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29 Maggio 2006 | Archivio / Lo sguardo altrove, storie di emigrazione

N°14-LO SGUARDO ALTROVE – STORIE DI EMIGRAZIONE

Capitan Pastene, una terra di promesse. 2° puntata

Il paese di Capitan Pastene, nella regione cilena dell’Araucanìa, mantiene le sue origini modenesi nella conservazione di tradizioni e memorie, a oltre cent’anni dalla sua fondazione, avvenuta nel 1904 per opera di coloni provenienti dall’Appennino modenese, in particolare dal Frignano. 
Dal libro di Stefano Ferrari, Capitan Pastene, una terra di promesse, vi leggiamo la seconda parte del brano Italiani per sempre        

Empanadas e tortellini
Dall’inizio del secolo fino al 1955, per tre giorni, a settembre, Capitan Pastene era in festa: il 18 era il giorno della cele­brazione della repubblica cilena, il giorno successivo era dedi­cato alle forze armate mentre il 20 settembre era la testa della monarchia italiana. “Furono questi cinquant’anni a consolidare le tradizioni italiane con quelle cilene ~ ricorda Geronimo lubini, padre di Angelo e da sempre attivo all’interno della comunità italiana. – A settembre il huaso, una specie di cowboy cileno, apriva le danze giungendo in paese a cavallo e offrendo la chica nel cacho, che sarebbe un liquore di mele macerate servito in un corno di bue svuotato. Era una vera festa e per tre giorni si beveva vino, si mangiava da stare male ed era facile ubriacarsi ballando sotto le ramadàs, una sorta di gazebo costruiti con rami d’albero, ornati di foglie e con il pavimento di segatura. Si esagerava, tanto che al termine dei festeggiamenti molti erano costretti a bere la chupilca, una bevanda di frumento arrostito, macinato e immerso in un bicchiere con zucchero e vino rosso: l’unico rimedio per riprendersi dalla sbornia. Si ballava la manfrina che ci avevano insegnato i nostri padri e la cueca, vale a dire il ballo nazionale cileno. Non esistevano problemi legati all’origine, ci si abbandonava alla festa.”


Le case erano e sono tuttora circondate da fiori di gelsomino, alberi di copihue dai petali rossi e simili a campanelle e da araucarie, le piante millenarie del Cile. Intorno. i pini e gli eucalipti preziosi per le aziende forestali sui quali si posano stormi di quelteue, tipici uccelli cileni in via di estinzione ma che in questa zona del Malleco hanno trovato un buon habi­tat naturale.


Durante le feste, Natale e Pasqua comprese, per rutti i paste­nini di origine italiana e per quelli di etnia cilena è d’obbligo cominciare il pranzo con 1’empanada e proseguire con gli ita­lianissirni tortellini. L’empanada è il piano tipico cileno da sempre e si mangia da Arica a Punta Arenas: si tratta di un calzone di pasta ripieno di carne di manzo e cipolle grandi bianche, paprika, cumino, origano e altre spezie, arricchito poi con olive nere, uva passa e circa mezzo uovo per ogni porzione. I tortellini, o cappelletti, rispettano invece i detta­mi della vecchia tradizione modenese. Un’altra reminiscenza della tradizione modenese e diffusa in paese è il minestrino, pasta in brodo molto densa che nelle campagne veniva gusta­ta nei mesi freddi e che ancora oggi si prepara per pranzo in alcune zone dell’Appennino.



La pasta non è solo tradizione, per qualcuno è anche un busi­ness. Anna Maria Covili è titolare di un negozio di pasta fre­sca sulla via principale del paese. Il nome tradisce le sue origi­ni modenesi e lei modenese lo è stata per davvero: per qual- che anno ha vissuto a Pavullo nel Frignano, dove ha lavorato in un ristorante per poi fare ritorno in Araucania dalla sua famiglia. Con le mani, esperte nonostante la giovane età, pre­para ogni giorno tortellini, tortelloni, tagliatelle e dolci al cucchiaio come il tiramisù. “Per il ripieno mi affìdo alla tradizione di mia madre che l’aveva appresa da mia nonna – di­ce la Covili -.Uso formaggio stagionato, salsiccia, prosciutto affumicato, petto di pollo, noce moscata. Qui i sapori sono più speziati rispetto all’Italia, i cileni apprezzano di più se il gusto è piccante. Faccio anche la pasta rossa con le rape ed il peperoncino e quella rosa con le carote. I clienti? Sono sia italiani sia cileni, la pasta piace a tutti e non manca mai nelle dispense di ogni pastenino. “Il pranzo di Capitan Pastene continua poi con arrosti di carne resi piccanti da spruzzare di merquen, prosciutti (cecinas) giovani e speziati e per dessert il mote con huesillo, vale a dire frumento pelato nella cenere, lavato e cotto (mote) che va a insaporire l’acqua zuccherata nella quale viene introdotta una pesca sbucciata (appunto il huesillo).Ma a Capitan Pastene non vi è casa di origine ita­liana che non abbia ai piedi del camino almeno due tigelle. Spesso si tratta di quelle originali, caricate sull’Oruba” nel 1904, utilizzate e conservate per un secolo fìn quando, negli anni scorsi, non venne introdotta nelle cucine pastenine la consuetudine di usare le “tigelle moderne”, quegli stampi a sei porzioni utilizzati oggi nel modenese per cuocere le crescentine.


“Per noi il pane si cuoceva nelle tigelle, il pane quotidiano erano le crescentine – dice Aldo Piccioli -.Mio padre e mia madre ci hanno tramandato questa tradizione che personal­mente amo applicare anche alla produzione dei salumi: am­mazziamo il maiale e io stagiono le coppe, il salame, il pro­sciutto e la pancetta come facevano i miei nonni nei dintorni di Zocca. Chi è capace, e io credo di esserlo, qui fa ancora i “borlenghi”, un piatto che esiste solo in provincia di Mode­na. Con farina, sale e acqua preparo la colla e poi la metto sul “sole”, la tipica padella per cuocere i borlenghi, insaporendo il tutto con formaggio grana. Ho comprato anche una tigel­liera e quando cucino mi sento molto vicino all’Italia. “Tutto ciò vale per le famiglie Ballotta, Cantergiani, Benedetti, Ba­locchi e per tante altre ancora, così come per tutta Capitan Pastene, cresciuta a empanadas e tortellini.

Brano corrente

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