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31 Maggio 2014 | Archivio / Le vie dei sapori

I prodotti tipici delle strade dei vini e dei sapori della provincia di Forlì Cesena

Nella terra che ha dato i natali al grande gastronomo Pellegrino Artusi percorriamo una strada che si snoda tra campi coltivati, vitigni, alberi da frutta dove si producono ottimi formaggi e la mitica piada

A cura di Marina Leonardi

Cari ascoltatori, dopo aver percorso in lungo e in largo le meravigliose strade dei vini e dei sapori del nostro territorio, da Piacenza fino ad arrivare al mare, ritorniamo sui nostri passi, sempre con me, Marina Leonardi, la vostra guida di queste puntate, per incontrare i prodotti tipici delle strade, per soffermarci ad assaporarne gli odori e a gustarne i sapori. Incrociamo qui le Strade dei vini e dei sapori della provincia di Forlì e Cesena.

La Strada dei Vini e dei Sapori dei Colli di Forlì e Cesena si sviluppa per oltre 280 chilometri nel territorio pedemontano e collinare compreso tra la via Emilia e i centri di media valle verso sud. L’itinerario collega trasversalmente le sei vallate della provincia sui territori di 17 Comuni, toccando luoghi di rilievo enogastronomico, storico ed ambientale, a pochi chilometri dalla riviera adriatica.

Terre di antiche tradizioni e di lavoro contadino, dove regnano i migliori vini di Romagna, Sangiovese e Albana su tutti, con un vasto assortimento di sapori che qui si abbinano ad uno straordinario artigianato artistico. Sono le contrade dell’autentica “Romagna profonda”, che offre prelibate minestre e pasta sfoglia ancora “tirata di mattarello”, gustosi salumi, formaggi stagionati in fossa o freschi come il raviggiolo o lo squacquerone, l’olio extravergine Colline di Romagna Dop, tartufi, miele, frutta e i gustosi dolci tipici della tradizione, come cioccolato, ciambella, savor e bustreng, con la famosa piadina romagnola a fare da vessillo gastronomico.

La Strada , a lato del suo asse principale, comprende un fitto dedalo di significativi itinerari secondari sui crinali e nelle vallette laterali, immersi nella geometrica precisione dei frutteti delle zone più pianeggianti e nella bellezza armoniosa dei colli ricoperti di viti. Terre di antiche tradizioni e di lavoro contadino: qui si stima che l’estensione di territorio coltivato a produzioni ortofrutticole ammonti a circa 25.000 ettari, di cui 15.000 a frutteti e 10.000 ettari a colture orticole a piena aria.

Tra le colture troviamo pesco, albicocco, susine, fragola di Romagna, kiwi, mele, pere, diverse e caratteristiche varietà di ciliegie. Tra gli ortaggi, “colture a pieno campo”, spiccano patata, fagiolino, piselli, lattughe, cicorie, rape, pomodoro, cardo gigante di Romagna, carciofo violetto di Romagna, articioc. Alcune di queste colture sono ancora in piena produzione mentre altre rappresentano oggi produzioni locali o di nicchia come lo Scalogno di Romagna che ha ottenuto il marchio IGP. La tradizionalità e tipicità di queste colture nella storiografia romagnola è ormai patrimonio comune. Le pesche si coltivavano già dal ‘300 una coltura, che si è  evoluta nella coltura della “Bella di Cesena”a polpa bianca, caratterizzata da un bel sovracolore rosso fiammante uniforme e dalla celebre Pesca Nettarina; per la coltura della fragola, nell’antichità diffusamente selvatica, la zona del cesenate in particolare, è ora considerato sito vocato a livello nazionale ed europeo. La ciliegia è stata introdotta dai Romani, e già dal primo medioevo si conoscono impianti coltivati di ciliegio soprattutto nella vallata del Bidente che vanta tutt’oggi (in particolare la zona di Civitella di Romagna) varietà locali quali morandina, morette e duroni. Molto apprezzate dal mercato, anche le produzioni delle colline di Cesena, Roncofreddo e Longiano, con varietà tipiche quali moretta, durona, durella, corniola, duroncina, primaticcia, marciana…

L’importanza e la tipicità di produzioni frutticole del territorio è stata riconosciuta dal marchio IGP per la pera, la pesca e la Nettarina di Romagna, mente le altre coltivazioni oggi possono fregiarsi dell’iscrizione all’elenco nazionale dei prodotti tradizionali della Provincia di Forlì Cesena. Diversi agriturismi, ristoranti e botteghe delle tipicità alimentari, presenti sul territorio della Strada dei Colli di Forlì e Cesena, presentano prodotti dell’ortofrutta lavorati in piatti e confetture genuine e caratteristiche (marmellate di melone, fichi, mele cotogne, ciliegie; sott’olii di melanzane e pomodori; pesche con l’Albana; fragole col vino, ecc.). Tra le erbe spontanee, usate e riscoperte nella gastronomia territoriale, si segnalano soprattutto lo stridolo di cui abbiamo parlato nella rubrica dei prodotti non tanto tempo fa, il raperonzolo, il rosolaccio, il radicchio di campo, l’ortica, la vitalba.

