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19 Novembre 2007 | Archivio / Una città una storia

N°84-UNA CITTA’ UNA STORIA

Bologna ebraica. Prima puntata.

Palazzo Bocchi, in via Goito al n. 16, può essere l’inizio di un giro un po’ particola­re nella Bologna ebraica, prima di rag­giungere l’area del ghetto e del Museo ebraico. Il palazzo, tipico esempio di ar­chitettura rinascimentale, opera di Jaco­po Barozzi detto il Vignola, e di Sebastia­no Serlio, fu costruito tra il 1545 e il 1565. Apparteneva ad Achille Bocchi, illustre letterato dello Studio bolognese e grande mecenate della cultura del tempo. Fon­datore di un’accademia letteraria chia­mata Ermatena (Ermete e Atena, diplo­mazia e sapienza), di cui il palazzo era la sede, Achille Bocchi fece apporre sullo zoccolo esterno due iscrizioni, una in ebraico e l’altra in latino. L’iscrizione ebraica riporta il Salmo 119: «0 Signore preservami dalle labbra menzognere e dal linguaggio ingannatore». Quella latina è tratta da un’epistola di Orazio: «Sarai re, dicono, se agirai rettamente».


Le due frasi intendevano illustrare i fon­damenti filosofici dell’accademia. Qual­cuno intervenne poi sulle epigrafi scol­pendo una croce greca (e, curiosamente, non latina come avrebbe dovuto essere in un Paese cattolico) sul nome di Dio nella scritta ebraica, e sulla parola re in quella latina. La pre­senza di queste due croci ha fatto molto discutere anche incollegamento alle vicende della cattedra di ebraico dell’ac­cademia che in quegli anni, dal 1532, era rimasta scoperta.
Le due croci non sono infatti riportate nel progetto origina­rio, secondo alcuni solo per motivi di scala del disegno, non sufficientemente particolareggiato. Secondo altri, le due cro­ci non erano invece previste ma furono imposte dall’Inquisizione come monito al cattedratico per il suo interesse ver­so l’ebraismo. In quegli anni l’Inquisizione mandava al rogo migliaia di libri ebraici e il papa emetteva la bolla Cum nimis absurdum. Un’ultima, assai diversa spiegazione vede nelle due scritte una specie di manifesto della libertà di coscienza e una presa di posizione contro le calunnie antie­braiche da parte dei frequentatori del palazzo e dell’accademia nel momento della Contro­riforma: la presenza delle due piccole croci perderebbe quindi importanza rispetto alle grandi lettere scolpite in ebraico e latino. Po­chi passi e siamo al Museo civico medievale.


Museo civico medievale.


Al Museo civico me­dievale, in palazzo Ghisilardi Fava (via Manzo­ni 4), sono conservate quattro lapidi sepol­crali che testimoniano l’esistenza dell’antico cimitero di via Orfeo, assegnato nel 1569, tra­mite un Breve di Pio V, al convento di San Pie­tro Martire. Si tratta di stele di grandi dimen­sioni di stile rinascimentale, finemente scolpi­te e decorate. La più antica è datata 1508 e re­ca il nome di Avraham Yaghel Da Fano. Quella di Shabbatai Elkanan da Rieti, del 1546, è interessante dal punto di vista artisti­co. Posta su base bugnata, la lapide presenta una sorta di ma­scherone alato e una ricca cimasa racchiudente al centro lo stemma di famiglia. Lo spazio recante l’iscrizione funebre è retto da una figura di giovane a mezzobusto; due putti alati fanno da cornice appoggiati ai lati.


La terza lapide è del 1555 (luglio) ed è intitolata a Menachem Ventura, morto in giovane età; lo stemma di famiglia è costi­tuito da un cervo.


