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24 Agosto 2010 | Archivio / Lo sguardo altrove, storie di emigrazione

Lo zio d’America

Primo Preti racconta la storia di Alfredo Preti, El Italiano di Lobos, emigrato in Argentina nel 1948.

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redeghieri

24 agosto 2010

Per anni ho sentito parlare dello “zio d’America”, poi un giorno del 1985, dall’Argentina è tornato a Rolo, in provincia di Reggio Emilia, a trovare i parenti che non aveva più rivisto da quasi quarant’anni. Nel paese natale ha riabbracciato i suoi fratelli Silvio, Argia, Liliana, ma non ha potuto rivedere mio padre Libero, deceduto nel 1980. Da subito mi sono trovato bene con lui, e fra noi si è stabilito un forte rapporto zio-nipote.
Alfredo partì da Rolo alla fine del 1948. Si imbarcò da Genova per Buenos Aires, dove rimase per un anno a lavorare al porto come fabbro. Grazie ai contatti intrattenuti con altri compaesani, si trasferì a Lobos, aprendo un’attività di carpenteria e saldatura, chiamata El Italiano.

La moglie e le due figlie Maria Luisa e Cosetta, quest’ultima nata dopo la sua partenza, lo raggiunsero un anno e mezzo dopo, quando comunicò loro che si era ben sistemato a Lobos. In Argentina sono nati Marina e il tanto desiderato figlio maschio Mario Alfredo. La sua vita fu dura, ma riuscì a creare un’attività che gli diede modo di vivere dignitosamente e di crescere e far studiare i quattro figli. Notai che chi lo incontrava per le vie del paese lo salutava anteponendo il “Don” davanti al nome: la comunità riconosceva con rispetto la sua reputazione di uomo onesto.

Il particolare attaccamento che si era creato in me nei suoi confronti, mi spinse ad andarlo a trovare in Argentina nel novembre 1997, l’anno prima della sua morte. Per me fu una grande gioia incontrare l’intera famiglia di mio zio e i miei cugini. Mai ho sentito tanto il legame della parentela. Per loro è molto importante tenere i contatti con il paese d’origine e sapere che chi è rimasto in Italia non li ha dimenticati.

Mio zio mi ha accompagnato ad Iguaçu, poi in Patagonia a Commodoro Rivadavia, a Sarmento e al lago Munster, dove insieme abbiamo percorso un tratto dell’itinerario descritto da Bruce Chatwin  nel libro “ In Patagonia”. Abbiamo visto i pozzi petroliferi dell’YPF, un sito con mulini a vento per l’energia eolica, il bosco pietrificato. Ho vissuto con lui una vera avventura.

A Buenos Aires mi hanno accompagnato anche mia cugina Cosetta e suo marito Horacio. Che emozione vedere questa grande città del Sud America, con il palazzo Kavanagh, il palazzo Barolo, la galleria Pacifico, l’Obelisco. Erano anni difficili in Argentina a causa della crisi economica e notai che mio zio non mi lasciava mai da solo per timore che mi succedesse qualcosa di spiacevole.

Nella capitale mio zio mi mostrò, con un pizzico di emozione, il Teatro Colòn dove, nel 1950, andò a vedere il tenore Mario del Monaco. Il suo racconto mi fece capire quale grande emozione provò, da italiano in Argentina, a trovarsi in un teatro che ricorda la Scala di Milano e con il grande tenore italiano quale interprete.

Quando passeggiavo con lui a Lobos, mi presentava ai suoi amici e conoscenti come “mi sobrino de Italia”. Notavo in lui una punta d’orgoglio, soprattutto per il fatto che io ero venuto a trovarlo in Argentina: un atto che lui considerava di grande attenzione e considerazione. Con grande affetto “el sobrino de Italia” lo ricorda. 

Primo Preti, Rolo (Reggio Emilia)

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