Salta al contenuto principale
21 Novembre 2012 | La ricetta

Al gnoc ad furminton

Dalla Bassa modenese, direttamente da una nostra ascoltatrice, la ricetta di un dolce dal sapore antico

A cura di Marina Leonardi

21 novembre 2012

Cari ascoltatori, ricordate la splendida ricetta delle tagliatelle al limone di qualche settimana fa? Ce l’aveva suggerita la nostra ascoltatrice Rina Poletti di Finale Emilia (Modena), che adesso fa il bis proponendoci la ricetta di un dolce tipico, legato a una storia familiare davvero appassionante.

Abbiamo proposto all’amica Rina di leggerci lei stessa la ricetta ma lei ha preferito affidare il suo scritto alla nostra voce.

“Il dolce che vi consiglio oggi – scrive Rina Poletti – è di una semplicità unica, economico e che da sempre ha scandito gli attimi della mia vita essendo stato, per molti anni, soprattutto tra autunno e inverno,  il dolce della domenica della mia famiglia.  Nelle giornate più fredde dell’anno lo propongo ancora, non solo ai miei cari, ma anche ai miei amici che puntualmente abbandonano squisiti dolci al cucchiaio, colpiti dalla bontà ma sopratutto dalla semplicità di questo dolce che in molti dicono di non conoscere affatto: al gnoc ad furminton (lo gnocco di frumentone e cioè di mais).

Per raccontarvi questo dolce, prosegue Rina, devo però raccontarvi un po’ della mia vita …

Ultima di 6 fratelli, nasco da una mamma che alla mia nascita aveva 41 anni.. i suoi i capelli erano già tutti bianchi raccolti in una sorta di chignon volgarmente chiamato “pippullo” , abitavamo in  una casa popolare chiamata  “la casa delle vedove ” ma l’unica a non essere vestita di nero era mia madre che aveva sì perso tutto, compreso la casa bruciata proprio la notte che passò il fronte.. ma grazie a Dio non aveva perso il marito.

Quando vengo alla luce io, in questo condominio di donne tutte vestite a lutto, la famiglia contava a già 5 fratelli , 3 femmine e 2 maschi. Io nasco con l’orgoglio di essere già zia , un nipote maschio nato 2 anni prima di me, dalla primogenita Maria, mia sorella più grande.

Maria e mia mamma Ada, avevano partorito a 15 giorni di distanza l’una dall’altra. Maria diede alla luce mio nipote Roberto e mia madre invece, Fernanda, la sorella che precedette di 2 anni la mia nascita .

Il ricordo di questa casa, popolata di persone che portavano ancora vivo i drammi della guerra, non mi ha reso una bimba vivace ed allegra come tante altre. Il corridoio lungo ed angusto che portava verso il cortile dove c’era anche “la bugadara” (luogo dove si faceva il bucato ) e dove stavano i gabinetti comuni mi faceva una enorme paura e sopratutto di sera lo attraversavo di corsa temendo sempre di trovarmi davanti  una delle donne vestite di nero.

Mia madre Ada donna severa ed inflessibile, mi obbligava a raggiungere il cortile da sola mentre Maria , mia sorella, sembrava capire la mia paura .

Ogni volta che uscivo, senza neppure bisogno che glielo chiedessi, lei si faceva sull’uscio, accendeva una luce che dava sull’esterno e guardandomi con i suoi occhi dolci mi sussurrava ” vai io sono qui, ti aspetto!!!”

Maria ha 24 anni più di me. Giovane mamma portava ancora i segni di un allattamento prolungato. Mi accoglieva nel suo seno materno, con un braccio reggeva me e con l’altro reggeva suo figlio e rideva, rideva sempre giocando a zia -nipote -sorella –mamma. 

Maria fu di grande aiuto per la famiglia soprattutto, nell’accudimento di noi tre sorelle più piccole. E’ normale che sia così forte dentro di me il ricordo di questa sorella giovane e sorridente che sicuramente compensava la figura di una mamma stanca dai capelli grigi, donna infaticabile e tenace, grande esempio di vita ma difficile allo scherzo e alle affettuosità.

Perchè vi parlo tanto di lei, perché senza Maria non sono certa che potrebbe esistere questo dolce

Al gnoc ad furminton.

Non lasciatevi ingannare dal nome “al gnoc ad furminton” non è un gnocco salato ma dolce, un dolce ottimo che dopo che avrete assaggiato non lascerete più.

Verso la fine di luglio quando la calura estiva dava il meglio di sé prosegue nel racconto Rina Poletti –  Maria insieme alle mie sorelle e a mio nipote ci accompagnava alla “sbarra” luogo dove i contadini tenevano alcune bestie che ci rifornivano di latte appena munto. La sbarra delineava i confini di una apertura straordinaria di questa valle padana piena di vegetazione naturale dove potevi raccogliere di tutto marabolani, fichi, marasche; ogni stagione dava i suoi frutti… e luglio era il mese ideale per raccogliere i fichi. Maria essendo io la più piccola e quindi la più leggera, mi faceva salire fin sulla cima a raccogliere i più grossi e i più maturi, perché mi diceva in dialetto  par “far al gnoc ” ci vogliono quelli corposi che scoppiano .

Tornati a casa si tagliavano a metà e si mettevano su una grata di canne ad asciugare al sole per molti molti giorni con un rituale che andava rigorosamente rispettato ..al mattino quando il sole era alto si portavano fuori e prima che arrivasse “la guazza ” della sera si ritiravano .

