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4 Marzo 2014 | Archivio / Protagonisti

Enrico Zambonini, gli anni dell’esilio

La vita e le vicende politiche dell’anarchico e antifascista di Villa Minozzo (Reggio Emilia)

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redighieri.

4 marzo 2014

Giuseppe Galzerano racconta nel suo libro “Enrico Zambonini. Vita e lotte, esilio e morte dell’anarchico emiliano fucilato dalla Repubblica Sociale Italiana” (Galzerano Editore, 2009) le vicende umane e politiche di un uomo, anarchico e antifascista, che, pur non avendo mai commesso reati, fu costantemente e ossessivamente controllato e spiato dal regime fascista in Italia e all’estero. È la storia di Enrico Zambonini, un anarchico originario di Villa Minozzo (Reggio Emilia), che, nonostante avesse frequentato solo la terza elementare in una pluriclasse del suo paese, da autodidatta, conosce e parla tre lingue. È la storia di un uomo che non piega la schiena alle prepotenze fasciste e vive da esule in Francia, Belgio e Spagna. La sua biografia testimonia una militanza coraggiosa e coerente perché, negli anni che lo videro protagonista, Zambonini dovette affrontare e superare prove durissime; e solo una grande passione, una profonda abnegazione e disinteresse, insieme con una matura coscienza politica, fanno di lui un «uomo speciale».
Nel 1938, in un paesino nei pressi di Barcellona, è tra i promotori di una colonia per l’infanzia, per accogliere e assistere i figli e le figlie dei combattenti contro il franchismo e delle vittime dei bombardamenti franchisti. Alla vittoria del generale spagnolo Francisco Franco rientra in Francia ma, catturato dai tedeschi, è deportato in Italia e assegnato al confino di Ventotene. Alla caduta del fascismo, liberato, rientra al suo paese. Arrestato dai fascisti repubblichini, è condannato a morte da un Tribunale Speciale Straordinario, nominato per l’occasione, in un «processo» farsa o addirittura mai celebrato, e l’indomani – domenica 30 gennaio 1944 – fucilato, a cinquant’uno anni, insieme con un prete e sette partigiani. Il piombo fascista gli strozza in gola l’ultimo grido di «Viva l’Anarchia!».
La ricerca di Galzerano sulla figura e sull’opera di Enrico Zambonini ripercorre i momenti salienti del suo impegno politico in Italia, Francia, Belgio e Spagna, e ricostruisce, sulla base di inediti documenti archivistici, una vita esemplare e degna di essere ricordata.È la vicenda di un anarchico «cittadino del mondo» sempre coerente con le proprie scelte politiche, pagate con l’estremo sacrificio della vita. La ricerca è stata svolta consultando principalmente il materiale conservato presso l’Archivio Centrale dello Stato di Roma (il fascicolo personale del Casellario Politico Centrale, il fascicolo del Confino e i due fascicoli riservati della Polizia Politica) e su altre fonti, i giornali anarchici e antifascisti pubblicati all’estero nell’esilio, trovati presso biblioteche italiane e straniere. Il volume è il risultato di una minuziosa ricerca archivistica in Italia e all’estero.

Vi leggiamo ora qualche pagina del libro riferita agli anni dell’esilio in Belgio di Zambonini.

Il 10 gennaio 1929 il prefetto di Reggio Emilia, Dino Perrone Compagni, invia al Ministero dell’Interno una scheda biografica su Zambonini, ma non la sua foto, che non è stata possibile ottenere «essendone la famiglia sprovvista». La Divisione di Polizia Politica, il 21 gennaio 1929, comunica che da Parigi ha confidenzialmente saputo che la Lega dei Diritti dell’Uomo si occuperà della difesa di Enrico Zambonini, unitamente a quella di un certo Angelo Sanna, accusato di furto, ma in realtà arrestato dalla polizia francese per motivi politici.
Il 20 febbraio 1929 Zambonini, di professione minatore, si stabilisce in Belgio, a Flémalle Grande, al numero 40 di Rue Bouion, come attesta il «Bulletin de renseignements» del Comune di Flémalle del 25 febbraio, nel quale è detto che proviene da Saint Raphael e non è un rifugiato politico. Sul documento, contenente i suoi dati anagrafici, è incollata la foto, firmata dallo stesso Zambonini. Il 4 marzo 1929 il direttore della «Sureté Publique» di Bruxelles chiede informazioni di carattere giudiziario al prefetto di Parigi.
Il 25 febbraio 1929 il prefetto di Reggio Emilia trascrive il testo del telespresso del Console Generale di Marsiglia del 29 dicembre 1928 sulla riunione che si è svolta a Saint Raphael in Francia a favore di Zambonini, rimandandolo al Ministero dell’Interno e aggiungendo solo che Zambonini è iscritto al numero 4802 della Rubrica di Frontiera. Da Marsiglia, il 14 agosto 1929, il regio console generale d’Italia, Faralli, con un telespresso riservato, in risposta al telespresso del Ministero dell’Interno del 10 agosto, fa sapere che ignora in quale Stato si sia recato Zambonini dopo il processo svoltosi a Draguignan, nel quale evidentemente è stato assolto dall’accusa di aver sparato al console fascista De Muro.

