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25 Ottobre 2016 | Archivio / Protagonisti

Agostino Venanzio Reali: sorella arte

Il frate poeta che partì da Montetiffi per andare con coraggio incontro al mondo

A cura di Vittorio Ferorelli

Care amiche e cari amici di RadioEmiliaRomagna, la storia che vi raccontiamo oggi vi farà conoscere un uomo che è stato sacerdote, artista e poeta, con lo stesso intenso amore per la vita, con tutti i suoi odori, le sue ombre e le sue luci.

Agostino Reali nasce alla fine di agosto del 1931 a Ville di Montetiffi, un piccolo paese dell’entroterra romagnolo, a poca distanza da Sogliano al Rubicone. A undici anni lascia le sue colline per trasferirsi a Imola, nel seminario dei Frati Minori Cappuccini, ma l’anno dopo è costretto a tornare a casa per lo scoppio della guerra civile: è il 1943. Dopo la Liberazione, Agostino riprende gli studi e diventa frate novizio, con il nome di Venanzio. Nel 1957 viene ordinato sacerdote a Bologna e subito dopo parte per Roma, dove vuole specializzarsi in teologia.
Nei cinque anni trascorsi nella capitale, Agostino non rimane chiuso al mondo. Si interessa di poesia, ma non gli basta leggerla, vuole incontrare chi la scrive. Entra in contatto con autori importanti, che gli danno coraggio: si chiamano Cardarelli, Pasolini, Luzi, Betocchi, Caproni. Ed è a Roma, nel 1961, che Agostino pubblica i suoi primi versi. L’anno dopo lascia la città e comincia la sua attività di insegnante nei centri di formazione dei Cappuccini, un’attività che fino alla fine degli anni Ottanta lo porterà a viaggiare nel Nord Italia: Reggio Emilia, Bologna, Venezia e Ferrara.
All’insegnamento si affiancano il servizio di assistenza religiosa in ospedale e poi gli incarichi di responsabilità all’interno dell’ordine francescano. Ma il tempo per creare, fra Venanzio, in qualche modo lo trova, magari di notte, magari mentre viaggia. E non gli basta scrivere poesie, ama anche disegnare, dipingere, lavorare la terracotta, coltivare l’orto.

Nel 1983 pubblica la sua versione del Cantico dei Cantici, il misterioso dialogo tra i due amanti che compare nella Bibbia. Lo traspone in versi dall’ebraico, che conosce bene grazie ai suoi studi. Per la libertà e la bellezza delle invenzioni, Giancarlo Pontiggia lo considera a tutti gli effetti il suo esordio poetico. Basta un esempio tra tanti. Dove nella versione “ufficiale”, quella stabilita dalla Conferenza episcopale, l’amante si rivolge all’amata con un tiepido: “Dimmi, o amore dell’anima mia”, Reali scrive con tutta la passione dei sensi innamorati: “Tu per cui ardo sussurrami”. E in questo sussurro, così autentico, diventa immediatamente chiaro che l’amore per le creature e quello per la divinità possono bruciare dello stesso fuoco.
Qualche anno dopo, il periodico dei cappuccini chiede ad alcuni frati di scrivere a diverse categorie di contemporanei mettendosi nei panni di Francesco da Assisi. A fra Venanzio viene chiesto di scrivere ai poeti e lui, prestando la sua voce al santo dei poveri, indirizza a loro questo augurio: “Per riavere il dono di conferire il nome esatto alle cose, è necessario che Dio vi tolga la parola e che torniate alla nudità di Adamo. Solo così tornerete a dire parole ‘odorifere’ anche voi”.
Parole “odorifere”, perché per Agostino Reali la poesia, come ogni arte dell’uomo, deve “odorare” di vita, deve poter captare lo spirito nei sensi, deve essere (parole sue) “un’energia che ci seduce e attrae perché in essa percepiamo la segreta corrispondenza di un mondo nascosto più vero”.

Dopo il Cantico è come se un nodo si sciogliesse: tra l’86 e l’88 Reali pubblica tre raccolte di versi. La quarta uscirà un anno dopo la sua morte, sopraggiunta nel marzo del 1994. Da quest’ultima silloge leggiamo l’Inno breve, in cui il poeta loda in Dio ciò che di divino l’essere umano può sentire e vedere:

Ti lodo, Signore,
per questo vento di viole
di mari lontani;
per la voce dell’uomo ermeneuta,
per il fiore della donna molteplice,
per i suoi capelli
che aggiungono decoro al suo capo,
per le sue mammelle
che nutrono le tue speranze,
per il suo grembo
ove semini le tue pupille.

Sarà intitolata Nóstoi. Il sentiero dei ritorni la raccolta postuma di Agostino Venanzio Reali. “Ritorni”, perché l’andare del poeta, per lui, non è peregrinazione verso l’ignoto ma viaggio di rientro verso il luogo seminale, il ventre caldo da cui si nasce. Là dove infine, una volta tornati, si potranno rivedere gli occhi di chi ci ha amato lungo il cammino:

Stringete il cerchio amici
profilati contro dune
o sotto chiare betulle.
Crepiti il fuoco
nella musica dei mondi.
Dio è un riso di pupille
innumerevoli più del mare.

Ci ri-conosceremo in lui
amici di tutte le cose.

[Le poesie di Agostino Venanzio Reali sono pubblicate da Book Editore]

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