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25 Febbraio 2008 | Archivio / Una città una storia

N°97-UNA CITTA’ UNA STORIA

Nonantola, tra l’Abbazia e Villa Emma.

Cari ascoltatori sono diverse le storie che si incrociano a Nonantola, un comune di 12 mila abitanti in provincia di Modena. Si tratta di storie di speranza e solidarietà, la più lontana, risale al 752 quando l’abate Anselmo qui costruì una splendida Abbazia che ancora oggi è meta di visite e pellegrinaggi. La seconda storia ci parla di un istituto molto particolare di questa zona la partecipanza agraria che risale a metà del 1400 e la terza storia è ambientat durante il secondo conflitto mondiale, esattamente nel 1942 quando un gruppo di 73 bambini e ragazzi ebrei, conosciuti come i ragazzi di Villa Emma furono nascosti e messi in salvo dall’intera comunità nonantolana.

Partiamo allora da questo evento più recente. Dovete sapere che Nonantola è tra le città decorate al Valor militare  per la guerra di Liberazione ed è stata insignita della Croce al valor militare per i sacrifici delle sue popolazioni e per la sua attività nella lotta partigiana durante la seconda guerra mondiale. La vicenda dei ragazzi ebrei di Villa Emma ne è la più alta testimonianza. Vi raccontiamo come andò. Tra il 1942 e il 1943 giunsero a Nonantola due gruppi di ragazzi ebrei di varia nazionalità profughi dalla Germania e dall’Austria, e dalla Jugoslavia accolti in una villa ottocentesca chiamata Villa Emma, messa a disposizione dalla DELASEM, l’organizzazione per l’aiuto ai profughi ebrei in Europa. In tutto i ragazzi erano 73, dai 6 ai 20 anni e i loro 15 accompagnatori.


I contatti con la popolazione locale erano resi difficili dalle limitazioni volute dalla Questura di Modena, tanto che in genere i ragazzi potevano recarsi in paese solo se accompagnati da un adulto. Ciò nonostante nacquero alcune amicizie, e anche in assenza di contatti diretti si diffuse a Nonantola la notizia che gran parte dei ragazzi erano orfani, e che i loro familiari erano stati uccisi in un campo di concentramento tedesco o croato, oppure erano stati deportati nell’Europa orientale, da dove non inviavano alcun segno di vita. Quando dopo l’annuncio dell’armistizio tra il governo Badoglio e gli Alleati, l’8 settembre 1943, si pose il problema di nascondere i ragazzi, si trovarono molte persone disposte ad aiutarli. Le truppe tedesche erano entrate in paese da appena un giorno, che già Villa Emma era quasi vuota. Con l’aiuto di un giovane sacerdote, don Arrigo Beccari, e del medico Giuseppe Moreali, una trentina di bambini più piccoli trovarono accoglienza nel seminario adiacente all’abbazia o dalle suore, mentre gli altri vennero sistemati presso contadini, artigiani e negozianti, entro un raggio di circa 3-4 chilometri da Villa Emma. Tutti riuscirono entro metà ottobre a fuggire in Svizzera suddivisi in piccoli gruppi, prima che vi fosse un rastrellamento da parte della polizia tedesca, eventualità sempre incombente. In Svizzera le associazioni sioniste li alloggiarono nella valle del Rodano, e nel maggio 1945, dopo una fuga durata cinque anni, gran parte dei ragazzi poté raggiungere la Palestina. Si salvarono tutti, ad eccezione di un ragazzo di Sarajevo, ricoverato in un sanatorio sull’Appennino modenese. Il suo nome si ritrova nell’elenco di un convoglio per Auschwitz.


Don Arrigo Becccari e Giuseppe Moreali sono stati in seguito onorati nello Yad Vashem per l’aiuto coraggioso e generoso da loro prestato, ed è stato loro dedicato un albero nel Viale dei Giusti.


Il ricordo della vicenda di Villa Emma è mantenuta viva dall’omonima fondazione che lì ha sede. I ragazzi di Villa Emma si sono ritrovati diverse volte a Nonantola a ricordare e celebrare la solidarietà degli abitanti di questo paese.


E facciamo un salto di secoli, andiamo al 752 dopo Cristo quando l’Abate Anselmo, poi diventato S. Anselmo da Nonantola fondò l’abbazia  per volere del re longobardo Astolfo, una struttura  che nonostante le numerose risistemazioni e gli interventi di restauro subiti nel corso dei secoli, mantiene inalterati il fascino e le peculiarità costruttive e decorative proprie dell’età romanica. In essa lavorarono artisti formatisi nei principali cantieri emiliani  i quali  hanno lasciato segni importanti del loro passaggio.


Da segnalare, del bel complesso lo splendido portale e la cripta di grande suggestione per il gioco della tenue luce tra la selva di 64 colonnine che custodisce all’interno dell’altare le reliquie del fondatore S. Anselmo.


Da visitare  il porticato, la sala delle Colonne, il palazzo Abbaziale che ospita  l’Archivio e la Biblioteca Abbaziali ed il Museo Benedettino Nonantolano e Diocesano di Arte Sacra.  


 Dovete sapere che l’officina scriptoria di Nonantola fu uno dei principali centri di formazione della scrittura precarolingia. L’archivio abbaziale conserva oltre 4.500 pergamene che documentano l’età più antica dell’Abbazia, ma anche delle località che ne dipendevano. 131 documenti sono precedenti al Mille, e costituiscono un passaggio obbligato per gli studiosi di storia altomedievale italiana ed europea. I diplomi più noti sono di Carlo Magno e di Federico Barbarossa, oltre a quelli di gran parte degli imperatori e dei papi, insieme alle chartae di Matilde di Canossa e dei suoi antenati. Accanto all’Archivio la Biblioteca Abbaziale ricca ora di 16 incunaboli e 174 cinquecentine, oltre a circa 20.000 volumi.


Legata all’Abbazia è la terza storia che si incrocia a Nonantola, ovvero la partecipanza agraria un singolarissimo istituto che corrisponde al fenomeno, un tempo diffuso, della proprietà indivisa della terra


L’istituto ha la sua derivazione dalle enfiteusi concesse dall’abbazia di Nonantola fin dall’Alto Medioevo.  Enfiteusi, è un termine difficile di origine greca che cerco di spiegarvi così, si tratta del diritto di godere un fondo altrui con l’obbligo di apportarvi migliorie e di corrispondere periodicamente un canone in denaro o in natura. Per quello che riguarda i beni che costituiscono l’attuale Partecipanza Agraria di Nonantola risalgono, a concessioni a tempo del 1442 e del 1453.


In detta concessione i beneficiari risultano i nonantolani.


Attualmente la Partecipanza Agraria è proprietaria di circa 765 ettari di terreno. Data la difficoltà nel diritto italiano moderno di concepire la proprietà collettiva delle terre, usuale nell’alto medioevo, si è ricorso ad un ente morale con un proprio Consiglio di amministrazione, assemblea e Presidente.

Insomma la Partecipanza agraria di Nonantola è una specie di reperto archeologico, qualcosa di antico, inusuale, particolare che ci arriva  dall’alto medioevo e che il tempo non ha cambiato.

A cura di Marina Leonardi.

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