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29 Ottobre 2007 | Archivio / Una città una storia

N°81-UNA CITTA’ UNA STORIA

A Mosca, a Mosca! Un giorno nella capitale russa, nuovo “caput mundi”.

L’imolese Jacopo Bianconcini ci propone oggi la sua personale esperienza di vita quotidiana nella capitale russa. Jacopo ora è tornato a Imola, dopo un lungo periodo che lo ha portato lontano da casa, tra studi londinesi ed esperienze lavorative in Cina prima e poi a Mosca, dove ha vissuto negli ultimi quattro anni.


Cari ascoltatori, voglio raccontarvi esperienze e situazioni di vita quotidiana moscovita, nell’intento sia di farvi sorridere sia di dare un’immagine reale di ciò che è la Federazione Russa oggi.
“Moscow rising” è l’intestazione che il settimanale Newsweek ha scelto per un recente approfondimento su quanto sta accadendo negli ambienti economici della capitale ed è assolutamente centrata dal momento che nel 2005 il Pil è aumentato del 7% e che l’economia russa ha il più alto tasso di crescita al mondo dopo la Cina.
Patricia Cloherty
, un’operatrice finanziaria americana che ha investito qualcosa come 200 milioni di dollari in decine di imprese russe, sostiene che la Russia è il mercato più sottovalutato al mondo e di conseguenza il più promettente tra quelli nuovi ed emergenti. Una crescita esponenziale delle carte di credito, migliaia di moscoviti che improvvisamente possono permettersi case e automobili, l’Ikea che genera più fatturato a Mosca che in qualsiasi altra capitale in cui è presente, sono segnali sulla lungimiranza della Cloherty. Con l’eccezione dell’industria petrolifera, questo nuovo boom è confinato nella capitale, incrementando la disparità tra Mosca e le province in termini di servizi, salari, opportunità e qualità della vita. Il fatto che la Russia abbia superato l’Iraq quanto a numero di propri cittadini richiedenti asilo nei 29 paesi più industrializzati al mondo (fonte Herald Tribune) potrebbe essere una conseguenza del mancato investimento nella modernizzazione delle infrastrutture industriali, che ha portato all’attuale situazione nelle campagne.
Dunque, “Mosca caput mundi” per molti businessman e imprese occidentali, che l’hanno fatta diventare la metropoli europea più cara, costringendola ad ospitare nelle sue strade oltre tre milioni di autoveicoli ogni giorno. La velocità media di percorrenza nelle aree del centro si attesta sui sei chilometri orari (fonte The Moscow Times), le ambulanze impiegano ore per raggiungere la destinazione di chiamata, l’attesa che intercorre tra la prenotazione di un taxi e il suo arrivo può raggiungere livelli imbarazzanti. A causa di tutto ciò, il sistema più ambito per muoversi nell’intricato traffico moscovita è la “luce blu”: posizionata sul tetto dell’auto e accoppiata ad una potente sirena consente l’utilizzo delle corsie preferenziali, il passaggio con luce rossa al semaforo e l’avanzamento in senso contrario. La luce blu equipaggia di solito le ammiraglie di Bmw e Mercedes, ma non è necessario essere membri della Duma o generali dell’Armata Rossa per disporre di tale privilegio: basta comprarlo per qualche decina di migliaia di euro!
Tralasciando queste sempre più comuni eccezioni e la metropolitana, il sistema di trasporto più diffuso nella capitale russa consiste nel posizionarsi sul ciglio della strada, sporgere un braccio, aspettare la fermata di un veicolo, contrattare con il conducente il luogo di destinazione e la tariffa e, infine, ad accordo raggiunto accomodarsi come passeggero.
Individuato il mio accento, prontamente l’improvvisato taxista armeggia con l’autoradio e assume un’espressione raggiante solo nel momento in cui riesce a propormi Al Bano, Toto Cotugno, Pupo e, nella migliore delle ipotesi, Celentano, tutti artisti che hanno un successo incredibile all’ombra del Cremlino, dove si esibiscono in media un paio di volte l’anno. Al Bano ha addirittura sfruttato la sua popolarità promuovendo vini di propria produzione nei ristoranti moscoviti. A Mosca, i locali italiani sono indubbiamente i più frequentati e rappresentano degnamente la nostra cultura culinaria, ma le alternative non mancano in una città con oltre 5.000 ristoranti, che spaziano dai fusion sushi bar alla cucina georgiana.
In aggiunta, le vie più prestigiose offrono tantissime opportunità anche per la soddisfazione del portafoglio: tutte le firme d’abbigliamento più prestigiose sono presenti con negozi sontuosi e i locali di tendenza si contendono la clientela a colpi di ambientazioni mozzafiato, cocktail d’autore e luci laser: piazza Pushkin potrebbe fare invidia alla londinese Piccadilly Circus e i grandi magazzini Gum non sfigurano al cospetto di Harrod’s.
Il consumismo è estremizzato, passeggiare sulla Tverskaya è come assistere ad una sfilata milanese di moda femminile, mentre l’universo maschile è più portato ad esternare il proprio status con autisti, guardie del corpo, autovetture di lusso posteggiate nelle vicinanze dei locali più esclusivi, in modo che non possano passare inosservate.


