrarono le nozze d’argento, furono invitati a partecipare alla Fiera Internazionale di Hannover. Ne approfittarono per restare sei mesi in Italia percorrendo la penisola in auto e, soprattutto, per rivedere Piacenza. 

Carlo morì nel 1973 per complicazioni renali, la sua sposa un anno dopo. Forse non ha conquistato l’America con la moto, ma ha ottenuto ugualmente un certo benessere, con onestà e lavoro. Le sue figlie Giovanna e Milena vivono tuttora a Bahia Blanca. Giovanna è insegnante di lettere e filosofia, Milena nel 1989 è venuta in Italia per conoscere la sua patria. Passò anche lei sei mesi in modo meraviglioso. “Ricordo ciò che mi diceva mia madre: lì non c’è mai vento. No. Neanche per un giorno c’è stato”. 

La storia di Carlo Preda ci è stata raccontata dal nipote Diego Di Pasquale del Centro Emiliano Romagnolo di Bahía Blanca, Argentina.


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