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28 Ottobre 2008 | Archivio / Lo sguardo altrove, storie di emigrazione

Tutti mi chiamano bionda (prima parte)

Lo Sguardo Altrove: storie di emigrazione

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redeghieri

28 ottobre 2008

Cari ascoltatori, oggi vi raccontiamo una delle più interessanti vicende di emigrazione che hanno avuto origine dalla nostra regione. Per ragioni misteriose, il piccolo centro parmense di Borgotaro si è trovato a “esportare” musicisti. Nata negli anni Venti dell’Ottocento tra Berlino e Vienna, che se ne contendono la paternità, la fisarmonica ha cominciato presto a parlare italiano. Sorta da radici pastorali antichissime, abbraccia i suoni della terra, il ballo spontaneo che suscitano i semplici moti della vita. La naturale predisposizione italiana al canto ha fatto sì che anche sulle montagne di Parma i ragazzi innamorati, davanti alla casa della loro bella, intonassero parole d’amore accompagnandosi con questo strumento. Suonata a orecchio oppure fatta respirare tra partiture colte, la fisarmonica ha faticato a smentire il pregiudizio che la voleva adatta solo ad accompagnare balli popolari e divertimenti alla buona nelle periferie dell’anima. Giuseppe Verdi è stato il primo tra i grandi compositori a riservarle una parte nella scena della taverna del suo “Simon Boccanegra” del 1857. All’inizio del Novecento le fabbriche italiane esportavano fisarmoniche in tutto il mondo, ma il centro di irradiazione della musica era un paese nell’Appennino parmense, Borgotaro. Per ragioni misteriose questa località della Val Taro ha dato origine a talenti di ogni genere, da Giovanni Pacolini, suonatore di liuto presso la corte ducale nel Cinquecento, a Giuseppe Brugnoli, noto come “il flautista di Toscanini”, fino ai virtuosi della fisarmonica. Sono stati proprio questi musicisti a diffondere il nome del borgo e della valle nei bar e nei ristoranti di New York, come nei quais lungo la Senna a Parigi.

Tra i pionieri dello stile italiano negli States c’è John Brugnoli, il fondatore della Val Taro Musette Orchestra. La sua fisarmonica ha accompagnato i “radio days” di tante massaie italoamericane negli anni Quaranta, che stirando o rassettando la casa imparavano i suoi motivi. John era soprannominato Giano d’Scud’lein, per via del nonno che era solito bere il vino da una scodella. Nato a Borgotaro nel 1898, fu istruito all’uso dello strumento dal fratello minore Luigi, uno dei primi musicisti a suonare la fisarmonica a piano. Le scarse risorse dell’Appennino condannavano a quel tempo tante famiglie all’emigrazione. Nel 1928 anche il nipote di Scud’lein scelse la via dell’America, dove all’inizio, come immigrato clandestino, sbarcava il lunario vendendo funghi. Regolata la sua posizione dopo una permanenza in Canada, si fece raggiungere a New York nel ’35 da moglie e figli. Qui John trovò un ingaggio come fisarmonicista al cabaret Francino. La voglia di farsi valere come musicista lo spinse a cercare un compagno con cui intraprendere l’avventura di un locale in proprietà, dove suonare e far ballare la gente. Scelse come socio Pete (Pietro) Delgrosso, chiamato Filumena, conosciuto a Borgotaro, e anche lui emigrato a New York, dove si guadagnava da vivere suonando la fisarmonica al Bel Tabarin, nel West Side. Ottenuta in prestito la somma necessaria per aprire il locale dei loro sogni, Scud’lein e Filumena inaugurarono la vigilia di Natale del ’36 The Valtaro Restaurant al n° 869 della Second Avenue, tra la 46esima e la 47esima Strada. Con il chitarrista Joe Cerina crearono uno stile riconoscibile, che utilizzava come base per il ballo le melodie popolari dell’Italia settentrionale, quali polke, mazurche e valzer. Ne usciva un impasto sonoro che si poteva fischiettare tra i grattacieli di Midtown. Quando attaccavano “Tutti mi chiamano bionda”, il loro più grande successo, l’impulso al ballo diventava irresistibile. Il Valtaro sound, se così possiamo chiamarlo, era costruito utilizzando due fisarmoniche, una che creava la melodia, l’altra l’armonia. Nei primi anni Cinquanta la Val Taro Musette Orchestra aveva già all’attivo diverse raccolte con importanti case discografiche. Nel frattempo, John Brugnoli aveva venduto la sua quota del Valtaro e aperto un nuovo cabaret con l’amico Emilio Spagnoli, il Terrace Cafè, tra Second Avenue e la 59esima Strada. Poi fece ritorno al Valtaro, che cessò l’attività nel 1961. L’anno seguente uscì per la Colonial Records l’album “Sing Along in Italian” e nel 1973 John Brugnoli e Pete Delgrosso ottennero il premio alla carriera dalla American Accordionists’ Association.

