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23 Marzo 2006 | Archivio / Una città una storia

N°1-UNA CITTA’ UNA STORIA

Montevideo, prima puntata. Intervista all’architetto Claudio Melloni

Si dice che il tango sia nato a Montevideo, la capitale dell’Uruguay. Uruguay e Argentina sono divisi dal Rio de la Plata, un fiume che sembra un mare, e che a Montevideo si confonde con il mare. Bisogna uscire dalla città, magari per andare verso le spiagge di Punta de l’Este, la Montecarlo del Sudamerica, per staccare l’occhio dal fiume e liberarlo sull’Oceano.

Da Montevideo, bastano tre ore di navigazione per attraversare l’estuario del Rio de La Plata e raggiungere, all’estremità ovest, Buenos Aires. Sono questi i luoghi del tango. Lo scrittore uruguaiano Vicente Rossi sostiene che il tango, contrariamente a quanto molti pensano, non sia nato a Buenos Aires ma proprio a Montevideo. E’ da questa città, allora, che Radio Emilia-Romagna inizia la sua rubrica “Profili di città” dedicata ai luoghi dell’emigrazione emiliano-romagnola.

Cominciamo da Montevideo anche e soprattutto perché qui è nata l’idea della radio digitale, nel luglio 2004, nel corso della Seconda Conferenza dei giovani emiliano-romagnoli nel mondo. Un’idea, suggerita da un ragazzo della città argentina di Rosario, che la Regione Emilia-Romagna ha subito raccolto e realizzato.

Attraverso la radio riusciamo a far passare emozioni, pensieri, suoni, la fisicità stessa delle cose. Possiamo creare collegamenti da un capo all’altro del mondo. A parlare di Montevideo, saranno, nel corso della trasmissione, tre ospiti.

Il primo è Claudio Melloni, architetto di origini bolognesi che ci racconterà la storia d’emigrazione della sua famiglia e quella della comunità emiliana in questa città. Melloni fino all’anno scorso è stato il rappresentante dell’Uruguay nella Consulta regionale emigrazione, per la quale ha organizzato a Montevideo la Conferenza dei Giovani emiliano-romagnoli nel mondo.

Anche il secondo ospite è un architett Paolo Ceccarelli insegna Pianificazione del territorio alla facoltà di architettura di Ferrara e mantiene i fili di una rete di rapporti con l’estero che ha con l’America Latina un particolare feeling. Perché “il Sudamerica – secondo Ceccarelli – è l’unico pezzo di mondo in cui la presenza italiana pesi all’interno della cultura locale”. E cita il caso di Adamo Boari, architetto vagabondo che partì dal Delta del Po per approdare a Chicago e poi a Città del Messico, dove ha costruito il prestigioso Teatro dell’Opera.

Il nostro terzo ospite ci riporta alle lontane origini di questa città. Il Rio de la Plata, il cui nome in spagnolo significa Fiume dell’Argento, venne avvistato per la prima volta da un marinaio spagnolo, Juan Díaz de Solís, nel 1516. Il nome del fiume non fa riferimento al colore delle acque ma alle ricchezze che gli spagnoli pensavano di trovarvi. Al suo scopritore è intitolato il Teatro Solís, il più importante dell’Uruguay e uno dei più belli del Sudamerica, costruito da un architetto di Reggio Emilia, Carlo Zucchi. Il Solís fu inaugurato nel 1856 e diretto dal 1874 da Timoteo Pasini Frassoni da Ferrara. Del Teatro Solís abbiamo intervistato il direttore  Gerardo Grieco, per parlare di questi forti e misteriosi intrecci tra la cultura rioplatense e quella emiliana. Proprio in virtù di questi legami la Regione Emilia-Romagna ha fornito alla municipalità di Montevideo un aiuto finanziario per il restauro del Teatro Solìs, riportato l’anno scorso al suo antico splendore.

Montevideo, dunque.