(…)

Il 7 dicembre il Ministero dell’Interno si rivolge al Console d’Italia di Liegi per avere informazioni più precise, in quanto – come ammette – ne ha perso le tracce da «circa un anno». Ricorda che Zambonini era vissuto a Saint Raphael, dove nel dicembre del 1928 venne arrestato per l’attentato contro il console De Muro.

(…)

Il 19 marzo 1930 il Console italiano di Liegi, Silimbani, informa: «Egli risiede tuttora a Seraing S/M. – Rue Bouillon n° 40. Non risulta finora svolgere particolare attività ma frequenta elementi e ritrovi sovversivi. Verrà continuata nei suoi riguardi ogni possibile vigilanza comunicando a Cotesta Direzione Generale tutte le notizie degne di rilievo». Il resto del 1930 trascorre senza altre segnalazioni. In Belgio, invece, il 22 dicembre 1930 la polizia degli stranieri del comune di Tilleur comunica al Direttore Generale della Sureté Publique di Bruxelles che Zambonini ha fissato la propria dimora nel Comune di Tilleur, al numero 42 di Quaidu Hallage.
Il 29 gennaio 1931 un telespresso del Consolato di Liegi informa il Ministero dell’Interno che al «segnalato politico» – si ricorre a questa qualifica un po’ neutrale al posto del solito «noto anarchico» – Enrico Zambonini, a norma della circolare n. 18 del 6 giugno 1929, è stato rilasciato il passaporto, valido solo per il Belgio. Lo Zambonini risiede a Seraing S. M. e «continua a condurre vita ritirata e tranquilla», ma ciò nonostante, per i suoi precedenti politici, sul passaporto è stato annotato che è valido esclusivamente nel Belgio, non può essere rinnovato né esteso in altri Stati e per farlo bisogna rivolgersi al Consolato di Liegi, dove esiste il fascicolo di Zambonini.

(…)

Il 2 giugno 1931 il Ministero dell’Interno del Regno d’Italia sollecita informazioni al Consolato di Liegi sulla sua condotta politica, riferendo che il prefetto di Reggio Emilia ha comunicato che abita a Tilleur, al n. 42 di Quai du Hallage. Alla richiesta viene data risposta con il telespresso del 9 luglio, confermando il recapito e assicurando: «Nulla di sfavorevole è venuto a risultare nei riguardi della condotta politica del predetto in questi ultimi tempi».
Il 3 novembre 1931, con una lettera, Zambonini chiede al Ministero della Giustizia di Bruxelles il permesso di dimora a favore di una donna, Erminia Orsi, che è giunta a Flémalle il 19 settembre 1930.
Il 23 dicembre 1931 il comandante della Gendarmeria Nazionale di Liegi, Bartholome, lo denuncia al Direttore Generale della Sureté Publique, al Procuratore Generale, al Procuratore del Re di Liegi, ai comandanti della Gendarmeria di Liegi e di Seraing. Viene accusato di esercitare un’attiva propaganda anarchica, di vivere in concubinaggio con Germaine Ciuti, ma gli viene anche riconosciuto di possedere una buona istruzione, di parlare diverse lingue, di essere competente in politica internazionale. Qualche mese dopo, a tacita testimonianza della collaborazione tra la polizia belga e la polizia italiana, questa relazione sarà tradotta in italiano da un informatore della polizia italiana e inviata a Roma al Ministero degli Interni, con la raccomandazione di non controllarla all’estero.
Sempre il 23 dicembre Zambonini è oggetto di un altro rapporto: il capitano della Gendarmeria di Liegi, Loutsch, fa presente al Direttore Generale della Sureté Publique, al Procuratore Generale, al Procuratore del Re e ai comandanti della Gendarmeria di Liegi, che nel corso di una ispezione ha trovato in casa di Zambonini, a Vivegnis, l’italiana Erminia Orsi, «senza professione». Nel rapporto viene ricordato che al suo arrivo la donna aveva avuto dal Comune di Flémalle Grande, in data 25 settembre 1930, un permesso di soggiorno per quattro mesi, che non è stato rinnovato e la donna non risulta iscritta nel registro degli stranieri di Vivegnis. A questa denuncia replica il sindaco di Vivegnis che il 13 gennaio 1932 ricorda alla Sureté Publique di Bruxelles che la donna non è stata ancora segnalata in quanto era venuta per visitare una cugina, è in possesso di un regolare passaporto, anche se non si è ancora procurato il permesso di soggiorno.

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