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28 Giugno 2014 | Archivio / Le vie dei sapori

I prodotti tipici delle Strade dei vini e dei sapori della provincia di Faenza

Una strada di collina tra ulivi, frutti dimenticati, scalogno e ottimo Sangiovese

A cura di Marina Leonardi

Cari ascoltatori, avete percorso in lungo e in largo le meravigliose strade dei vini e dei sapori del nostro territorio, da Piacenza fino ad arrivare al mare, con me, Marina Leonardi, la vostra guida di queste puntate, per incontrare i prodotti tipici delle strade, per soffermarci ad assaporarne gli odori e a gustarne i sapori. Incrociamo qui la Strada del Sangiovese e dei Sapori delle Colline di Faenza, che scorre nel territorio collinare inciso dalle valli dei fiumi Senio, Lamone e Marzeno, un itinerario enogastronomico di circa 150 chilometri che attraversa i territori di cinque Comuni, intersecando le tre valli collinari ai confini con la Romagna toscana. Il percorso collega tra loro luoghi di particolare fascino storico e artistico: la Faenza rinascimentale e neoclassica con le sue ceramiche artistiche e la quattrocentesca torre di Oriolo dei Fichi, il borgo medievale di Brisighella e Riolo Terme stretta attorno alla sua antica rocca, fino a Casola Valsenio tra luoghi storici, antiche torri d’avvistamento e pievi romaniche. La cornice è quella di un ambiente naturale dove spicca il suggestivo contrasto tra la formazione carsica della “vena del gesso” e i dolci profili collinari verdeggianti di vigneti e oliveti da cui si ricavano i vini Doc di Romagna, quelli dei Colli di Faenza e il pregiato e profumato Olio d’oliva extravergine di Brisighella Dop. Piacevoli sensazioni che si mantengono anche nelle altre tipicità da scoprire lungo questa Strada: dagli aromi dello scalogno a quelli delle erbe officinali, dagli intensi sapori delle carni a quelli dei salumi e dei formaggi pecorini, dalle dolcezze della frutta con indicazione geografica a quelle dei “frutti dimenticati” delle zone montane.

Da Faenza la Strada punta verso le colline vitate della Doc locale, lungo la valle del Lamone, per passare poi in quella del Senio. Attraversando le località di Pergola e Tebano, si raggiunge Castel Bolognese, rilevante centro vitivinicolo con produzioni di Sangiovese e Cagnina.  Dei cinque vini romagnoli, due vitigni (Sangiovese e Trebbiano) sono i più diffusi nel territorio nazionale, padri maggioritari di molti vini, anche di grande pregio gli altri (Albana, Pagadebit e Cagnina) sono  peculiari di questi territori. Le prime notizie del Sangiovese risalgono al lontano ‘600; si narra che durante un banchetto tenuto nel Monastero dei Frati Cappuccini in Santarcangelo di Romagna, alla presenza di Papa Leone XII ed illustri ospiti, fu servito questo vino prodotto dagli stessi monaci.
Il vino fu molto apprezzato e ne fu chiesto il nome. Un monaco, con prontezza di spirito, disse che il vino si chiamava “Sunguis di Jovis” = Sangue di Giove (Sanjovese). Col passare degli anni, questo vino assunse a simbolo della terra di Romagna, grazie anche ad attenti ed intelligenti produttori.

 L’Albana è un vitigno ‘a bacca bianca’,  primo bianco, in Italia, ad ottenere la Denominazione di Origine Controllata e Garantita (D.O.C.G.), nel 1987. La origine del “biondo nettare di Romagna” sembra risalire ai tempi romani. Se ne trova traccia in scritti di quell’epoca che riferiscono di Galla Placidia, figlia di Teodosio. Altri ne fanno derivare il nome dai Colli Albani, da cui provenivano i Legionari colonizzatori della Romagna. Molto più probabilmente il suo nome deriva dalla qualità dell’uva chiara, che viene considerata la migliore delle uve bianche, da cui ‘Albus’ (bianco per eccellenza) = Albana. Del  Pagadebit, altro vitigno a bacca bianca, innanzi tutto, colpisce il nome: deriva dal fatto che il contadino, dato il vitigno molto resistente e fertile che resiste a qualsiasi condizione climatica, riusciva a pagare i debiti contratti nell’annata vitivinicola. Infatti era usanza stipulare concordati anche ‘sulla parola’, detti appunto ‘Pagadett’. Altro vitigno a bacca bianca  è il Trebbiano, che produce un vino leggero da consumarsi entro l’anno successivo alla vendemmia. L’origine, in Romagna, risale ai periodi Etrusco e Romano. E infine la Cagnina, vitigno ‘Refosco dal Peduncolo Rosso’ a ‘bacca rossa’ di antica coltivazione, vino rosso dolce o amabile, pronto da bere subito dopo la vendemmia. Se ne parla sin dall’epoca Bizantina durante la quale venne importato dalla Dalmazia e dall’Istria, in occasione della importazione di pietra calcarea per la costruzione dei monumenti storici di Ravenna. Le prime notizie di questo caratteristico vino, risalgono al XIII secolo e si riferiscono alla vite ed al vino friulano (barbatelle di Terrano d’Istria o del Carso, sinonimi di Refosco d’Istria o del Carso), che coltivato nel forlivese e nel cesenate assunse il nome di Cagnina.