L’oggetto che maggiormente enfatizza l’ego nei “nuovi ricchi” moscoviti è l’Hummer nero (il fuoristrada utilizzato dai marines americani in versione stradale), obbligatoriamente con vetri oscurati e finiture cromate.
A questo scintillio di alcune ambientazioni della capitale si contrappongono regioni dove si percepisce desolazione, tristezza e rassegnazione. Non è necessario spingersi alle pendici della Siberia, basta prendere un qualsiasi volo interno e si ha la quasi certezza che all’aeroporto di destinazione il tempo si sia fermato a qualche decennio fa.
Il personale di terra verrà a rifornire l’aeromobile con una bicicletta arrugginita e il parco velivoli che vi circonderà sarà formato da Tupolev ed Ilyushin con pavimento in legno, ritocchi di vernice a pennello che coprono intrusioni di ruggine e apparati radio con comandi simili alle televisioni dei nostri nonni.


Mr. Satter, un ex corrispondente del Financial Times a Mosca, addossa la responsabilità di questa situazione alle “riforme” dell’era Yeltsin, che hanno dato priorità alla privatizzazione selvaggia piuttosto che investire nella creazione di un substrato di infrastrutture politiche, economiche e legali. In sostanza, si è stati tolleranti verso il crimine, attitudine che ha portato alla creazione di una ristretta cerchia di “oligarchi” che, secondo una recente stima, controllano l’85% dell’economia privata russa. Secondo il Moscow Times, i cittadini russi residenti a Mosca con più di un milione di euro di liquidità nel conto corrente sono oltre 80.000!
È proprio a queste persone arricchite dagli appoggi eltsiniani e provvisti di una massiccia dose di spregiudicatezza che Putin ha dichiarato guerra, supportato dagli “siloviki”, gli uomini di potere del Cremlino. Quasi tutti questi governatori, ministri e alti funzionari hanno due cose in comune con il capo del Cremlino: sono nati a San Pietroburgo e vantano un glorioso passato da ufficiali del Kgb.
Secondo il settimanale Panorama, i veterani dei servizi segreti e dell’Armata rossa costituiscono oggi il 25% della classe dirigente del Paese e si portano dietro metodi e mentalità ereditati dalle tecniche del passato, come garantirsi il controllo assoluto dei media, utilizzare filmati compromettenti per annientare i nemici politici e infine ispirare inchieste giudiziarie contro gli avversari (leggi Khodorkovsky della Yukos).
D’altro canto, stando a quanto sostiene il periodico Newsweek, Putin va visto come un “dittatore benevolo”, determinato ad usare il suo potere al fine di migliorare la vita delle persone ordinarie e creare una nuova classe media. In conclusione, la Russia è quindi in presenza di un forte pro-business governo centrale, ma è vero anche che gli investitori stranieri che si affacciano in massa sulle rive della Moscova percepiscono ancora una situazione in cui nulla è fisso e determinato e quindi, ad oggi, stanno testando le acque. L’anno scorso, secondo Moody’s, i Paesi europei più industrializzati hanno ricevuto pro capite 1.200 dollari di investimento diretto straniero, mentre la Russia solo 20.


Jacopo Bianconcini


Storia tratta da “Nuovo Diario Messaggero” di Imola, a cura di Maria Adelaide Martegani.


Lettura di Fulvio Redeghieri.

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