Non è ben chiaro da dove derivi la parola “tango”. Ci sono molte ipotesi. Nel suo libro “Cosas de Negros”, del 1926, Vicente Rossi fa derivare il tango dalla milonga, e questa dal  candomblé. Il candomblé è stato creato dai neri di Montevideo. Ballando al ritmo dei tamburi i giovani schiavi del Rio de la Plata facevano una ruota che chiamavano “ronda catonga” perché cantavano “tanga, tango, tonga”. Spezzavano in due la parola tan-go, su due ritmi di tamburo diversi: tan – go. Da qui è uscita la milonga, la “danza madre” degli schiavi neri, che con l’aggiunta delle parole divenne poi anche cant un canto malinconico e triste che raccontava le difficoltà della vita e le pene d’amore della povera gente, al suono di chitarra, flauto e violino. La milonga fu dunque la matrice del tango. Questa musica fu presto assimilata dagli immigrati europei che ne colsero la profondità e una sorta di bellezza malinconica, legata al senso delle cose perdute. La musica del tango sembrava il sottofondo più adatto a segnare il ritmo dell’emarginazione e della sconfitta. Una vita passata tra preoccupazioni, nostalgia e locali malfamati, nei due porti all’estremità dell’estuario del Rio de la Plata: Buenos Aires e Montevideo.

Musica, sbronze e donne: la parola milonga, infatti, pare indicasse la prostituta. E cosa c’è di più triste di una milonga triste in un sudicio caffé del “puerto” di Montevideo?

Paolo Conte, Alle prese con una verde milonga (in alternativa:Paris Milonga) 

Gli italiani conoscono bene queste atmosfere, perché hanno contribuito a crearle. Per riprodurle, poi, ci vuole orecchio, anima, sensibilità. Ci vuole la finezza di un autore come Paolo Conte per cogliere la vera atmosfera malinconica del tango. Paolo Conte, di cui ascoltiamo Alle prese con una verde milonga, sembra proprio un uomo del Rio de la Plata.

Alla fine dell’Ottocento Montevideo e, soprattutto, Buenos Aires erano una gigantesca moltitudine di uomini soli, lavoratori precari e case popolari. La vita sociale si svolgeva nei piccoli bar e nei bordelli, dove si mescolavano muratori e musicisti, “criollos” e stranieri, il gaucho fanfarone e il macho siciliano. Si cantava e ballava, si beveva vino o grappa e si giocava a bocce.

Montevideo, “sopra le dolci acque torbide”, conserva ancora quest’aria, come dire, di una “Buenos Aires in minore”, come traspare da questa stupenda poesia di Jorge Luis Borges, intitolata appunto “Montevideo”.

Scivolo per la tua sera come la stanchezza per la pietà di un declivio.
La notte nuova è come un’ala sopra i tuoi terrazzi.
Sei la Buenos Aires che avemmo, quella che negli anni si allontanò, quietamente.
Sei nostra e festosa, come la stella che le acque raddoppiano
.
Porta finta nel tempo, le tue strade guardano il passato più lieve.
Chiarore da dove ci arriva il mattino, sopra le dolci acque torbide.
Prima di illuminare la mia persiana, il tuo basso sole rende felici le tue ville.
Città che si ascolta come un verso.
Strade con luce di patio
.

Ah, la “luce di patio” che invade le strade! “Città che si ascolta come un verso”, dice Borges. E infatti ci sono molti tanghi e molte canzoni dedicate a Montevideo. Da Antonio Birabent a Jorge Lazaroff a Ruben Rada – che poco tempo fa si è esibito al Teatro Solís – questa città fa sognare i musicisti.

Chiediamo a Claudio Melloni, figlio di immigrati, di restituirci, se può, questa atmosfera ibrida che caratterizza Montevideo, dove alla “habanera” portata dai marinai si sono mescolati avanzi di milonga e musica italiana. A un certo punto, ad assecondare le malinconie dell’uomo del Rio de la Plata, è arrivato il bandoneon, strumento anch’esso portato dagli emigrati, usato nelle povere chiese di Germania al posto del più costoso organo.

Intervista a Caludio Melloni membro dell’Associazione Emilia-Romagna di Montevideo

Brano corrente

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