La strada arriva poi a a Riolo Terme, località di villeggiatura, centro frutticolo e vinicolo, nonché zona di produzione dello scalogno di Romagna. Lo scalogno è un piccolo bulbo, della famiglia delle liliacee, una pianta originaria del Medioriente il cui nome scientifico (Allium ascalonicum) deriva da Ascalon, antica città della Palestina dove si ritiene abbia avuto origine e dove lo scalogno pare venisse ampiamente coltivato. Lo scalogno, non molti lo sanno, è uno dei prodotti tipici della nostra regione, tanto tipico da meritarsi il marchio Igp, che significa indicazione geografica protetta, e questo assieme ad altri prodotti dell’agricoltura dell’Emilia Romagna come l’asparago verde di Altedo, il fungo di Borgotaro,  il marrone di Caste del Rio,  le Pere dell’Emilia Romagna, la Pesca e nettarina di Romagna. Naturalmente a questi prodotti tipici vengono spesso dedicate delle feste e delle sagre. Al gustoso Scalogno Igp, Riolo Terme dedica  La Fiera dello Scalogno di Romagna, dal 17 al 20 luglio a Riolo Terme dove potrete assaggiarlo protagonista di numerosi piatti come fiori di cipolline e salsa di scalogno, tagliolini allo scalogno, polenta al ragù di scalogno, salsiccia di castrato allo scalogno, frittate di scalogno.

Da Riolo Terme il percorso procede fino a giungere a Casola Valsenio, capitale italiana delle erbe e sede dell’importante Giardino delle erbe officinali, nonché luogo di salvaguardia dei “frutti dimenticati” come le giuggiole, le pere volpine o le mele della rosa. Piante spontanee o coltivate negli orti e nei frutteti di casa per il consumo domestico fin dal tardo Medioevo, i frutti dimenticati sono perlopiù caratteristici della stagione autunnale e rappresentavano una preziosa scorta di cibo da conservare con cura per l’inverno. Salvati dall’estinzione e recuperati per la gioia di chi li ha conosciuti e di chi li vede per la prima volta, ecco tanti bei frutti profumati, dai colori caldi e dai nomi spesso originali: giuggiole, pere spadone, corniole, nespole, mele cotogne, corbezzoli, azzeruole, sorbe, pere volpine, uva spina, senza dimenticare noci, nocciole, melagrane e i marroni, simbolo dell’autunno. Fra le ricette a base di questi frutti ricordiamo: la salsa di rovo e di gelso, le composte di corniole e di cotogne, la torta di mele selvatiche e i dessert con protagoniste le pere volpine, le castagne, l’alkermes, il vino e il formaggio. Un gruppo di frutti dimenticati serve per preparare un antico piatto tipico, il “migliaccio”, che richiede mele cotogne, pere volpine, mele gialle, cioccolato, pane, raffermo grattugiato, canditi, riso e, secondo l’antica ricetta, sangue di maiale. Nei menù compaiono i risotti di pere volpine, l’arrosto di arista con castagne e lamponi o il rotolo di vitello al melograno, la crostata di marmellata di sorbe, le prugnole ripiene di noci e zabaione, il sorbetto alle corniole. A Casola Valsenio, i frutti dimenticati si sposano perfettamente con le piante aromatiche del locale Giardino Officinale, e danno vita a piatti straordinari come le insalate di sedano, ribes bianco e rosso in agrodolce, o di finocchio selvatico con tarassaco, cerfoglio e salsa di melograno, ottime se condite con l’olio extravergine Brisighello.

Da Casola infatti l’itinerario punta poi verso levante, lungo la strada di valico che conduce nella valle del torrente Sintria fino a giungere alla bellissima Brisighella, terra di vini e di un ottimo olio d’oliva extravergine. Colore verde smeraldo con riflessi dorati, lievi accenni di amaro, piccante e fruttato erbaceo, sentore di carciofino verde ed erba appena tagliata. Questo è l’olio extravergine di oliva romagnolo, di cui il Brisighella DOP è il portabandiera, uno dei primi oli extravergini italiani ad aver ottenuto, nel 1996, il marchio di denominazione di origine protetta dell’Unione Europea.

Le olive si raccolgono al giusto punto di maturazione e danno vita a un olio dal sapore fruttato, leggermente  amaro e piccante e di acidità contenuta. Un olio che a tavola  ben si sposa al pesce in genere, ma che dà il meglio di sè emulsionato fuori fuoco con i liquidi di cottura di pesce, carne, selvaggina, tanto da esaltare al massimo il suo sapore.

Da Brisighella il percorso principale si dirige poi verso sud e raggiunge la val Marzeno oltrepassando il crinale di confine con il territorio di Forlì-Cesena, raccordandosi alla Strada dei vini e dei sapori di questa provincia a Modigliana, il cui territorio fa comunque parte della Doc vinicola faentina. Da qui l’itinerario scende rapidamente lungo la valle in direzione nord costeggiando il torrente. Rientrato in territorio ravennate, tocca gli abitati di Scavignano e Marzeno e, poco dopo Rivalta, devia a destra e, attraverso S. Lucia delle Spianate, raggiunge la Torre di Oriolo dei Fichi, massiccia struttura difensiva di fine Quattrocento realizzata a protezione della città di Faenza. Da qui si gode un ottimo panorama sulla città e sulle rigogliose colline circostanti ricoperte di vigneti. Da Oriolo si raggiunge velocemente la via Emilia e, verso occidente, il percorso si chiude a Faenza. Una chiusura utile per chi, alla partenza, non aveva trovato il tempo di acquistare una ceramica d’arte nelle oltre sessanta botteghe di ceramisti presenti in città. E a Faenza ci salutiamo, vi do appuntamento al prossimo mese, quando andremo a scoprire i prodotti della provincia di Rimini. Un saluto da Marina Leonardi.

INFO:

http://strade.emilia-romagna.it

www.stradadelsangiovese.it

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