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27 Novembre 2007 | Archivio / Una città una storia

N°85-UNA CITTA’ UNA STORIA

Bologna ebraica. Seconda puntata.

Il ghetto


La storia. Dopo l’emanazione della bolla Cum nimis absurdum passarono circa 11 anni prima che tutti gli ebrei bolognesi entrassero nel “ser­raglio degli ebrei”.


L’istituzione fu accompagnata dalle usuali po­lemiche e resistenze, soprattutto da parte ebrai­ca. Infine si ottenne di mantenere la stessa zo­na in cui vivevano la maggior parte delle fami­glie. Molte comunque dovettero spostarsi. I do­cumenti riportano che i fratelli Da Rieti furono


costretti a vendere lo stabile in cui vivevano, situato all’an­golo tra piazza San Simone e via Oberdan, mentre fu imposto a molti cristiani, riluttanti ad abbandonare quello che era «l’ombelicio più precioso della città», di cedere in affitto agli ebrei (che non potevano più possedere immobili) le loro ca­se e «le loro stalle». Un documento conservato all’Archivio di Stato di Bologna comprova molti di questi passaggi. Il ghetto era compreso tra due grandi arterie: strada San Do­nato (oggi Zamboni) e via Cavaliera (oggi Oberdan) e preve­deva quattro portoni d’accesso (probabilmente ne furono posti però soltanto tre).


Un primo si trovava all’inizio di via dei Giudei (“da San Mar­co in Porta Ravegnana”); un secondo, nel punto in cui via del Carro sbocca su strada San Donato (via Zamboni), “dai Man­zoli”, e un terzo, nell’attuale piazzetta San Simone che si apre su via Cavaliera (via Oberdan), “dai Bevilacqua”. Oggi è pos­sibile ripercorrere queste strade e ricostruire l’area del ghet­to ma l’unico accesso ancora chiaro e leggibile è il secondo: il portone si trovava infatti sot­to il voltone che collega palaz­zo Manzoli-Malvasia con la chiesetta di San Donato, co­struito all’inizio del Settecento.


 L’aspetto attuale del quartiere. Tutto il perimetro del ghetto, cuore medievale della città, conserva intatta la sua strut­tura originaria ed è stato og­getto negli ultimi tempi di un Piano di restauro conservativo e di valorizzazione. Per la visita si prende via dei Giudei, il cui toponimo deriva dall’antica presenza di nuclei ebraici ancora prima del ghet­to. In epoca fascista cambiò nome e diventò via delle due Torri. All’imbocco di questa strada vi era un primo portone di chiusura. Percorrendo via dei Giudei verso via Canonica, sulla destra si trova un piccolo negozio di stampe e disegni, specializzato in iconografia ebraica.


Da via Canonica, girando a destra si arriva in via dell’Infer­no, forse l’arteria pulsante del ghetto. Al n. 16 (antico 2638) c’era probabilmente l’edificio dove si trovava la sinagoga, l’unica permessa dalle disposizioni pa­pali, in “Casa Buratti”, come riferiscono cronache locali, non ancora dimostrata però da documenti.


La sinagoga era all’ultimo piano dello stabile, la cui facciata esterna era (ed è ancora) completamente anonima. L’edificio si presenta in un solo corpo che comprende via dell’Inferno n. 16 e vicolo Mandria n. 5. All’interno si apre una serie di cortili che vanno dal n. 2 al n. 16 e corrispondono, come ipo­tizza anche Lucio Pardo nella sua ricerca sul ghetto bolo­gnese, alle caratteristiche del chatzer della sinagoga, cioè un luogo interno per riunioni, comune alle diverse abitazioni, che si poteva raggiungere da una casa all’altra senza uscire per strada. La creazione di passaggi interni da una casa al­l’altra era comune in tutti i ghetti della penisola ed era det­tata dalla necessità di sicurezza per gli abitanti. Nello stabile successivo, in direzione di via Valdonica, è sta­ta posta una lapide-ricordo dell’istituzione del ghetto e di tut­te le persecuzioni che hanno colpito e “isolato nel ghetto” gli ebrei bolognesi. Di fronte, sotto il portico, è ancora possibi­le notare un piccolo spioncino collegato con l’interno dell’e­dificio che serviva a controllare la strada durante l’epoca del ghetto.


Da via Valdonica, attraverso un arco, s’arriva in via del Carro, al cui incrocio con via Zamboni si trovava un terzo portone. Proseguendo per via del Carro si ritorna in via dell’Inferno. Ar­rivati al n. 16, si gira a sinistra percorrendo la strada fino in fon­do. S’incontrano molte piccole botteghe; al n. 6/1 nel piccolo negozio La chiocciola si può acquistare oggettistica ebraica, co­sì pure nel negozio di antichità che si trova poco più avanti. Andando a destra e passando vicolo Tubertini, si arriva in vi­colo del Mandria (già via del Ghetto): su piazzetta San Si­


mone c’era un altro portone di chiusura del ghetto. Nel cor­so dell’anno il ghetto, in occasione di alcune iniziative cul­turali promosse dal Comune e dal Museo ebraico, si anima con spettacoli e musica.


Si ritorna in via Valdonica per la visita al Museo ebraico.

Brano corrente

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