Un’altra icona dello stile musette italiano fu Peter Spagnoli, classe 1921, emigrato da Borgotaro con la famiglia a soli due anni, e figlio di Emilio Spagnoli, che nella sua casa sulla 60esima strada, nella East Side di Manhattan, ospitò per un certo periodo John Brugnoli. Fu quindi da Scud’lein che Peter imparò a leggere la musica e i segreti della fisarmonica. Il repertorio, naturalmente, era costituito dalle canzoni popolari della Val Taro e Peter, che ora veleggia verso i novant’anni e vive nel Queens, ricorda che a soli undici anni fu messo su un palco con una fisarmonica in mano, per suonare per l’esercito a Governor’s Island. Per l’occasione gli fu fatto indossare – ancora non sa perché – un costume spagnolo. Più avanti il ragazzo raggranellò qualche soldo suonando la notte nel bar The Emiliana e altri piccoli “buchi nel muro”, come li chiama. Quando il padre Emilio e John Brugnoli acquistarono nel ’39 il Terrace nei quartieri residenziali, Peter ebbe modo di fare un salto di qualità. In quel cabaret, infatti, si esibivano musicisti come Norma Mc Feeters, una pianista nera delle Indie Occidentali, e il batterista ebreo Willy Wohlman, che sembravano avere nel DNA la musica dell’Appennino parmense. Si facevano delle jam session in cui ognuno metteva del suo: il risultato era un locale sempre affollato, dove la gente veniva per ascoltare musica, ballare e cercare l’anima gemella.

Dopo la parentesi della guerra, arruolato in aeronautica come navigatore dei bombardieri, Peter tornò a suonare al Terrace, dove conobbe Dilma, la ragazza che sposò nel ’47. Divenne poi insegnante di fisarmonica in una scuola di Brooklyn e quindi maestro in proprio, continuando a esibirsi al Terrace fino agli anni Sessanta, accompagnato da Norma al pianoforte. Peter Spagnoli a New York era sinonimo di fisarmonica: da solo o con la sua orchestra di dieci elementi, era continuamente invitato a suonare a ricevimenti, matrimoni, cene politiche, serate di beneficenza, fino ai rinfreschi in occasione dei Bar mitzvah degli ebrei. Si è ritirato dalle scene nel ’95, dopo aver registrato diversi album di Valtaro Musette e provato tutti i generi, dalla musica latina al rock, al repertorio delle big band. L’ultima apparizione qualche anno fa al matrimonio della nipote, dove ha aperto le musiche con “Tutti mi chiamano bionda”.

Questi nomi che oggi ai più non dicono niente – John Brugnoli, Pete Delgrosso, Peter Spagnoli – sono ricordati con affetto sul sito della Valtarese Foundation di New York dai loro biografi, Dominic Karcic e Carol Schiavi, figlia di Peter Spagnoli. La storia continua: ogni anno, una domenica, negli Stati Uniti si fa festa con la Valtaro Accordionists’ Reunion, il raduno dei fisarmonicisti della Val Taro.

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