Dopo molti giorni avevamo nella dispensa chiusi a strati dalla carta gialla  i fichi secchi, uno degli ingredienti principe della nostra ricetta.

Bisognava poi aspettare l’autunno, dopo la vendemmia …si lasciava appositamente qualche grappolo in quà e in là ad appassire nella vigna, finchè il chicco dell’uva si asciugasse completamente fino ad avvizzirsi ..e quando si incominciava a scaldare un po’ la casa con i primi freddi dell’autunno, Maria li poneva poco poco nel forno della stufa quando ormai, le braci erano diventate ceneri ..e avevamo così l’uva passita, secondo ingrediente per il nostro gnocco.

Poi serviva la farina di mais. Maria voleva quella fresca , quella appena macinata perchè diceva “quela vecia la va ben par i pui” (quella vecchia ,và bene per i polli) ….eravamo poveri ma un po’ di farina gialla fresca ce lo potevamo permettere .

Per la realizzazione del gnoc ,bisognava aspettare la domenica ,quando Maria andava a contrattare una gallina dalla “Maria ad Mary” una ortolana che allevava pure le galline e le uova e tornava con la gallina viva e le uova ancora calde .

A quel punto entrava in azione mia madre Ada, e di fronte a noi piccoli fanciulli, in un sol colpo tirava il collo alla gallina. Maria  la spennava, la puliva dalle interiora e conservava gelosamente il “giallo grasso” perchè quello era l’unico grasso che si poteva avere e che avrebbe reso friabile il nostro gnocco .

La ricetta di questo dolce che se avete ancora un po’ di pazienza vi darò, io l’ho imparata decenni dopo in quanto non ho mai visto Maria misurare nulla: prendeva con un piatto la farina gialla , poi nella stessa misura aggiungeva farina bianca, poi ancora zucchero e poi ancora uova, grasso di gallina, tagliava a tocchetti grossolani i fichi secchi, faceva rinvenire in poca acqua tiepida l’uva passa e da ultimo grattugiava un grosso limone che gentilmente le veniva donato dalla Siciliana una delle donne vedove (l’unica che riusciva a coltivare i limoni) .

Questo ultimo aroma, lasciava nell’aria un tale profumo che riusciva a penetrare nelle narici e già solleticava il piacere di mangiarlo .

In pochi minuti , questa mistura di ingredienti si amalgamavano fra di loro e l’aggiunta di un po’ di latte rendeva quella cremosità giusta per essere infornato nel forno a legna .

Impossibile aspettare che si raffreddasse,io ero la prima a distruggere la fetta cercando il blocco di fico e spulciando l’uvetta ..Maria mi picchiettava sulle mani gridandomi dietro che i dolci non si mangiano caldi “altrimenti a brusa al stomag”(brucia lo stomaco) nel frattempo Ada, mia madre aveva già fatto uno sfoglione immenso e stava tagliando “i parpladin” (i quadrucci oppure i tagliolini fini fini )…il brodo bolliva sul fuoco ….. era proprio domenica e…mentre le vedove spesso erano sole, la nostra era una famiglia dove c’eravamo tutti e forse forse ..anche troppi !!!

Visto che siete stati così gentili ad avermi seguita nel ricordo fino a qui,  ecco adesso è il tempo di darvi  la ricetta di questo dolce antico… vi sarà facile trovare ora i fichi e l’uva passa , la farina di mais, il grasso della gallina forse è meglio che lo sostituiate con del buon burro …vi mancherà il profumo di questi ricordi …ma vi garantisco che il dolce sarà buonissimo comunque, mi saprete dire.

 

Al gnoc ad furminton

250 gr di farina di mais a grana grossa (non il fioretto)
250 gr di farina bianca 00
200gr di zucchero
175 gr di burro
una dose di lievito da mezzo kg
200 gr di uva sultanina
200gr di fichi secchi
2 uova
un bel limone grattugiato
latte qb 

Sbattere le uova intere con lo zucchero, aggiungere il burro ammorbidito,aggiungere piano piano i due tipi di farina ,e aggiungere tanto latte quanto basta ad ottenere un impasto morbido e cremoso tipo torta margherita amalgamare il tutto con la polvere lievitante, da ultimo aggiungere i fichi tagliati grossolanamente l’uvetta ben strizzata che avrete fatto rinvenire per alcuni minuti in acqua tiepida ,grattugiare il limone solo la parte gialla e aggiungere all’impasto . Mescolare con energia con un cucchiaio di legno, perchè questo sarà il segreto della compostezza del dolce. Mettere in una teglia e cuocere a 170 gr per 40 -45 minuti. Togliere dal forno quando la superficie è ben dorata ed accertarsi che l’interno sia cotto con uno stuzzicadenti. Nel caso non lo sia ancora, abbassate il forno a 150 gradi e continuate la cottura per altri 10 minuti.

Tante volte – conclude la nostra ascoltatrice – mi sono chiesta se questo dolce se l’è inventato Maria oppure se aveva già una sua origine ..se vi è piaciuto , non ringraziate me ma ricordatevi di Maria ..la mia seconda mamma e sorella mia “.

Ringraziamo Rina Poletti per il suo gnoc ad furminton  ma soprattutto per le emozioni che ha voluto condividere e che ci fanno capire quanto di noi, del nostro passato, della nostra storia, delle nostre radici e della nostra cultura sia dentro a una semplice ricetta.

Brano corrente

Brano corrente

Playlist

Programmi