Nell’iscrizione si legge: «Sopra un corpo innocente fu scolpi­ta la mia epigrafe / Mi è toccato in sorte essergli di sepoltu­ra / Ha terminato il suo passaggio terreno quand’era ancora studente / Il suo desiderio era studiare la Torà / Le sue ope­re eran la sua grandezza e la sua voce era ascoltata, / la sua anima è ascesa come il fumo dell’olocausto, al cielo l’anima di un giovane, pura e cristallina. / È questa la pietra tomba­le di Menachem Ventura, di benedetta memoria, / figlio del maestro Avraham da Ventura, / Che Iddio lo conservi e man­tenga in vita / Martedì 3 Tammuz 5315».


L’ultima stele reca, nella parte posteriore, l’iscrizione fune­bre in memoria di Joav da Rieti, ma fu riutilizzata per Rinal­do dei Duglioli morto nel 1571.


Dalla piazza della Mercanzia alla Biblioteca. Si percorre via Rizzoli (già Mercato di Mezzo) e all’angolo tra questa strada e piazza Ravegnana si trova il palazzo dei Drappieri, l’antica sede della Corporazione dei Drappieri Strazaroli. Qui il pri­mo ebreo documentato a Bologna, Gaio Finzi, intorno alla metà del Trecento praticava la sua attività.


Si arriva ai piedi delle Due Torri, Asinelli e Garisenda, da sem­pre simbolo della città e ingresso del ghetto.
Dalle due Torri iniziano via Zamboni, via San Vitale, Strada Mag­giore, via Santo Stefano e via Castiglione. Via Santo Stefano e via Castiglione arrivano sulla piazza della Mercanzia, antico carrobbio, considerato il “salotto” di Bologna, con il palazzo oggi Camera di Commercio un tempo Foro dei Mercanti. Il pa­lazzo, caratteristico per la facciata tardogotica, è opera di An­tonio di Vincenzo e di Lorenzo da Bagnomarino. Un tempo era chiamato il Trebbo dei Banchi ed era luogo d’incontro e di con­trattazione dei cambiavalute. In questo contesto operavano anche gli ebrei, che avevano anche casa all’intorno.


Ogni anno, tra novembre e dicembre, piazza della Mercanzia diviene teatro della celebrazione della festa ebraica di Chan­nukkà che ricorda la vittoria dei Maccabei sui greci persia­ni e la riconsacrazione del Tempio di Gerusalemme (165 a.C.). Durante il perio­do della festa il grande can­delabro a nove bracci viene acceso all’imbrunire per ot­to giorni, un braccio per se­ra (più uno che serve per ac­cendere gli altri ed è appun­to chiamato “il servitore”). Dalle Due Torri, imboccan­do via San Vitale e percor­rendola a sinistra, dalla par­te del portico, si arriva al n. 18. Qui, secondo lo storico Michele Luzzati, nel 1460 c’era la sinagoga detta gran­de, nell’abitazione di Jacob di Ancona. Nell’edificio di oggi non ne è rimasta alcuna traccia visibile. Proseguendo per via San Vitale e imboccando via Caldarese (dove alcune crona­che locali collocano un’altra sinagoga, però non ancora ben identificata nei documenti) si arriva in Strada Maggiore. Da qui, con le spalle alle Due Torri, si passa in via Santo Stefa­no. In piazza Santo Stefano, nell’edificio che si affaccia su vi­colo Pepoli, la famiglia Sforno aveva probabilmente nel 1500 un proprio oratorio.


Per i cultori di manoscritti ebraici si consiglia una visita alla Biblioteca Universitaria (via Zamboni al n. 35). Vi sono con­servati 28 preziosi esemplari tra cui un machazor contenen­te pagine dell’Haggadà di Pasqua, probabilmente del XIV se­colo, di provenienza catalana, e il Canone di Avicenna le cui preziose miniature di soggetto medico risalirebbero al Quat­trocento. Questo manoscritto appartenne, tra il XVI e il XVIII secolo, al convento di San Domenico di Bologna; nel 1796 passò a Parigi dove rimase fino al 1815, anno in cui fu dona­to alla Regia Biblioteca Universitaria di Bologna.


Presso la Biblioteca comunale dell’Archiginnasio (Portico del­l’Archiginnasio) sono invece conservati molti libri ebraici e preziose cinquecentine. Si passa infine alla visita del ghetto…

Brano corrente

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