In queste terre  di collina da secoli si produce lo Squacquerone, “squaquaron” in dialetto  un formaggio dalle origini antiche, molto legato all’ambiente rurale e solo da qualche anno disponibile anche oltre i confini romagnoli. Un tempo era apprezzato e consumato anche da palati più raffinati, come dimostra la corrispondenza inviata dal cardinale Bellisomi, vescovo di Cesena, al vicario generale della diocesi cesenate Casali. In particolare, in una di queste missive datata 15 febbraio 1800  il Cardinale, in quel momento a Venezia per il Conclave che elesse il cardinale cesenate Chiaramonti al soglio papale col nome di Pio VII, chiede notizia sugli Squacqueroni richiesti e non ancora pervenuti alla sua mensa. Le parole usate dal cardinale Bellisomi sono: “Fin’ora nulla so de Squacquarone, ma in questa mattina se ne farà diligenza da Franciscone. Ed intanto Ella ringrazi il Bazzocchi da mia parte.” In una seconda lettera, datata 1 marzo 1800, è riportata una postilla nella quale. Don Luigi Vittori, segretario del Cardinale, assieme ad altre considerazioni conferma l’arrivo dei formaggi usando queste parole: “Sono giunti nel Lunedì di Carnevale i Squacquaroni in ottimo stato. Sono stati graditissimi dal nostro Emo (Eminentissimo), ed io prego la di Lei bontà ringraziare il Sig. D. Domenico Bazzocchi a cui per mancanza di tempo non posso scrivere.” La lunga permanenza a Venezia aveva evidentemente acuito nel Cardinale il desiderio di tornare in Romagna. Non potendo abbandonare il Conclave, aveva quindi pensato di rendere meno pesante la permanenza continuando ad assaporare i cibi ai quali era da lungo tempo abituato, facendosi inviare degli Squacqueroni che potessero colmare, almeno nei sapori, la distanza che lo separava dalla Romagna.

Lo Squaquerone di Romagna è prodotto nell’area di tutto l’Appennino Romagnolo. Si tratta di un  formaggio a pasta molto molle, la forma è rotonda adagiata su se stessa (da questa caratteristica deriva il nome), non esiste la crosta, il sapore ricorda particolarmente il latte gradevolmente acidulo. Ottimo da spalmare sulla piadina calda e da abbinare con il Colli Romagna Centrale Bianco o Pagadebit di Romagna. Ed ecco che abbiamo nominato la piadina. Cosa sarebbe la Romagna senza la sua piada? E cosa sarebbe la piada senza i suoi romagnoli che l’hanno eletta a piatto tradizionale? Del resto già un secolo fa il grande poeta Giovanni  Pascoli, forlivese doc, definiva la piada “… il pane, anzi il cibo nazionale dei romagnoli”.

Prendete mezzo chilo di farina, 30 grammi di strutto, una bustina di lievito, un pizzico di sale e   acqua tiepida quanto basta per avere un impasto omogeneo e il gioco è fatto! Bè dovrete avere ancora un poco di pazienza perchè l’impasto lieviti per una mezzoretta in un luogo tiepido, avvolto in un canovaccio e poi la vostra pasta, suddivisa in dieci pagnottelle, sarà pronta per essere stesa fino ad ottenere dei dischi dello spessore di due millimetri che debitamente cotti su un “testo” di pietra refrattaria o di ghisa si traformeranno finalmente nella ghiotta e profumata piada da accompagnare con qualche fetta di prosciutto crudo o, come abbiamo visto poco più su, qualche generosa cucchiaiata di formaggio squacquerone.

La piada è una delle infinite variazioni di prodotti a base di acqua e farina che da secoli, anzi da millenni accompagnano l’uomo. Ma la piada in Romagna non è solo un cibo è uno stile di vita.

Alla piada sono state dedicate canzoni e poesie e addirittura un sito internet. I chioschi della piada non mancano mai in riva al mare, nelle occasioni di festa, quando ci sono spettacoli. Gli spicchi di piada vengono serviti nei ristoranti accanto al pane e avidamente consumati da grandi e bambini. La piada è un modo di mangiare informale ma con radici molto antiche. Un modo di mangiare che ha saputo stare al passo con i tempi ma che in fondo è rimasto uguale a se stesso. Quindi che sia farcita di prosciutto, di verdure, di formaggio, di marmellata o di nutella la piadina è sempre la piada. Un prodotto talmente radicato sul suo territorio che ha spinto il Ministero per le politiche agricole a richiederne il marchio Igp, e cioè il marchio di Identificazione geografica protetta. E orami manca solo l’ultima tappa alla conquista del riconoscimento. È stata pubblicata nei giorni scorsi sulla Gazzetta ufficiale europea la domanda dell’Italia di registrare l’eccellenza italiana per raccogliere entro sei mesi – come prevede la normativa Ue – eventuali contestazioni di produttori europei o mondiali. Passati i termini, se non ci saranno contestazioni, Bruxelles potrà riconoscere la nuova Igp in via definitiva. Speriamo davvero.

E in chiusura, non possiamo dimenticare che la strada dei vini e dei sapori dei Colli di Forlì Cesena passa vicinissima a Forlimpopoli, patria del grande Pellegrino Artusi, autore de La scienza in cucina, pietra miliare della letteratura gastronomica italiana. Le ricette artusiane si gustano un po’ ovunque, principalmente sono le minestre di pasta sfoglia come cappelletti, strozzapreti, ravioli, oppure i noti passatelli.

Info:
www.stradavinisaporifc.it
www.strade.emilia-romagna.it

Un saluto e alla prossima strada da Marina Leonardi. 

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